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27.03.2015 - 13:560
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Germanwings. Kessel: “Gesto di una lucidità agghiacciante”, Testa: “Protocolli di sicurezza da cambiare: senza quella porta blindata...”

I piloti Gianni Testa e Dario Kessel spiegano come funzioni il sistema anti terrorismo e a quali controlli debba sottostare il personale di volo

LUGANO – In ultima analisi si potrebbe dire che a causare il disastro del volo Germanwings sia stata proprio la ricerca di sicurezza, che non ha previsto però che il pericolo potesse venire dall’interno. Un paradosso costato la vita a 150 persone. Ad aver permesso al copilota Andreas Lubitz di portare a termine il suo folle piano è stata proprio la porta blindata che divide il cockpit, la cabina, dal resto del velivolo.

A spiegare come funziona sono Dario Kessel e Gianni Testa, a cui abbiamo chiesto un parere, in quanto piloti, sugli interrogativi sollevati dall’accaduto. Difficile, da ‘profani’, capire come sia potuto accadere che il pilota, o chiunque altro, non sia riuscito a rientrare in cabina per fermare Lubitz. Il funzionamento, e perfino l’esistenza, della porta blindata, fino alla sciagura degli scorsi giorni era infatti se non un segreto, “un aspetto che si cercava di non divulgare”, commenta Kessel.

Il motivo è abbastanza logico: questo sistema, che si trova equipaggiato su tutti i voli di linea, fa parte delle disposizioni adottate dopo i dirottamenti dell’11 settembre. Il suo scopo è quello di evitare che qualcuno possa penetrare in cabina e prendere il controllo dell’aereo. Questo avviene tramite diversi gradi di sicurezza, come mostra anche un video (vedi in coda all’articolo) che ha iniziato a circolare su youtube a pochi giorni dal disastro.

I piloti sono in ogni momento chiusi all’interno della cabina. Se il personale esegue la corretta procedura, la porta viene aperta. Altrimenti, il pilota può bloccarla, impedendo sempre l’accesso di altre persone. Il sistema prevede però anche una modalità di emergenza: nel caso in cui, come mostra il video, dalla cabina non giunga alcuna risposta, utilizzando il telefono interno e attivando la modalità con un codice che viene fornito al personale prima della partenza, il sistema prova per trenta secondi a contattare i piloti. Se non si ottiene ancora nessuna risposta, la porta viene automaticamente aperta per cinque secondi.

Modalità di emergenza che permette di entrare in cabina solo nel caso in cui i piloti siano, in sostanza, privi di sensi. Se chi è all’interno vuole rimanere barricato invece, “non c’è modo di entrare. Si può provare con tutto, ma è praticamente impossibile buttar giù la porta. È stata studiata per questo”, spiega Testa secondo cui queste procedure andrebbero cambiate.

Opinione che è anche di Kessel. Secondo entrambi, la prima reazione a caldo – annunciata ad esempio da EasyJet – di rendere costante la presenza in cabina di due persone “è solo un palliativo”. Chi potrebbe entrare in sostituzione? Una hostess? Un assistente di volo? “Non saprebbero comunque pilotare l’aereo. Se il pilota volesse farlo schiantare, potrebbe farlo comunque”, commenta Kessel, secondo cui “se andiamo avanti di questo passo, ci vorrà il terzo pilota”.

Oppure, riflettono entrambe, una soluzione potrebbe essere quella di ripristinare la presenza di agenti in borghese a bordo, come già avviene, spiega Kessel, sui voli americani e svizzeri per le tratte considerate a rischio “e penso si dovrà giungere a questo”.

“L’esasperazione della sicurezza ha portato a delle mancanze nelle procedure – aggiunge Testa –. Suonerà cinico, ma al punto in cui siamo ora la questione è riassumibile con una semplice equazione: terroristi bloccati da misure antiterrorismo: zero; persone uccise da misure antiterrorismo: 150. Ci vorrebbe una compagnia che con coraggio vada contro a questo sistema. Qualcuno deve avere la possibilità di aprire la porta dall’esterno in qualsiasi momento”. Questo anche nel caso di altre situazioni pericolose come un atterraggio fuori pista, un incendio a bordo. “Il sistema del telefono è troppo complicato, bisogna trovare una soluzione più immediata”.

Ma, aggiunge ancora Testa, “la sicurezza assoluta non esiste. Il problema è anche nel cervello delle persone: se un embolo parte nella direzione sbagliata, capita quello che capita. Seconda persona o no, se qualcuno ha deciso di farla finita non conosce ostacoli. Sono speculazioni fatte col senno di poi, ma Lubitz sembra aver premeditato il suo gesto e atteso il momento buono: se non era questo volo, sarebbe stato un altro. Non è il primo caso di suicidio, ce ne saranno stati anche altri che riguardano tentativi falliti di cui non siamo venuti a conoscenza. È normale che le compagnie siano reticenti a parlarne. Ma ammiro molto le autorità francesi per esser state trasparenti e immediati nelle risposte. Questo ha permesso almeno di aprire il dibattito e fare in modo che si possa imparare da quanto accaduto per evitare che si ripeta”.

L’altro grande interrogativo emerso, oltre all’aspetto della sicurezza, riguarda infatti gli stessi piloti. Chi li controlla e come questo avviene? L’attenzione si è concentrata sui controlli psicologici: prassi ne vuole solo uno, in fase di addestramento. Poi, ottenuta l’abilitazione al volo, il pilota deve sottoporsi a controlli medici di routine annuali fino a 40 anni e semestrali dopo i 40. Una prassi che nel caso di Lubitz fa ancor più riflettere: il 28enne, secondo indiscrezioni rivelate dal quotidiano tedesco Faz che però non hanno ancora trovato conferma da parte di Lufthansa, aveva già avuto problemi di depressione in passato durante la sua formazione, sospesa per questo motivo per qualche mese nel 2009. Rientrato, aveva superato i controlli ottenendo l’abilitazione.

“Mi domando come abbiano potuto rimetterlo in cabina”, commenta Testa. “Sarebbe strano, ma magari era ancora in cura adesso. Aspetti che sarà interessante veder chiariti da parte della compagnia, perché fa orrore, anche se non è il primo caso, pensare che cose del genere possano accadere”.

E orrore lo fa anche uno degli ultimi dettagli emersi, quello che riguarda le modalità con cui l’aereo si è schiantato: non una discesa in picchiata, ma controllata. Lubitz ha infatti modificato il pilota automatico, variando l’altitudine di volo da 38mila a 100 piedi. Otto sono stati i minuti impiegati dall’aero per schiantarsi. Questo “l’aspetto più allucinante e agghiacciante” secondo Kessel che proprio per questo motivo crede con difficoltà all’idea di un raptus suicida. “Di fronte a una simile dinamica, anche se non c’è stata alcuna rivendicazione, penso che la possibilità di un atto terroristico non sia da scartare. Prendere un aereo e farlo andare in discesa controllata per tutto quel tempo richiede una lucidità paurosa. È una cosa allucinante, dietro non può esserci solo la voglia di morire o di distruggere l’Airbus. È la mia impressione, ma solo indottrinati da qualcuno, che sia una setta, l’IS o Al-Qaeda, si può fare una cosa del genere”.

Le speculazioni sulla depressione possono esser vere, aggiunge. Ma i piloti vengono testati anche dopo la formazione. Non è un esame psicologico, “ma durante le sessioni di simulazione di volo si viene messi in ogni sorta di situazione di stress ed emerge anche questa componente”. Il rischio, per Kessel, è che ora, oltre che sul fronte della sicurezza dei velivoli, si esageri anche su quello dei controlli psichiatrici sui piloti. Inutilmente: “La sicurezza assoluta non l’avremo mai: il raptus può capitare a chiunque e lo si potrà evitare con certezza solo quando non ci saranno più i piloti a bordo. Ci stiamo arrivando, ma si imporranno allora altri problemi”.

Volare tecnicamente è sicurissimo, conclude. “Abbiamo ormai aerei iper sicuri e il 90% dei piloti è perfetto. E le compagnie che sorvolano i nostri cieli devono sottostare a controlli di sorveglianza estremamente elevati. Gli incidenti tecnici capitano sempre meno nel mondo occidentale. La preparazione dei piloti e quella tecnica sono all’avanguardia, ma contro la componente umana, contro la sua volontà, non si può fare niente. È disarmante ma è così”, conclude Kessel.

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