"Per troppo tempo Bruxelles ha scambiato l’etica per strategia e la burocrazia per sovranità"

di Oliviero Pesenti*
Da oltre vent’anni l’Europa vive nella convinzione che basti “avere ragione” per contare nel mondo. Che i valori – democrazia, diritti umani, libertà – siano di per sé una politica estera. È una nobile illusione. Ma è anche il più grande errore strategico compiuto dal Vecchio Continente dopo la Seconda guerra mondiale.
La politica dei valori è nata sulle macerie della Guerra Fredda, quando si credette che la storia avesse finalmente scelto la via dell’Occidente. L’Unione Sovietica era crollata, la Russia cercava una nuova identità, e l’Europa pensò che bastasse allargare i confini, firmare trattati, predicare riforme. La geopolitica sembrava un linguaggio arcaico, quasi indecente: la morale l’aveva sostituita. Ma la realtà, come sempre, ha bussato alla porta.
Oggi il mondo non si divide più tra “democrazie e dittature”, ma tra potenze capaci di difendere i propri interessi e potenze che non sanno più farlo. E l’Europa appartiene alla seconda categoria. Gli Stati Uniti proteggono il continente con la NATO, ma ne determinano anche le scelte; la Cina compra pezzi di industria strategica e conquista mercati; la Russia, isolata ma non domata, continua a essere un attore imprescindibile; l’India e le potenze del Sud globale si muovono senza chiedere permessi morali a nessuno. L’unica entità che continua a discutere di “valori” mentre perde influenza è l’Unione Europea.
Le sanzioni contro la Russia sono l’emblema di questa deriva. Dovevano punire un’aggressione, e in parte lo hanno fatto. Ma hanno anche colpito l’economia europea, aggravato la crisi energetica, reso le imprese meno competitive e spinto Mosca nelle braccia di Pechino. È un paradosso: nel tentativo di difendere la “libertà”, l’Europa ha finito per rafforzare l’asse sino-russo e indebolire sé stessa.
Non è assolutamente una questione di simpatia per il Cremlino, né di cinismo geopolitico. È semplice lucidità. Nessun continente può sopravvivere rinunciando ai propri interessi materiali. L’Europa non può vivere solo di principi se non ha il potere per sostenerli. I valori senza potere diventano prediche. E le prediche, in politica internazionale, non spostano equilibri: li fanno perdere.
Serve dunque una svolta culturale, prima ancora che diplomatica. L’Europa deve tornare a ragionare come soggetto storico, non come una ONG. Difendere i propri confini, le proprie industrie, la propria energia. Tornare a trattare con tutti — anche con chi non condivide gli stessi ideali — purché ciò serva a garantire la stabilità e la prosperità del continente. La vera pace non nasce da semplici discorsi di facciata o da pseudo “coalizioni di volenterosi” …ma da fatti concreti, coraggio di attuarli, ingenti investimenti per una difesa comune seria, basati sugli equilibri delle forze in campo e , soprattutto , smetterla di farsi male da sola con decisioni scellerate come la transizione ecologica che ha distrutto una delle sue più importanti e redditizie industrie continentali , quella del automotive.
Questo non significa abbandonare i valori europei. Significa renderli credibili. La democrazia, il diritto, la libertà valgono qualcosa solo se chi li invoca è capace di difenderli. E difenderli oggi non vuol dire isolarsi dietro un muro morale, ma costruire una politica autonoma, capace di dialogare con gli altri poli di potere del pianeta.
Per troppo tempo Bruxelles ha scambiato l’etica per strategia e la burocrazia per sovranità. Ha dimenticato che la forza dell’Europa nasceva dal realismo dei suoi padri fondatori: Adenauer, De Gasperi, De Gaulle. Uomini che sapevano che la pace si costruisce non contro i vicini, ma con i vicini. Che la cooperazione con la Russia non era un atto di debolezza, ma un pilastro di equilibrio continentale.
Oggi, dopo due guerre sul confine orientale, un’economia stremata dal costo dell’energia e un sistema politico paralizzato da veti incrociati, l’Europa non può più permettersi il lusso della purezza morale. Deve scegliere se restare spettatrice o tornare protagonista.
Questo non significa cedere di fronte alla violenza, ma riconoscere che il dialogo, anche con i regimi più scomodi, è la sola via per evitare un futuro di blocchi contrapposti. Un continente di mezzo come l’Europa non può sopravvivere in eterno tra Washington, Pechino e Mosca. Deve imparare a essere sé stessa: pragmatica e realista.
Solo allora i valori europei torneranno ad avere peso. Non come strumenti sterili di propaganda, ma come la sintesi più alta di potere e di responsabilità. L’alternativa è chiara: continuare a predicare e fare i volenterosi, mentre gli altri decidono. E lentamente scivolare fuori dalla storia.
*imprenditore