foto: TiPress/Gabriele Putzu
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Cronaca
10.03.2018 - 14:560
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Una 34enne ci racconta la sua odissea burocratica per (non) ottenere un sussidio di cassa malati. "Convivo con una donna per dividere l'affitto. Ho dovuto dimostrare di non avere una relazione con lei. Ma per il Cantone noi siamo una coppia"

Il racconto di una nostra lettrice: “Ho cercato di spiegare ai funzionari del Cantone che non esiste nessun tipo di relazione sentimentale tra me e questa donna. Ho dovuto anche spedire delle lettere che certificavano le mie affermazioni”

BELLINZONA - Cosa può comportare una semplice richiesta di sussidio di cassa malati? Solitamente soltanto un iter burocratico che certifica i diritti del richiedente, ma a volte capita che la burocrazia diventi una macchina biblica, con tempi d’attesa fino a sei mesi. E fosse soltanto questo…

Una giovane donna ticinese di 34 anni – la cui identità è nota alla redazione – ha contattato liberatv per raccontare la sua odissea, con tanto di documenti alla mano. Un’odissea che definisce “una travagliata procedura con l’Istituto delle assicurazioni sociali” (IAS).

All’origine della lunga trafila per tentare di ottenere il sussidio c’è un dato di primaria importanza: per sbarcare il lunario, la donna ha deciso di condividere il suo appartamento con una coetanea. Semplicemente per dividere le spese d’affitto, racconta.

Ma a quel punto, alla sua richiesta di sussidio di cassa malati, l’IAS ha risposto che, racconta sempre la 34enne, “essendo in corso una relazione con la mia coinquilina, bisognava tenere conto anche delle entrate di quest’ultima”.

“Ho cercato di spiegare ai funzionari del Cantone che non esiste nessun tipo di relazione sentimentale tra me e questa donna. Ho dovuto anche spedire delle lettere che certificavano le mie affermazioni”.

Per ben tre volte, aggiunge, parlando di arbitrarietà, ho dovuto autocertificare che tra me e la mia coinquilina non esiste alcun legame sentimentale.

“Col passare del tempo – prosegue la donna -, i problemi si sono complicati anziché risolversi. È stata più volte violata la nostra privacy. A partire dall’inserimento di dati personali in lettere intestate all’altra persona, ma non solo...”.

A indignare la 34enne sono stati in particolare un colloquio telefonico e una lista di domande ‘invasive’ a cui ha dovuto rispondere.

“Ci hanno costrette a rispondere a domande imbarazzanti, che partono sempre dal presupposto che tra noi due esista una relazione. Quindi: perché conviviamo, chi ha comprato i mobili, chi si occupa delle pulizie, e via dicendo... Ma sono davvero necessarie queste informazioni per ottenere un sussidio di cassa malati?”.

In ogni caso, nemmeno le risposte al questionario hanno portato gli effetti sperati. La richiesta è stata respinta in quanto essendo conisderate come “coppia” il reddito delle due donne supera la soglia massima prevista per ottenere un sussidio.

Ma la donna contesta anche questo: secondo lei “la somma tassata per entrambe non si avvicina nemmeno lontanamente ai 60’000 franchi indicati dall’Istituto delle assicurazioni sociali”.

A questo punto, di fronte a una situazione che non accenna a sbloccarsi, la 34enne ha deciso di rinunciare a chiedere il sussidio.

“Non potendomi permettere un avvocato – spiega -, sono stata costretta a fare un passo indietro. Telefonicamente mi hanno suggerito di mettermi in assistenza, perché ritengono che il processo per ottenere un sussidio, nel mio caso, sarebbe più semplice. Ma perché dovrei iscrivermi all’assistenza? Svolgo un’attività indipendente, e la voglia di lavorare non mi manca, anche se deve tirare la cinghia”.

RIVA
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