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08.09.2013 - 15:160
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Burqua sì, burqua no, due donne a confronto: "Difendiamo i nostri valori". "Iniziativa islamofoba"

Faccia a faccia a tutto campo tra Iris Canonica, tra i promotori dell’iniziativa, e Pepita Vera Conforti, del Coordinamento donne della sinistra

BELLINZONA- Il 22 settembre i ticinesi saranno chiamati a votare, tra gli altri temi, anche sulla cosiddetta norma “anti-burqua”, o meglio sul “divieto di dissimulazione del viso nei luoghi pubblici”. Più precisamente, gli oggetti in votazione sono due: l’iniziativa popolare costituzionale del marzo 2011 e il controprogetto del Gran Consiglio del mese successivo. L’iniziativa chiede che il divieto sia introdotto nella Costituzione cantonale e di regolarne poi i dettagli, come le eccezioni e le sanzioni, in una legge. Il controprogetto prevede invece l’introduzione di una legge che, al contrario del divieto nella Costituzione, potrebbe essere modificata in futuro dal Gran Consiglio.

Liberatv propone un confronto sulla votazione e sull’argomento tra Iris Canonica, membro del comitato promotore dell’iniziativa, e Pepita Vera Conforti, del Coordinamento donne della sinistra.

Per quale motivo pensa che un divieto di dissimulazione del viso nei luoghi pubblici debba essere introdotto o rispettivamente negato?

Canonica: “L’iniziativa chiede che il divieto venga inserito nella Costituzione cantonale perché si parte da un principio molto condiviso dalle persone, ossia l’identità, che mette in relazione la persona e le dà dignità. Il divieto difende valori fondamentali, che attraverso la dissimulazione del viso vengono cancellati. Oltretutto, la copertura del volto non fa parte della nostra cultura occidentale. Voglio però solo che sia chiara una cosa: non si tratta di un tema di norma religiosa, ma di valori fondamentali, come l’espressione della propria identità. Parallelamente poi, c’è anche la questione della sicurezza, su cui fa leva il controprogetto, ma per noi il testo è insufficiente, perché il legislativo potrebbe in futuro modificare la legge.”

Conforti: “Si tratta di voler inserire articoli negativi nella nostra Costituzione, che per altro contiene già le basi per potersi opporre a ciò che gli iniziativisti vogliono combattere. La Costituzione federale indica fortemente che nessuno può esser discriminato per il proprio sesso e per le proprie usanze. Inoltre nel Codice penale sono presenti articoli che permettono di punire proprio coloro che opprimono o fanno coercizione nei confronti di un’altra persona. Perciò il nostro codice penale risponde già alla preoccupazione dell’iniziativa: se una donna è obbligata a portare il burqa, i mezzi legali per agire in sua tutela ci sono. Anzi il risultato concreto di questo divieto è il rischio di peggiorare la situazione femminile. E inoltre esaspera un conflitto etnico-religioso che al momento in Ticino non esiste, radicalizzando delle posizioni problematiche invece di trovare una soluzione. Questo, dal punto di vista della società, è un aspetto molto grave.”

In Ticino, ed è una delle argomentazioni dei contrari, il problema non sussiste, cioè è un falso problema. Cosa ne pensa?

Canonica: “Dico che esistono poche donne con il volto coperto, ma dico anche che il problema si porrà sempre di più, come si è già visto nei Paesi vicini. Degli esempi sono la Francia e il Belgio, dove il divieto è poi stato introdotto dai rispettivi parlamenti. Credo inoltre che debba essere fatto un discorso sui valori, non si possono più tollerare simili chiusure che toccano prevalentemente le donne.”

Conforti: “Lo dice addirittura il messaggio del Governo, se parliamo del velo integrale i dati sono veramente esigui. A Berna e a Zurigo si contano solo un centinaio di residenti velate integralmente. Certo mi è capitato di vederne anche in Via Nassa a Lugano, ma si tratta di vacanziere dall’Arabia Saudita, non di residenti. Ci tengo a chiarire che essere contrari al divieto non vuol dire essere d’accordo con l’obbligo di coprire il volto. Si tratta invece di essere per il diritto all’autodeterminazione: ogni persona, uomo o donna, deve esser libero di vestirsi secondo i propri criteri e voleri. Con il divieto invece non risolviamo il problema, ci nascondiamo solo dietro a un dito, perché il velo può essere indicativo solo di uno dei simboli di oppressione, ma dimentichiamo quelle oppressioni non visibili e non necessariamente riconducibili a una etnia o religione. Magari non vedremo più le donne velate, ma abbiamo semplicemente scopato sotto il tappeto il problema dell’oppressione femminile.”

Secondo lei, questo divieto va ad intaccare la libertà di credo?

Canonica: “L’ho già detto e scritto a più riprese: indossare un abbigliamento che copre il volto non è un dettame religioso e l’Islam non lo impone. Al massimo si tratta di integralismo, fanatismo, per intenderci. Non ci sono religioni che impongono la copertura del viso. E aggiungo, se anche ci fossero, ci opporremmo, perché il principio che appoggiamo è quello della manifestazione della propria identità.”

Conforti: “Sì, un altro difetto che ha questa iniziativa è pensare sempre alle donne unicamente come a vittime. In Svizzera la libertà di culto dei singoli è garantita e ci sono anche delle conversioni religiose libere. Se una donna musulmana volesse portare il velo in modo consapevole, le sarebbe proibito e si limiterebbe la sua libertà di credo. Secondo me l’iniziativa nasce da un concetto islamofobo per cui si ha paura e si vuole combattere l’avanzata dell’islam. Questo è un po’ lo spirito con cui io ho letto gli atteggiamenti di chi ha portato avanti iniziative come questa. Aggiungo una cosa: perché non far votare le donne straniere su questi temi? Perché devono rimanere invisibili senza poter avere i mezzi per autodeterminarsi? Spariscono dalla nostra vista non solo perché coperte da un velo, ma perché manipolate dagli iniziativisti per fini che non hanno nulla a che vedere con la loro salvezza”.

Dopo il divieto della costruzione di minareti su suolo svizzero, se passasse anche questo, pensa che l’immagine della Svizzera possa risentirne?

Canonica: “Perché dovrebbe essere percepito male? Già in Francia e in Belgio è stato introdotto il divieto e sono comunque democrazie libere. Io la vedo come una battaglia per difendere la dignità delle persone, in altri Paesi si è arrivati tardi e il problema era già acuto. Perché alla fine è anche un problema d’integrazione, queste persone devono poter essere inserite in un certo modello di società.”

Conforti: “Secondo me sì. Altri paesi e cantoni hanno fatto scelte diverse. Basilea ad esempio ha deciso di respingere iniziative di questo genere perché consapevole di creare un precedente di forte intolleranza nei confronti delle persone con altra fede e di esasperare le divisioni. Oltretutto ritenendole anche contrarie all’articolo 8 della Costituzione. Il segnale sarebbe di grande chiusura. È vero la Francia ha adottato il divieto e come approccio democratico possiamo riconoscerne un carattere universalista in cui l’identità personale è meno importante rispetto all’identità nazionale e in cui quindi il burqa e il niqab rappresentano una minaccia. Ma è stata anche una mossa di tipo politico. È più facile dire via il burqa che non affrontare i problemi di segregazione e di emarginazione, o discriminazione nell’accesso al mondo del lavoro nei confronti di alcune etnie.”

Se il divieto fosse accettato, quali potrebbero essere le conseguenze?

Canonica: “Credo che se passa la nostra iniziativa costituzionale, ci sarà un effetto domino in altri Cantoni, che già ci guardano con interesse. La Confederazione dice che sono i Cantoni a dover provvedere alla salvaguardia della sicurezza interna, bene: il Ticino lo sta facendo. E aggiungo di più, se l’iniziativa passasse, sarebbe la prima volta che un divieto di dissimulazione del volto in luogo pubblico viene approvato su base popolare.”

Conforti: “Se effettivamente la donna è obbligata a indossare il velo, potrebbe non più uscire di casa. Non avrebbe più nessuno spazio e la sua possibilità di integrarsi e determinarsi sparirebbe. Inoltre il velo non è sempre un obbligo, ma può dipendere anche, pur in una tradizione culturale che a noi da molto fastidio, dalla propria volontà. Vietandoglielo si sentirebbe indifesa perché si trova in un paese straniero da cui si sente ancora più scacciata. Oltretutto la si renderebbe ancora più vittima perché oltre che costretta sarebbe anche multata. Infine ci tengo a sottolineare un fatto. Nel caso in cui la donna con permesso provvisorio legato all’attività del marito decidesse di separarsi perché costretta a portare il velo, sarebbe obbligata a ritornare nel suo paese. Succede regolarmente anche in caso di violenza domestica, figurarsi se non succede in questa occasione. Se prima non mettiamo a posto questi aspetti, iniziative di questo tipo possono solo danneggiare la situazione femminile, in particolare delle donne straniere che pretendiamo di difendere. Quello che vorrei è che Giorgio Ghiringhelli e i suoi sostenitori mettessero tutta questa energia per lavorare concretamente contro la violenza sulle donne, affrontando tutte quelle problematiche di oppressione femminile altrettanto importanti che meritano un maggiore investimento. Vorrei trovare al mio fianco questa loro energia quando ci battiamo in favore di proposte di cui potrebbero beneficiare tutte le donne. Per cui, questa radicalizzazione del discorso su un elemento che interessa pochissime persone e che non apporterebbe loro nessun beneficio reale, mi sembra una gran perdita di tempo.”

IB/DV

 

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