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Politica e Potere
20.08.2015 - 09:510
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Il 9 febbraio, i "partiti delle cadreghe", le 4 liste PPD, il feeling con Rocco e il sogno di un grande centro col PLR... Lombardi: "Vi dico tutto!"

Il senatore e coordinatore del PPD a tutto campo da Berna al Ticino: "L'iniziativa RASA? Sbagliata! Ci indebolisce nelle trattative con Bruxelles"

di Marco Bazzi

Le quattro liste per il Consiglio nazionale targate PPD, la congiunzione a sorpresa con i Verdi Liberali, il feeling con il presidente del PLR Rocco Cattaneo, l’idea di costruire un grande centro, la replica a chi accusa di clientelismo i partiti storici, l’adesione all’Europa, i bilaterali e l’iniziativa RASA, che ci riporterà a votare sul 9 febbraio… Il consigliere agli Stati e coordinatore del PPD Filippo Lombardi parla a ruota libera su questi e altri temi che toccano la politica cantonale e federale.

E sull’iniziativa RASA, di strettissima attualità, dice: “La ritengo assolutamente sbagliata. Con questa iniziativa sul collo la posizione del Consiglio federale e dei negoziatori è da oggi ancor più difficile, perché Bruxelles potrebbe pensare che gli Svizzeri, come già in altri tempi gli Irlandesi e altri popoli, quando saranno chiamati a un secondo voto finiranno per cambiare idea".

Senatore, iniziamo dalle quattro liste targate PPD per le Nazionali di ottobre: non sono troppe? Più la congiunzione con i Verdi Liberali… Non rischiate di disorientare gli elettori?
 
“Forse in Ticino è una novità, ma negli altri cantoni è prassi costante presentare più liste. I principali partiti affiancano alla lista principale una lista giovani, una degli “over 60”, talvolta una degli Svizzeri all’estero… è un modo non solo di raccogliere il massimo possibile di voti, ma anche di far partecipare attivamente più cittadini al processo democratico. 

È vero che stavolta noi abbiamo ben due liste di giovani, ma erano così tanti a volersi mettere in gioco che abbiamo deciso di dare spazio a tutti. Questo è per me un segnale positivo, che indica un deciso risveglio di Generazione Giovani: subito dopo le Cantonali di aprile il nostro movimento giovanile aveva reagito organizzando un proprio congresso e ora queste due liste conferma entusiasmo e voglia di rivalutare la politica.”
 
Poi c’è anche la lista “Ticinesi nel mondo”. Volete creare una sorta di “Internazionale PPD” che rievoca – mi perdoni il paragone storico - modelli marxisti o sovietici?
 
“Non parlerei di Internazionale PPD, ma di Sezione internazionale del PPD svizzero, di cui sono diventato per l’occasione copresidente. Al tempo stesso sono stato eletto vicepresidente del Consiglio degli svizzeri all’estero, e come logica conseguenza di questi due impegni ho firmato quale primo proponente la lista dei “Ticinesi nel mondo” per le elezioni del 18 ottobre. Le tre cose sono la logica conseguenza del mio quindicennale impegno per gli Svizzeri all’estero, sfociato nella nuova Legge federale a loro favore, frutto di un mio Postulato e di una mia Iniziativa parlamentare. Si tratta di dare a questi 750 mila cittadini (il 12% dei detentori di passaporto svizzero!) il modo di far sentire la loro voce e di restare attaccati alla madrepatria. Non sono degli “esiliati”, sono il prolungamento della Svizzera oltre frontiera, sono i nostri ambasciatori nel mondo, spesso rientrano dopo un certo numero di anni: ogni anno ne partono circa 45 mila e ne rientrano circa 35 mila, altri ci rimandano i figli o i nipoti per gli studi…”
 
E la congiunzione a sorpresa con i Verdi Liberali?

“Anche qui, solo in Ticino ci si può sorprendere. Nella maggior parte di cantoni siamo da tempo congiunti con i Verdi Liberali, che nella legislatura 2003-2007 addirittura hanno fatto parte del Gruppo PPD. Con questo partito di centro condividiamo l’impegno pragmatico e senza rigidità ideologiche per uno sviluppo sostenibile (equilibrio uomo-ambiente-economia) che metta la persona umana al centro. 

È vero che loro sono contrari al completamento del S. Gottardo stradale prima di aver raggiunto gli obbiettivi della protezione delle Alpi, mentre noi crediamo che si debba procedere adesso per evitare tre anni di isolamento del Ticino e per aumentare la sicurezza, ma che quando le due canne saranno disponibili, ovvero nel 2030, la ferrovia sarà finalmente in grado di offrire l’alternativa migliore per le merci, con Alptransit Gottardo e Ceneri, corridoio a 4 metri da Chiasso a Basilea, rampe d’accesso e terminali intermodali in Italia e Germania.  La vedo più come una legittima differenza di prospettive e non come uno scontro ideologico insanabile!”

IL SOGNO DI UN GRANDE CENTRO

Nelle scorse settimane si è mormorato di un nascente “feeling” politico anche tra lei, coordinatore del PPD, e il presidente del PLR Rocco Cattaneo. Forse anche per via della presenza di quest’ultimo all’aperitivo che avete organizzato al San Gottardo dopo la messa celebrata dal Vescovo... Si sa che Cattaneo è credente, ma c’è di più?
 
“Guardi, oltre a provenire da una famiglia liberale e ad essere personalmente amico di Rocco, io ritengo che sia positivo per il Ticino che i due partiti storici di centro collaborino per trovare soluzioni pragmatiche ai problemi del Paese. In che modo questo debba concretizzarsi è tutto da approfondire.  Qualcuno aveva abbozzato anche l’idea di una congiunzione di liste tra PPD e PLR per le Nazionali di ottobre. Un passo che per il momento era forse prematuro. Credo però che una certa volontà di ricomporre e rilanciare politicamente il ‘centro’, a livello cantonale e federale, ci sia, e che si debba sostenere”.
 
Possiamo quindi dire che i ‘fatti di Stabio’ sono superati e che PPD e PLR si sono lasciati definitivamente alle spalle gli antichi rancori? 
 
“Sicuramente sì. Il PPD non è più un partito conservatore clericale, i liberali sono tolleranti e rispettano giustamente le opinioni di ciascuno, anche di chi crede. D’altronde in tutti i club, movimenti, associazioni professionali, culturali e sportive, esponenti PPD e PLR si ritrovano con grande frequenza e condividono molte idee e posizioni, per non parlare dell’ovvia collaborazione all’interno di società e aziende. Lo scontro all’epoca fu del resto più istituzionale ed ideologico che puramente confessionale: avveniva nel contesto storico di una Svizzera lacerata tra federalismo e centralismo. 

Oggi tutti riconoscono che federalismo e autonomie cantonali sono valori importanti da difendere, e tutti accettano di mettere in comune a livello federale ciò che serve alla modernizzazione del Paese. Possiamo dunque dire, a un secolo e mezzo da quella fase storica, che entrambi i partiti, PPD e PLR, hanno avuto ragione ad affermare i rispettivi valori, che entrambi in un certo senso hanno vinto, e che hanno costruito dialetticamente gli equilibri della Svizzera moderna. Possono dunque oggi collaborare senza remore al progresso del Paese”.
 
Non teme resistenze dai cosiddetti “mangiapreti” che ancora hanno un peso nel PLR?
 
“In entrambi i partiti rimangono dei nostalgici dei tempi e degli scontri passati. Fanno parte del nostro folclore politico, se non ci fossero ci mancherebbero… Però la grande maggioranza ha scoperto da tempo che solo nella tolleranza e nel dialogo, in particolare fra le forze di centro, si possono trovare le soluzioni alle grosse sfide che il Ticino deve affrontare. 

Personalmente ho sempre lavorato bene anche con radicali non credenti. Come d’altronde ci sono anche PPD non credenti, visto che l’adesione o il voto per il partito non è una questione confessionale, bensì di adesione ad un programma politico e ad una visione dell’uomo e della società fondata su valori umani e non solo cristiani. Una cultura politica che affonda le proprie radici nella nostra storia e nella nostra identità più profonda, comune a molti al di là delle frontiere religiose e partitiche”.
 
Un centro forte in Ticino può essere visto come alternativa alla predominanza leghista o ad alleanze che (come nel caso della congiunzione Lega-UDC) rafforzano il polo della destra…
 
“Ritengo che un centro forte debba saper condurre con continuità il Paese, a livello cantonale e federale, tenendo il timone al centro anche nei momenti di predominio delle idee posizioni sia di sinistra che di destra. Detto questo, la mia storia politica non è assolutamente una storia di anti-leghismo. Essere ‘anti-qualcosa’ per me è un atteggiamento politicamente negativo e poco intelligente”.
 
Non è stato nemmeno anticomunista quando, in gioventù, conduceva i giovani democristiani europei?
 
“Non lo sono mai stato nemmeno negli anni in cui si profilava un rischio di sovietizzazione dell’Europa: anche allora mi battevo per affermare i nostri valori occidentali liberaldemocratici e la nostra identità culturale, non “contro gli altri”. Per avere successo i partiti devono essere capaci di promuovere dei valori positivi e al tempo stesso di difendere efficacemente gli interessi della gente, che vive sempre di un mix di valori e interessi. Definirsi solo come anti-qualcosa o anti-qualcuno è riduttivo e fuorviante”.

I "PARTITI DEGLI AFFARI"

A volte gli interessi in politica si concretizzano sotto forma di favori, appalti, assunzioni, nomine, promozioni… Non pensa che PPD e PLR siano ancora visti da molti ticinesi come i partiti degli affari e delle cadreghe?

“Guardi, in tutti i paesi del mondo e in tutte le forze politiche – senza eccezioni, anche in Ticino! – chi detiene il potere cerca di esercitarlo occupando delle posizioni. Pensiamo a tutti i Dipartimenti del nostro Governo cantonale, dove il colore del Direttore si ripercuoteva tradizionalmente sull’intero organigramma. Idem a Berna, o nella radiotelevisone pubblica… Direi che nell’ultimo ventennio c’è però stato un miglioramento, già per qualche opportuna rotazione di dipartimenti, e per una maggior difficoltà a controllare il colore di chi non vuole dirlo, e ne ha il diritto”.
 
Insomma, tutto il mondo è paese, o così fan tutti, parafrasando al maschile l’opera di Mozart… Indi per cui va bene.
 
“Ci sono tre soluzioni possibili: la peggiore è che chi vince piglia tutto. Quindi il partito o la coalizione che ha la maggioranza o governa un dipartimento, impone i propri aderenti e scarta sistematicamente gli altri. In Ticino abbiamo assistito a questo fenomeno durante gli anni dell’alleanza di sinistra radical-socialista. 

C’è poi una variante intermedia: quella che si indentifica con tono spregiativo con il termine ‘lottizzazione’. Ma la ripartizione proporzionale delle cadreghe secondo il ‘Manuale Cencelli’ è comunque sempre meglio dello strapotere di una sola area”.

Veniamo alla terza soluzione…
 
“È senza dubbio la migliore, e si fa sempre più strada: prevede che le posizioni o gli incarichi vengano assegnati unicamente in funzione della competenza, senza riguardo all’appartenenza. Questo avviene oggi sempre più anche in Ticino. È un bene per il Paese, e qualche volta un grattacapo per i partiti”.
 
L'EUROPA,IL 9 FEBBRAIO E "RASA"

E ora il capitolo più complesso e spinoso: l’Europa. Lei è stato accusato di ‘collaborazionismo’ con gli euro-entusiasti quando ha aderito al comitato a sostegno dei bilaterali costituito in aprile.
 
“L’Europa è diventato il tormentone della politica ticinese innescando dinamiche assolutamente non corrispondenti alla realtà, perché viene tacciato di europeismo o di euro-fanatismo chiunque non voglia dichiarare guerra all’UE. Ma tra non volere la guerra e chiedere l’adesione ci sono molte posizioni intermedie”.
 
Come la sua…
 
“Esatto. Ricordiamo che nel ’92 il Consiglio federale propose una ‘mezza adesione’ all’Europa, attraverso lo Spazio economico europeo. La proposta venne bocciata dal popolo e fu un grande successo di Christoph Blocher, il quale però non intendeva proclamare l’isolazionismo della Svizzera, ma indicava quale soluzione la firma di una serie di nuovi accordi bilaterali nei temi che ci interessano, da aggiungere ai molti (circa 150) che già esistevano allora. La Svizzera ha dunque seguito la via indicata dal popolo nel ‘92, negoziando accordi che rappresentano un ‘quarto di adesione’. 

Quindi siamo ancora ben lontani dell’essere, come qualcuno teme, fagocitati dall’Unione Europea. Essa stessa ci percepisce come un corpo estraneo, come segnalato nel 2012 dalle arroganti dichiarazioni dell’allora presidente della Commissione Manuel Barroso ”.
 
Unione che però nel frattempo si è allargata ad Est, con tutti i problemi che sappiamo…
 
“Certo, uno dei problemi è che nel frattempo l’UE è diventata una potenza continentale di 28 membri e che la tendenza centralizzatrice ha preso il sopravvento sulla sussidiarietà costantemente invocata, per esempio, dai britannici. Questo rende più difficile la posizione della Svizzera, e le impone di negoziare in modo fermo e coraggioso i prossimi passi. Ma da qui a disdire un pacchetto di bilaterali ce ne passa. Anche perché bisognerebbe dire una volta tanto quali accordi si vorrebbero disdire, visto che sono circa 160”.

Ma col 9 febbraio (del 2014) come la mettiamo?
 
“Il voto del 9 febbraio chiede alla Confederazione di riprendere sotto controllo l’immigrazione e non può essere identificato come un voto di sfiducia contro l’insieme dei bilaterali. Il mandato assegnato dal popolo al Consiglio federale è molto preciso: negoziare entro tre anni una modifica della libera circolazione che concretizzi la volontà di controllo nazionale della politica migratoria. 

Oggi siamo esattamente a metà di questo termine, essendo passato un anno e mezzo dal voto, un anno e mezzo durante il quale da parte sua l’UE ha avuto ben altre priorità, a partire dall’elezione del Parlamento e dalla formazione della nuova Commissione, per non parlare delle crisi greca, ucraina, dell’Euro...”.
 
Molti ritengono che nel frattempo Berna abbia cincischiato…
 
“Anch’io faccio parte degli impazienti che vorrebbero andare avanti in fretta, ma non sono del tutto d’accordo con questa critica. La Confederazione ha proceduto a tutte le consultazioni interne per capire cosa andare a negoziare con Bruxelles e ora ha completato quest’opera preliminare con la nomina del negoziatore capo unico nella persona di Jacques de Watteville. 

La prova del fuoco arriva dunque adesso. E il risultato dipende non solo da noi ma anche dalle dinamiche interne messe in atto da alcuni stati membri, in particolare dal Regno Unito o dall’Ungheria, che desiderano a loro volta mettere un freno all’immigrazione. Mi sembrano incoraggianti le recentissime dichiarazioni del ministro degli esteri tedesco Steinmeier, desideroso di trovare una soluzione con la Svizzera. Sono convinto che parecchi Stati membri lo vorrebbero, l’ostacolo principale è la rigidità ideologica della Commissione”.
 
E come si pone lei rispetto a chi vorrebbe sabotare il 9 febbraio? 
 
“Ritengo assolutamente sbagliata l’iniziativa “Rasa” (Raus aus der Sackgasse - Usciamo dal vicolo cieco, ndr) che chiede lo stralcio puro e semplice dalla Costituzione dell’articolo 121a contro l’immigrazione di massa. Con questa iniziativa sul collo la posizione del Consiglio federale e dei negoziatori è da oggi ancor più difficile, perché Bruxelles potrebbe pensare che gli Svizzeri, come già in altri tempi gli Irlandesi e altri popoli, quando saranno chiamati a un secondo voto finiranno per cambiare idea. Insomma, la linea dell’UE potrebbe essere quella di aspettare senza negoziare. Il che con la Svizzera non funziona, per cui rischiamo un ulteriore inasprimento delle posizioni vicendevoli”.

In attesa che arrivi, in futuro, il giorno della ‘grande adesione’…
 
“Per parte mia non sono fautore di alcuna adesione, né strisciante, né rampicante e tantomeno galoppante! Proprio perché conosco troppo bene i meccanismi dell’UE, li ritengo inadeguati alla nostra realtà, fatta di federalismo e democrazia diretta, con forte senso di indipendenza e di auto-responsabilità. 

Io voglio solo restare fermamente ancorato al mandato che il popolo ha dato alla politica nel 1992, rifiutando di entrare nello Spazio economico europeo, poi nel 2000, accettando i cosiddetti Bilaterali I, infine nel 2002, asfaltando l’iniziativa ‘Sì all’Europa’, che chiedeva l’apertura dei negoziati per l’adesione. 

E intendo naturalmente concretizzare e applicare la volontà popolare del 9 febbraio 2014, che chiede di frenare in modo efficace l’immigrazione. I cittadini hanno espresso un malessere reale di fronte ad una crescita economica puramente quantitativa, che si traduce sì in maggiori posti di lavoro, ma a favore di terzi e a scapito della qualità di vita dei residenti. A questo malessere va data risposta rapida e concreta”. 
 
 
 
 
 
 
 
 

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