Più che “recensioni”, sono racconti di libri: capolavori, e opere dimenticate o trascurate, di autori celebri e meno celebri, classici e moderni. Apriamo con la "bibbia baleniera" di Herman Melville
Su liberatv nasce una nuova rubrica: Linea d’ombra. Una rubrica dedicata ai libri e alla lettura, il cui titolo è ispirato a un celebre romanzo di Joseph Conrad.
Più che “recensioni”, sono racconti di libri: capolavori, e opere dimenticate o trascurate, di autori celebri e meno celebri, classici e moderni… Un viaggio in una biblioteca, insomma, alla ricerca di parole che illuminano l’anima, che fanno sognare, fantasticare, riflettere, meravigliare… Che aprono la mente al mondo, quello in cui viviamo e quello in cui altri uomini, prima di noi, hanno vissuto.
Raccontiamo questi libri anche con un piccolo album fotografico. Sarà una storia infinita, per dirla con Michael Ende, perché la letteratura, da che è iniziata, finirà soltanto con l’estinzione dell’uomo.
I testi contenuti in questa rubrica sono stati pubblicati sul Caffè da alcuni anni a questa parte.
Iniziamo con un capolavoro, Moby Dick, di Herman Melville, l’opera considerata l’origine del romanzo moderno. Al romanzo si ispirarono i Led Zeppelin nell'omonimo pezzo, celebre soprattutto per l'assolo di batteria di John Bonham (GUARDA IL VIDEO). E Moby Dick fu anche raccontato nel film di John Huston, con Gregory Peck nel ruolo del capitano Achab (GUARDA IL VIDEO).
Marco Bazzi
MOBY DICK, O LA BALENA BIANCA
“Chiamatemi Ismaele”. L’inizio del romanzo è folgorante. Ed è già un riferimento biblico, perché nella Genesi Ismaele è figlio di Abramo e della schiava Agar, e con la madre viene cacciato nel deserto.
Per il protagonista-narratore di Moby Dick il deserto è l’oceano: “Avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo”.
Moby Dick, o la Balena è un romanzo enciclopedico e fantastico, che contiene riflessioni filosofiche, riferimenti letterari e biblici, note etimologiche sul termine balena, antropologiche sulla vita dei balenieri, e scientifiche sui capodogli.
Il capolavoro di Hermann Melville è un romanzo che chi ama leggere non può non leggere. Non da ultimo per la magistrale traduzione di Cesare Pavese.
La storia affonda le radici in due fatti di cronaca, il primo accaduto al largo di Nantucket, l’isola del Massachusetts da cui, al comando di Achab, salpa la baleniera Pequod, “un veliero cannibale, che si ornava delle ossa cesellate dei suoi nemici”.
Trent’anni prima della pubblicazione di Moby Dick, una baleniera venne affondata da un enorme capodoglio a 3'200 miglia dalla costa. E dieci anni dopo nelle acque del Cile venne catturato un capodoglio albino, Mocha Dick, che si narrò avesse una ventina di ramponi conficcati nel dorso e attaccasse le navi con inaudita ferocia.
Al comando del Pequod c’è il vecchio Achab, con la sua gamba di legno che risuona lugubre sul ponte. Un pazzo, ci racconta Ismaele: “La pazzia umana è sovente cosa scaltra e astutissima. Quando voi la credete passata, può darsi ch’essa si sia soltanto trasfigurata in una forma ancor più sottile”.
Il capitano è ossessionato dalla Balena Bianca, e per cacciarla ha radunato la ciurma del Pequod: “Tutto il sottile demonismo della vita e del pensiero, ogni male, per l’insensato Achab era visibilmente personificato in Moby Dick”.
Se Ismaele e Achab sembrano i protagonisti del romanzo, il vero protagonista è il leggendario capodoglio, che appare e scompare sull’orizzonte del mare.
“Non era tanto il suo non comune volume che lo distingueva da tutti gli altri capodogli, quanto una particolare fronte rugosa, bianca come la neve, e un’alta, piramidale gobba bianca”.
Quando, durante la terza e ultima giornata di caccia, dopo tre anni di inseguimento, Moby Dick affiora, Ismaele racconta: “Un basso suono di terremoto si fece udire, un rombo sotterraneo; e poi tutti tennero il fiato, mentre impacciata di cavi pendenti, di ramponi e di lance, una grande forma balzava per il lungo ma obliquamente sul mare. Sfumata da un sottile velo cadente di nebbia, si librò un istante nell’aria iridata e poi piombò sprofondando nell’abisso”.
È Achab stesso la Balena Bianca? Il suo doppio? È la morte, che nel cerchio chiuso della vita ci insegue e di cui, correndo per sfuggirle, finiamo col diventare inseguitori? I significati sono molteplici e contribuisco alla grandiosità del romanzo.
Sappiamo che la Balena trionferà. E che trascinerà negli abissi il Pequod, la sua ciurma e Achab, allacciato alla gola dalla cima di un rampone conficcato nel corpo del mostro. Sopravvivrà solo Ismaele, aggrappato a una bara. Nell’ultima pagina Melville cita ancora la Bibbia, il Libro di Giobbe: “E io solo sono scampato, a raccontartela”.