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Analisi
04.02.2018 - 17:330

Il caso Argo1 e il "Beltrafuturo". Ci sono tanti "anche se", ma per il ministro e il PPD è giunta l'ora della chiarezza. Per evitare un 'grounding' alle prossime cantonali. Il tema è stato discusso ai più alti livelli istituzionali del partito, ma finora

Da più parti, compresi i vertici distrettuali del PPD luganese, è stato chiesto a Beltraminelli di “non sollecitare un nuovo mandato”. Ma Beltraminelli sembra deciso a non mollare spontaneamente. Ha sicuramente i suoi motivi: l’amore per la politica, la convinzione di aver rimesso in sesto il Dipartimento che dirige e la volontà di proseguire il suo lavoro, forse anche l’orgoglio…

di Marco Bazzi

E adesso che si fa? Il problema esiste e non si può far finta che non ci sia. Del resto, nel suo discorso di martedì al Comitato cantonale il presidente del PPD, Fiorenzo Dadò, è stato chiaro: “Nessuna fuga in avanti. Decideremo tutti insieme chi sarà in lista il prossimo anno per le elezioni cantonali”.

Il messaggio era evidentemente rivolto al ministro Paolo Beltraminelli, che era lì, seduto in prima fila. Un invito a non anticipare i tempi in vista della campagna elettorale che partirà in autunno con la formazione delle liste.

E ancora non era uscito pubblicamente il severo rapporto di Marco Bertoli, il perito che per conto del Governo ha condotto l’inchiesta amministrativa sul caso Argo1.

Però, non c’è stato soltanto il discorso di Dadò. Il tema del “Beltrafuturo” è stato discusso nelle ultime settimane e negli ultimi giorni anche ai più alti livelli istituzionali del PPD, in presenza dello stesso ministro. Senza strategie di congiura, dunque.

Da più parti, compresi i vertici distrettuali del PPD luganese, gli è stato chiesto di fare il fatidico “passo indietro”: non di dimettersi, perché non c’è alcun motivo per cui debba farlo, ma di comunicare che – come si dice in politichese – “non solleciterà un nuovo mandato”. Per il bene del partito.

Ma Beltraminelli sembra deciso a non mollare spontaneamente. Non vuol essere lui a gettare la spugna e in tutta questa storia si ritiene una sorta di agnello sacrificale.
Sua scelta legittima. Ha sicuramente i suoi motivi e le sue ragioni: l’amore per la politica, la convinzione di aver rimesso in sesto il Dipartimento che dirige da sette anni e la volontà di proseguire il suo lavoro, forse anche l’orgoglio… Ma si sa che la politica è una bestia strana, che a volte ti premia e ti onora, e a volte ti mangia, crudele e spietata. Come la vita, del resto…

Intanto, l’imbarazzo all’interno del PPD cresce e basta leggere le prese di posizione giunte in questi giorni dagli altri partiti (non parliamo dell’odierna edizione del Mattino, con il pesante affondo leghista contro il ministro, dipinto come uno Zombie) per capire che il partito rischia un grounding politico se affronterà la campagna elettorale per le cantonali del prossimo anno senza aver disinnescato il caso Argo1. Del quale non può permettersi di diventare ostaggio.

Indipendentemente dai giudizi sul livello di gravità di quanto è accaduto, il caso ha creato un problema politico che il PPD non può non affrontare. E non si può lasciarlo lì sospeso, ad aleggiare nell’aria, ancora per molto.

Una decisione va presa e comunicata, altrimenti il problema rischia di creare ulteriori tensioni e incomprensioni. Fosse pure, la decisione, quella di dire “facciamo quadrato attorno al nostro ministro e lo sosteniamo a spada tratta nella sua decisione di ricandidarsi”. Anche se, tastando il polso ai ‘maggiorenti’ del PPD, pare ormai una via difficilmente percorribile.

Perché…

Anche se non è emersa alcuna prova di corruzione…

Anche se il rapporto di Marco Bertoli - che analizzando la gestione del mandato diretto all’agenzia di sorveglianza ha “demolito” il Dipartimento diretto da Beltraminelli, o meglio quella parte di Dipartimento che va sotto il nome di Divisione dell’azione sociale - non è la Bibbia e nemmeno il Vangelo…

Anche se non convince la scelta di Bertoli di non “interrogare” l’ex responsabile della Divisione dell’azione sociale Claudio Blotti (che ora dirige le FART a Locarno), indicato insieme al suo subordinato Renato Scheurer come uno dei responsabili del pasticcio…

Anche se non c’è alcuna prova che Beltraminelli abbia volutamente e consapevolmente sottratto quel mandato a una risoluzione governativa – del resto, che motivo avrebbe avuto per farlo? -…

Anche se nessuno ha mai messo in dubbio l’onestà del ministro…

Anche se Beltraminelli ha fin dall’inizio indicato una serie di motivi per spiegare la scelta della Argo1. Tre in particolare. Primo: l’emergenza rifugiati. Secondo: la necessità di risparmiare nel settore dell’asilo sotto la pressione della politica (la Argo1 offrì il proprio servizio al Cantone a un prezzo nettamente inferiore a quello della Rainbow)… Terzo: la Argo1, a parte i problemi iniziali legati al numero di agenti, ha sempre operato a piena soddisfazione del committente, ricevendo diversi attestati di benemerenza.

Anche se...

Anche se non vi sono elementi che profilano chiaramente reati penali da imputare ai funzionari che hanno gestito il caso (che rimane dunque sul piano amministrativo). Fatta salva l’ipotesi indicata da Marco Bertoli: infedeltà nella gestione pubblica. Comunque tutta da verificare…

Anche se la mancanza di risoluzioni governative non riguardava solo la gestione della sicurezza, ma tutti i servizi relativi ai rifugiati (quello dei pasti, per esempio), e forse il problema ha riguardato anche altri mandati di altri dipartimenti, che sono sfuggiti alla normativa…

Anche se le fatture sono state regolarmente pagate, per un ammontare milionario, dal servizio contabile che fa capo al Dipartimento finanze (che non è diretto da Beltraminelli, ma da Christian Vitta) pur in assenza delle necessarie risoluzioni governative…

Anche se alla luce del caso Argo1 il Governo ha adottato correttivi per evitare che fatti simili possano ripetersi in futuro…

Anche se il giudizio politico complessivo sulla gestione del Dipartimento sanità e socialità da parte di Beltraminelli in questi sette anni non può fondarsi soltanto sul caso Argo1, e i meriti del ministro non possono essere cancellati da questo nuvolone nero…

Anche se… E si potrebbe continuare…

Sta di fatto che, comunque lo si voglia definire - “caso”, “scandalo”, “pasticcio” - quanto è accaduto è grave dal profilo istituzionale: per circa due anni e mezzo è stata violata una legge importante (che purtroppo non prevede ancora sanzioni penali per chi la vìola), la Legge sulle commesse pubbliche, per un importo che sfiora i tre milioni e mezzo di franchi. Pur con tutti i motivi che possono essere, come sono stati, addotti per spiegare questo errore, o questa negligenza…

E tutto questo va ancora al di là delle legittime domande rimaste senza una convincente risposta nonostante le verifiche finora effettuate a vari livelli.

In particolare, rimane aperta la “domanda delle cento pistole”: perché a un certo punto i funzionari del Dipartimento che gestivano il settore dei rifugiati – Claudio Blotti e Renato Scheurer – hanno sostituito la precedente agenzia (la Rainbow), con la Argo1. E soprattutto perché lo hanno fatto senza sottoporre al ministro una proposta di risoluzione governativa…
Nel senso, le risposte sono state date, ma non sono state completamente convincenti e sono contestate dalla perizia Bertoli.

Diciamo, a margine di tutto questo, che ha lasciato qualche dubbio anche la decisione del Governo di prepensionare Scheurer, sottraendolo così di fatto a una possibile inchiesta amministrativa “ad personam”. E qui son girate voci di pressioni politiche da parte del PLR, partito nelle cui fila l’ex funzionario è stato eletto in Municipio a Giornico. Vere? False? Chi lo sa…

Beltraminelli non ce ne può nulla in tutto quello che è successo, ma ne porta comunque la responsabilità politica. Volente o nolente. Ha sempre detto, di fronte al Parlamento e alla stampa, che intende assumersela, ma non ha mai chiarito cosa significa esattamente questa assunzione di responsabilità.

A nostro avviso, e lo abbiamo scritto in tempi non sospetti, avrebbe dovuto gestire diversamente il caso, chiedendo lui stesso al momento in cui è scoppiato un’inchiesta amministrativa, e lasciando provvisoriamente a un collega la gestione della Divisione. Avrebbe inoltre dovuto gestire in modo più chiaro la comunicazione ed evitare altri pasticci accaduti in seguito, a caso già aperto…
Ma qui entriamo nel campo dei “se”, con i quali non si fa la storia e nemmeno la politica.

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