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29.04.2016 - 16:350
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Pensioni, cari ministri, fateci capire: ma oltre al fatto che vi aumentate il salario, metà dei contributi va a carico della Cassa pensioni che stiamo risanando con 40 milioni all'anno?

Questo messaggio sulle “previdenze a favore dei membri del Consiglio di Stato” sembra un pasticcio anche dal profilo pensionistico

di Marco Bazzi

Torniamo sulle pensioni dei ministri. E scusate, non è per rompere le palle, ma solo per capire. Premessa: riteniamo che chi esercita una carica pubblica di questo livello abbia diritto a una protezione economica futura. Non neghiamo quindi il diritto alla pensione, e nemmeno riteniamo che si possa parlare di “pensioni d’oro”. Certo, riteniamo che la tempistica con cui è stato presentato il messaggio “sulle previdenze a favore dei consiglieri di Stato” sia assolutamente impropria e politicamente assurda.
Dei ministri non possono permettersi di pensare al loro onorario quando presentano misure finanziarie per 180 milioni, metà delle quali incideranno sulla vita dei cittadini, più o meno benestanti. E se se lo permettono devono accettare di subirne le conseguenze, in termini di critica o disapprovazione, da parte dell’opinione pubblica.

Ma il punto è un altro. Questo messaggio sulle “previdenze a favore dei membri del Consiglio di Stato” sembra un pasticcio anche dal profilo pensionistico. L’articolo 11, in particolare, sta suscitando qualche perplessità tra gli addetti ai lavori.
L’articolo recita: “Il Decreto legge approvato dal Gran Consiglio il 23 febbraio 2015 stabilisce un contributo pari al 9% dell’onorario. La proposta qui presentata prevede di mantenere a carico del Consigliere di Stato la percentuale decisa dal Gran Consiglio. Il contributo non viene tuttavia prelevato sull’onorario base ma bensì su quello coordinato. Non è inoltre più previsto da parte dello Stato un contributo paritario, che costituirebbe un aggravio ingiustificato per le finanze cantonali, considerato come lo Stato sia già garante del pagamento delle prestazioni previste dalla legge. Questa configurazione compensa dunque abbondantemente l’esenzione dal pagamento del contributo. A sostegno ulteriore di questa tesi, va ricordato che il contributo così come stabilito non è frutto di un calcolo tecnico-attuariale, ma si fonda su una considerazione di principio e di equità, secondo la quale anche i Consiglieri devono contribuire - in misura ragionevole e sostenibile - al finanziamento delle misure di previdenza in loro favore”.

Che cosa significa? Significa che i ministri pagheranno – finalmente – il 9% di contributi sul loro salario (come tutti i lavoratori), anche se poi propongono di aumentarsi il salario stesso di circa 2'000 franchi al mese in modo da non intaccare il loro reddito netto. Ma il Cantone, che di fatto è il loro datore di lavoro (nel senso, i soldi per gli stipendi dei ministri da dove escono se non dalle casse cantonali?), non pagherà il corrispettivo contributo del 9%. Insomma: il Cantone non si comporterà come un normale datore di lavoro che paga la sua quota parte di secondo pilastro ai propri dipendenti. La frase è: “Non è inoltre più previsto da parte dello Stato un contributo paritario, che costituirebbe un aggravio ingiustificato per le finanze cantonali”.
Quindi? Quindi quel 9% lo pagherà, di fatto la Cassa pensioni dei dipendenti dello Stato, che noi tutti contribuenti stiamo risanando al ritmo di 40 milioni di franchi all’anno per 40 anni? Certo, lo pagherà solo quando dovrà versare le prestazioni pensionistiche ai ministri. Così, la Cassa pensioni diventa, di fatto, il datore di lavoro dei consiglieri di Stato? E se non è così da dove arriveranno i soldi per finanziare il 9% di contributi a carico del datore di lavoro?
Non siamo esperti di assicurazioni o giuristi, ma questa storia delle pensioni dei ministri ci pare, e non solo a noi, un grande pasticcio.

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