ImmigrazioneMassa
14.03.2014 - 08:580
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

9 febbraio, Dell’Ambrogio: “Anziché rivendicare il Sì, il Ticino dovrebbe preoccuparsi del proprio sviluppo”

In un editoriale sull’organo di partito il Segretario di stato alla formazione e alla ricerca torna sulla votazione del 9 febbraio, senza lesinare critiche sul post voto ticinese. “Bisognerà tirare la cinghia”

BERNA – “Gli stessi predicatori che ora cantano vittoria non sanno, o sottacciono, quanto bisognerà ora rimboccarsi le maniche e tirare la cinghia.” Si conclude così l’editoriale di Mauro Dell’Ambrogio, esponente PLR e Segretario di stato alla formazione, pubblicato su Opinione liberale. Un testo molto critico che getta molte ombre sul futuro dopo il voto sull’immigrazione di massa dello scorso 9 febbraio, a livello nazionale, ma ancora maggiormente a livello cantonale. 

Dell’Ambrogio inizia l’analisi paragonando la votazione di quest’anno con quella sullo spazio economico europeo del 1992, tracciando alcuni paralleli: “Nel 1992 il popolo respinse l’adesione allo Spazio Economico Europeo (SEE) e ne conseguirono tempi difficili per la Svizzera. Negli anni ’90 il debito pubblico crebbe enormemente, anche per finanziare programmi occupazionali e distribuire rendite d’invalidità ai definitivamente espulsi dal lavoro. In Paesi come l’Austria, che avevano aderito allo SEE e poi all’Unione Europea (UE), reddito e benessere aumentarono invece in quel periodo a livelli quasi svizzeri. Un decennio più tardi però, mentre l’UE comincia a soffrire dei propri squilibri, la Svizzera si riprende: grazie a ristrutturazioni condotte nei tempi difficili che la rendono più competitiva, comprese dolorose liberalizzazioni nei servizi pubblici; e grazie ad accordi bilaterali faticosamente conclusi con l’UE, che ci portarono molti vantaggi dello SEE in cambio di qualche concessione. L’ipotesi di aderire all’UE ha perciò perso credibilità. La situazione di Norvegia e Liechtenstein, che aderirono allo SEE ma non all’UE, prova che un SI nel 1992 sarebbe pure stata un’opzione vantaggiosa.”

Secondo il Segretario di Stato alla formazione e alla ricerca l’importante è dunque saper trarre il meglio dalla strada che si sceglie, piuttosto che rimpiangere le scelte fatte. “Il voto del 9 febbraio mina ora le basi degli accordi bilaterali e riporta l’incertezza di vent’anni fa. Cosa ci aspetta, se gli accordi bilaterali fossero disdetti, o anche solo congelato il loro adeguamento? Come saranno fissati e gestiti i contingenti per la manodopera estera, e con quali conseguenze per quali settori economici?”

Tante domande che per Dell’Ambrogio generano solo maggiore incertezza, e “l’incertezza è veleno per lo sviluppo, frena gli investimenti e condiziona le decisioni di imprese di stabilirsi o trasferirsi. In un più lontano futuro forse il 2014 entrerà nei miti antieuropeisti insieme con il 1992, come affermazione della nostra diversità per rinnovare le basi del benessere. Ma nei prossimi anni ci aspettano soprattutto rischi e problemi: perdita di impieghi, di introiti fiscali e contributi sociali, tagli nei conti degli enti pubblici.”

“I posti di lavoro, prima di distribuirli, bisogna crearli”

Ed è proprio in merito agli impieghi e al mercato del lavoro che Dell’Ambrogio concentra le maggiori preoccupazioni relative allo sviluppo ticinese, come si legge nell’articolo: “Non è certo che gli Svizzeri troveranno più lavoro meglio pagato, al posto di stranieri respinti. Il Ticino ha una prospettiva particolare, non solo per l’impossibile concorrenza leale con un vicino tanto diverso e in profonda crisi, ma anche perché rami economici che profittano delle barriere, come l’edilizia, prevalgono nell’economia locale sui rami che sopravvivono solo con l’apertura, come l’industria. Ma il Ticino ha salari sotto la media, prestazioni sociali (rendite AVS) di livello svizzero, e numero di beneficiari (disoccupati, pensionati, invalidi) superiori alla media. Una situazione comoda finché tiene la solidarietà nazionale, ma che è potenzialmente pericolosa per i deboli se la Svizzera cessa di crescere. Anziché aspettarsi trattamenti di favore per avere fatto pendere la bilancia in favore del SI, il Ticino dovrebbe preoccuparsi del proprio sviluppo. I posti di lavoro, prima di distribuirli, bisogna crearli. Porre il freno ai posti malpagati per soli frontalieri è cosa ben diversa che creare posti meglio pagati. Il settore dove più facilmente il Ticino li creava, la finanza, è già tanto se li conserva, dopo che già è sparito il gettito fiscale.”

Infine arriva anche l’affondo contro “i predicatori della sovranità, che volevano scrivere il segreto bancario nella costituzione, sono stati smentiti da chi (le banche stesse, ben prima dei politici) ha dovuto confrontarsi con le pressioni internazionali nella pratica, non solo in teoria. Gli stessi predicatori che ora cantano vittoria non sanno, o sottacciono, quanto bisognerà ora rimboccarsi le maniche e tirare la cinghia” conclude l’editoriale. 

red

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