ANALISI
Il j'accuse di Andali, imputato per 'ndrangheta: "Procura federale incompetente". Anatomia di un'inchiesta senza fine
L'ANALISI - Il principale imputato dell'inchiesta Quatur spara a zero e la giustizia ne esce sbeffeggiata. Ma dopo 12 anni di inchiesta quel processo lo si vuole fare?

di Marco Bazzi

LUGANO – Se avesse ragione Fortunato Andali, principale imputato dell’inchiesta Quatur, bisognerebbe chiudere l’antenna ticinese del Ministero pubblico della Confederazione e mandare tutti a casa: procuratori e agenti della Polizia federale. Altro che festeggiare i dieci anni di presenza in Ticino, come ci si appresta a fare il primo aprile (la fatidica data del “pesce”)!

Secondo Andali, che nel 1998 fu condannato a 5 anni e 6 mesi dalla Corte delle assise Criminali di Lugano per un traffico di cocaina, nel quale si parlò - già allora - di organizzazione criminale, l’inchiesta Quatur è soltanto un castello di carte. Una tesi accusatoria che gli inquirenti si sono inventati di sana pianta. E il procuratore federale Alfredo Rezzonico è “un incompetente”.

Martedì scorso Andali ha sparato ad alzo zero contro la magistratura federale in un’intervista concessa a Radio FiumeTicino, preannunciando che chiederà anche un risarcimento allo Stato per ingiusta carcerazione. Ha detto testualmente:

"Penso che questo Procuratore federale non sia all'altezza di svolgere il suo compito. Si tratta di una persona incompetente a livello professionale. Dopo 12 anni non si può arrivare al di sotto del punto di partenza. Questo perché la sua verità non esiste. Non esiste nessuna organizzazione criminale. Sono ricominciati gli interrogatori, i contraddittori. Non è emerso nulla".

Ma come non è emerso nulla? Tutte invenzioni, allora? Accanimento? Roba da Santa Inquisizione? Beninteso: Andali, che tra l’altro è cittadino svizzero e quindi non deve nemmeno preoccuparsi di una futura eventuale espulsione, ha tutti i diritti di esprimere le proprie opinioni. Forse però, di fronte ad accuse così dirette e pesanti, ci vorrebbe una presa di posizione chiara da parte del Ministero pubblico della Confederazione, che non opera in una “torre d’avorio” avulsa dalla società e che, come ogni altro organo dello Stato, deve rendere conto ai cittadini del proprio operato. Ma la Procura federale, che negli ultimi anni è finita ripetutamente nella bufera, sembra una sorta di “società segreta” fortemente burocratizzata e assolutamente incapace di comunicare.

L'inchiesta "Quatur", che profila il reato di organizzazione criminale con riferimento a riciclaggio di denaro e vari traffici illeciti, in particolare un giro di cocaina stimato dagli inquirenti in una ventina di chili, riguarda le ramificazioni in Svizzera, Ticino compreso, della cosca Ferrazzo, affiliata alla ‘ndrangheta. Da rilevare che, nel frattempo, i reati legati a un traffico d’armi (alcune centinaia di pistole acquistate in Svizzera ed esportate illegalmente in Italia) è finito in prescrizione.
Sui ritardi Andali ha perfettamente ragione: un’inchiesta non può durare dodici anni e non essere ancora sfociata in un processo, perché altrimenti vanno a farsi benedire la certezza del diritto e i diritti degli accusati di ottenere un giudizio celere. Ma l’imputato omette qualche particolare importante.

Per esempio il fatto che per ben due volte, l’ultima nel gennaio scorso, l’atto d’accusa firmato da Rezzonico contro Andali e altri dodici imputati, alcuni dei quali risiedono in Ticino, è stato rispedito al mittente dal giudice designato per la celebrazione del processo, Giuseppe Muschietti.
Nel primo rinvio il problema era il mancato rispetto del diritto al contraddittorio, attribuito agli imputati dalla nuova procedura. Gli inquirenti hanno così dovuto risentire i testi, alcuni dei quali sono anche imputati, e sono arrivate le ritrattazioni. Tipo: “Avevo detto questo? Sì ma non intendevo questo…”. Omertà e tentativi di ritrattazione erano già emersi marginalmente, tra l’altro, nel processo del ’98.

Nel secondo rinvio dell’atto d’accusa al Ministero il problema è stato un “cavillo” legato alle intercettazioni telefoniche che non sono state trascritte in modo conforme alla recente giurisprudenza. Acquisite in modo regolare – non se ne contesta dunque il contenuto -, ma trascritte con un vizio di forma, anche se sulla base di una prassi adottata da anni in processi a livello sia cantonale sia federale.

Ora il giudice federale chiede agli inquirenti di sanare quelle trascrizioni, alcune delle quali sono però state acquisite per rogatoria dall’Italia, visto che l’inchiesta si è svolta a cavallo delle due nazioni ed è iniziata nel 2002 su segnalazione della Direzione nazionale antimafia di Roma.
Domanda: ma è concretamente possibile chiedere agli inquirenti svizzeri di sanare trascrizioni di intercettazioni telefoniche effettuate in Italia? Chissà gli accordi bilaterali prevedono una fattispecie del genere…

Di fronte a questo ennesimo stop del procedimento penale sorgono altre due domande. La prima è: perché dopo dodici anni di inchiesta, con tesi, testimonianze e prove vagliate da ben tre giudici istruttori, il giudice penale non decide di affrontare comunque il processo, anche a rischio di vedersi contestare dei punti formali (alcuni dei quali avrebbero potuto essere sanati in aula), e rimanda invece nuovamente il dossier al Ministero pubblico?
La seconda è: perché il Ministero pubblico non ha ricorso, come aveva diritto di fare, contro la decisione del giudice, facendo valere le proprie ragioni? Con il risultato, alla fine, di vedersi accusare di incompetenza dal principale imputato e di indebolire l’intero impianto accusatorio.

Andali e i suoi presunti complici potrebbero anche essere prosciolti se le accuse non verranno ritenute convincenti e sufficientemente provate. Il processo è fatto apposta per mettere a confronto le tesi dell’accusa e quelle della difesa.
Ma i tempi biblici di questa - e di altre inchieste condotte dal Ministero pubblico della Confederazione - non giovano all’immagine della giustizia, che dall’intervista di Andali esce sbeffeggiata. Un bruttissimo messaggio verso le organizzazioni criminali e verso i cittadini che si chiedono: ma alla fine, in dieci anni di esistenza, questa “antenna ticinese” del Ministero pubblico della Confederazione, che conta ben sei procuratori e tre sostituti, deputata a combattere mafia, criminalità organizzata e riciclaggio, cos’ha tirato insieme?

È chiaro che così si fa il gioco di personaggi come Andali, che si dice – giustamente – “esausto” e si domanda come nessun intervento dall'alto sia ancora arrivato per scoperchiare quello che considera un vaso di Pandora: "Procuratore, vice e chi con loro sta cercando di salvare soltanto la propria poltrona", tuona.

E ora la domanda finale: ma questo processo lo si vuole fare o no?

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