CRONACA
La prima regola della Mangialonga è: non si parla della Mangialonga. Come il Fight Club. Tutto il resto sono 15 chilometri di poesia sulle strade del vino. Ecco il racconto...
Alla fine, come dopo ogni esperienza, devi tirare le somme. E, in questo caso, decidere se hai più camminato, mangiato o bevuto...Ma alla fine non è questo che conta

MENDRISIO - Alla fine, come dopo ogni esperienza, devi tirare le somme. E, in questo caso, decidere se hai più camminato, mangiato o bevuto.

Di solito, alla fine della Mangialonga, è quest’ultimo parametro che prevale. Però è soggettivo, come ogni cosa che fai nella vita. E, alla fine, non è nemmeno quel che conta. Anzi…

Conta che questa, che potrebbe sembrare una delle tante passeggiate enogastronomiche in voga nel mondo moderno, è, in realtà, il frutto di una grande e perfetta organizzazione – che è poi quella che si riflette negli eventi della Vineria dei Mir –, che ha dei picchi di altissima poesia.

Vogliamo parlare del panorama che ti trovi di fronte scendendo il Colle degli Ulivi, sopra Castel San Pietro? Che senza Mangialonga quel girone dantesco tra i vigneti non avrai mai l’occasione di scenderlo…

Impagabile. Da sola questa esperienza vale la fatica dei – quanti erano Max alla fine? – 15 chilometri e mezzo di marcia in undici tappe, che le ultime ti sembrano un calvario – non tanto per la distanza quanto per il tasso… - ma ormai sei lì e non puoi che proseguire.

Quest’anno il percorso è stato venduto come più semplice : non c’era più l’arrampicata bestiale per raggiungere la chiesa di Obino. Però c’era la trappola del Parco del Daniello, un saliscendi su un sentiero fangoso nella valle della Motta, seguendo il corso di un torrentello torbido, apparentemente senza senso. Ma che un senso l’aveva.
E qui torniamo al senso, al senso della vita e di ogni cosa che si fa.

Tra le esperienze che hanno segnato questa Mangialonga, tra i boschi, i vigneti, i casolari (e anche tra le brutture) del Mendrisiotto, citiamo…

La distesa di aglio orsino che profumava il sentiero del parco maledetto, il minestrone servito da Mirko Rainer alla sosta numero 8, alla Cantina Trapletti, dove il patron, Enrico, Ricu per gli amici, proponeva una degustazione verticale dei suoi vini, che si chiudeva con un Nabumba ancora giovane ma di grande eleganza. E potenza.

Poi, il resto tutto ottimo e degno di nota (la polenta al burro al Molino fantastica, come la grande macina che trasformava il grano in farina, ecco il senso del Parco del Daniello), ma vogliamo citare due momenti musicali: quello del trio jazz con il clarinetto di Paolo Tommelleri nella cascina del Colle degli Ulivi, e il delicatissimo omaggio a David Bowie del chitarrista Paolo Fabbris: Starman.
Il tutto per 50 franchi. Quindi, la prima regola della Mangialonga è che non si parla della Mangialonga. Da Fight Club, di Chuck Palahniuk. O, se preferite, di Quentin Tarantino.

Marco Bazzi

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