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15.01.2019 - 21:460

“Basta complicità con un terrorista!”. Lorenzo Quadri si scaglia contro Alvaro Lojacono Baragiola, che lavora all’Uni di Friborgo. Ecco la sua storia

“Quando finirà la pluridecennale latitanza di questo terrorista rosso, oltretutto - vergogna doppia! - stipendiato con soldi pubblici?”

LUGANO – “Porre fine alla complicità con un terrorista!”. Il consigliere nazionale Lorenzo Quadri si scaglia contro Alvaro Lojacono Baragiola rilanciando la notizia di tio.ch.

 

- “Bonjour, oui c'est moi”. La voce al telefono risponde in francese, poi passa all'italiano. «Lasciatemi stare», e chiude la chiamata. Alvaro Baragiola è un latitante "rosso" per le autorità italiane, che da 40 anni sono sulle sue tracce. Ma per gli studenti dell'università di Friborgo è un collaboratore amministrativo come tanti. Lavora negli uffici del Dipartimento di scienze sociali, in Boulevard de Pérolles, dove lo abbiamo raggiunto telefonicamente -.

 

Fin qui la notizia di Tio. Segue il commento su Facebook di Quadri: “Quando finirà la pluridecennale latitanza di questo terrorista rosso, oltretutto - vergogna doppia! - stipendiato con soldi pubblici? (Prima dalla rossa RSI, che usava il canone più caro d'Europa per pagare un brigatista, adesso dall'Università di Friborgo)?

La Svizzera metta finalmente termine alla scandalosa complicità con un terrorista! Che costui, come Cesare Battisti, sia chiamato a scontare la pena per i crimini che ha commesso! Atto parlamentare in arrivo!

Che ne è, in questo caso, della tanto decantata "reputazione internazionale" della Svizzera con cui la partitocrazia, e specialmente la sinistra, ama sciacquarsi la bocca? Niente da dire al proposito?”.

 

Chi è Alvaro Lojacono Baragiola

 

Nel 1980 Alvaro Lojacono Baragiola è espatriato prima in Algeria, poi in Brasile e infine in Svizzera, essendo cittadino svizzero, dove sotto mandato di arresto internazionale è stato messo in detenzione preventiva con l'accusa di aver partecipato agli avvenimenti di via Fani e di aver ucciso il giudice Girolamo Tartaglione.

 

Il 6 novembre 1989 la corte di assise del Canton Ticino lo condannò a 17 anni di prigione per l'assassinio del giudice Tartaglione e due tentativi di rapina a mano armata.

 

Attività politica

 

Con il nome di battaglia "Otello", milita prima in gruppi della sinistra extraparlamentare romana, e in particolare di Potere Operaio, e poi nelle BR.

 

Attività terroristica

 

Alvaro Lojacono Baragiola è stato condannato in contumacia a 16 anni di carcere per l'uccisione dello studente greco Miki Mantakas avvenuto il 28 febbraio 1975 di fronte alla sede del Movimento Sociale Italiano nel quartiere Prati.

 

Successivamente, passato alle Brigate Rosse, nel 1978 è stato sospettato di partecipare all'assassinio del giudice Riccardo Palma (14 febbraio 1978). Il 10 ottobre 1978 ha partecipato all'assassinio del magistrato Girolamo Tartaglione, direttore generale del Ministero di Grazia e Giustizia. È anche stato sospettato di aver partecipato alla Strage di via Fani, con l'uccisione di 5 uomini della scorta e il rapimento di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana.

 

Sfruttando la cittadinanza svizzera della madre, Lojacono espatria e diventa cittadino svizzero. In Svizzera è stato condannato a 17 anni di carcere per l'omicidio di Girolamo Tartaglione, scontandone 11 per buona condotta.

 

L'8 giugno 1988 le autorità elvetiche aprirono una procedura per un'eventuale partecipazione al sequestro Moro, ma questa venne archiviata per mancanza di prove in quanto gli autori del delitto si erano rifiutati di testimoniare davanti la giustizia elvetica.

 

Nel processo Moro quater la giustizia italiana lo condannò all'ergastolo in contumacia per aver bloccato con Alessio Casimirri via Fani, intrappolando l'auto di Aldo Moro e della scorta (sentenza confermata il 14 maggio 1997).

 

Dal canto suo la giustizia svizzera decise di non promuovere verso Lojacono l'accusa di assassinio e quindi di non rinviarlo a giudizio. Dopo il carcere, esce in libertà condizionata.

 

Nel giugno del 2000 venne arrestato sulla spiaggia dell'Isola Rossa, vicino a Bastia, in Corsica, su mandato di cattura della magistratura italiana. Ottenne però la scarcerazione evitando l'estradizione in Italia in quanto il diritto francese non riconosce la condanna in contumacia e il diritto svizzero non prevede l'estradizione per i propri cittadini.

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