IL FEDERALISTA
Strage di Sidney, la normalizzazione dell'odio. E l'eroe siriano
"Possiamo stare ad assistere al dilagare di un razzismo antiebraico che diventa “parte integrante della nostra cultura”, come ha rilevato una studiosa australiana?"

di Claudio Mésoniat - Il Federalista.ch

La sparatoria contro la comunità ebraica di Sydney, un gelido massacro compiuto da due musulmani australiani di origini pakistane, era incombente: “solo questione di tempo”, è stato scritto, quasi un regolamento globale di conti a saldo dei crimini israeliani a Gaza. Ma possiamo stare ad assistere al dilagare di un razzismo antiebraico che diventa “parte integrante della nostra cultura”, come ha rilevato una studiosa australiana? Tanto più che il rovescio della medaglia è la crescita, in parallelo, della normalizzazione dell’odio anti-musulmano.

Una risposta ha fatto irruzione con il gesto coraggioso di un musulmano siriano che ha fermato la mano di uno degli attentatori di Bondi Beach. Qualche informazione e qualche nota di commento.

Se è vero – come ha scritto Roberto Antonini su laRegione – che “il massacro sembrava solo questione di tempo”, occorre però mettere a fuoco cosa significhi che “la tensione internazionale creata dallo sterminio di Gaza è dirompente”. Incominciamo da quanto affermato dall’arcivescovo cattolico di Sydney, mons. Anthony Fisher:

“Per oltre due anni, si è inasprito un clima di antisemitismo pubblico che ha portato a intimidazioni, divisioni e alla normalizzazione di un linguaggio incendiario. Di fronte alla mia cattedrale a Hyde Park si sono tenute manifestazioni settimanali in cui sono stati regolarmente pronunciati messaggi provocatori, che non hanno avuto altro esito che far ‘alzare la temperatura’ e forse contribuire alla radicalizzazione. Questo deve finire”.

Leggiamo infatti sul WSJ che “dal 7 ottobre, l’Australia ha assistito a un’esplosione di antisemitismo. Sinagoghe sono state incendiate e vandalizzate, veicoli sono stati dati alle fiamme, artisti ebrei sono stati doxati [diffusione sovrapposta di dati personali su immagini di persone], attività commerciali ebraiche sono state boicottate e graffiti d’odio sono stati imbrattati con lo spray sulle case e sulle proprietà di ebrei di spicco, così come sulle scuole ebraiche”.

Una minaccia sottovalutata
Come si è mosso, di fronte a questa esplosione di antisemitismo, il Governo australiano del primo ministro Anthony Albanese che, in modo del tutto legittimo, aveva condannato le azioni israeliane a Gaza e a settembre aveva riconosciuto il (per ora inesistente) Stato palestinese?

Va riconosciuto che, dopo l’incendio di un ristorante kosher a Bondi nell’ottobre 2024 e, sei settimane dopo, di una sinagoga ortodossa – attacchi attribuiti al Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica dell’Iran –, il Governo laburista di Albanese aveva risposto rapidamente espellendo l’ambasciatore iraniano a Canberra e chiudendo la propria ambasciata a Teheran. Poi, più nulla si è mosso.

Tant’è che domenica, dopo il massacro di Bondi Beach, l’Associazione ebraica australiana ha pubblicato un messaggio su Facebook: “Quante volte abbiamo avvertito il governo? Non abbiamo mai avuto la sensazione che ci ascoltasse”.

Eppure – riferisce il NYT – “almeno uno dei presunti autori dell’attacco di domenica era noto alle autorità, ‘ma non in una prospettiva di minaccia immediata’, secondo un alto funzionario dell’intelligence australiana”.

Intifada globale
Da parte sua, Jillian Segal, inviata speciale del Governo nella lotta all’antisemitismo, aveva avvertito che “il comportamento antisemita non è solo presente in molti campus, ma è parte integrante della cultura”. Qui sta il punto. Sono da soppesare le conclusioni della sua indagine:

“Siamo ormai in una fase in cui il razzismo antiebraico ha abbandonato i margini della società ed è diventato parte integrante del mainstream, dove è normalizzato e gli è consentito di inasprirsi e diffondersi, guadagnando terreno nelle università, negli spazi artistici e culturali, nel settore sanitario, nei luoghi di lavoro e altrove. In un simile contesto, gli ebrei nutrono legittime preoccupazioni per la loro sicurezza fisica e il loro futuro in Australia”.

Forse non solo in Australia.

Il razzismo, l’odio antiebraico “normalizzato”. Anzi, addirittura “riciclato come militanza politica”, scrive Il Foglio. Che affonda: l’intifada globale è l’idea “che la delegittimazione di Israele possa scivolare senza conseguenze nella demonizzazione degli ebrei, che slogan, piazze e campagne mediatiche aggressive restino innocue”.

Simmetria dell’odio
I due uomini che hanno aperto il fuoco sulla comunità ebraica di Sydney in festa, Sajid Akram (50 anni) e suo figlio Naveed (24 anni), erano due migranti provenienti dal Pakistan: padre e figlio, musulmani radicalizzatisi negli anni – dicono le ultime notizie – e con sospette simpatie per lo Stato islamico (confermate dal ritrovamento nella loro auto di bandiere dell’Isis).

La loro sparatoria, eseguita con calma, quasi come una battuta di caccia su un vasto branco di animali, ha fatto (cifre in continuo aggiornamento) 17 morti e 27 feriti. Senza dimenticare che, per chi è stato indotto a credere che lo Stato ebraico sia l’apoteosi del male, uccidere degli ebrei rappresenta una nozione distorta di giustizia, anche se le vittime sono civili disarmati.

A contrastare la “normalizzazione” di un simmetrico odio anti-musulmano, è tuttavia accaduto nel mezzo della sparatoria un episodio eccezionale, del quale abbiamo riprodotto le immagini qui sopra a beneficio dei (ci figuriamo) pochi lettori che ancora non le avessero viste. Il breve video ha fatto il giro del mondo.

Addirittura, è stata aperta una sorta di colletta online come forma di ringraziamento per l’autore di questo inaudito gesto di coraggio; una colletta che, in 24 ore, aveva già raccolto più di un milione di dollari.

L’eroe è siriano
L’uomo è Ahmed al Ahmed, 43enne arabo, padre di due figlie, di religione musulmana, giunto in Australia nel 2006 dopo essere scappato dalla Siria. Titolare di un negozio di tabacchi, in realtà venditore di frutta. Ha frattanto acquisito la nazionalità australiana, ciò che ha consentito al primo ministro del Nuovo Galles del Sud, Chris Minns, di scrivere su X che “in mezzo a tutto questo orrore, in mezzo a tutta questa tristezza, ci sono ancora australiani meravigliosi e coraggiosi, disposti a rischiare la vita per aiutare un completo sconosciuto”.

Ahmed ha infatti rischiato la vita gettandosi su uno degli attentatori, disarmandolo e salvando in tal modo alcune vite umane. È in seguito stato colpito da un proiettile esploso dall’altro terrorista ed è tuttora ricoverato in ospedale, dove ha ricevuto la visita del citato Minns.

Opportunamente, il primo ministro australiano Anthony Albanese ha affermato che i “sospettati” sono stati spinti a commettere un atto di antisemitismo da un’ideologia che rappresenta una “perversione estrema dell’Islam”. Sottoscriviamo.

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