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Diciotto anni dopo Andrea Stuppia è tornato in Alaska. Amarcord di un 'viaggio perfetto', da cui nacquero un documentario, un diario e profonde amicizie. Tra fiumi, foreste e tanti orsi... E in mezzo scorre il fiume...
E a un certo punto dei miei ricordi, mi chiama Andrea, senza sapere che stessi scrivendo questo articolo. E mi dice: “Volevo scusarmi con te per non averti mandato le riflessioni che ti avevo promesso”. Incredibile, vero? Ma, come scriveva Norman Maclean “alla fine tutte le cose si fondono in una sola, e un fiume le attraversa”
di Marco Bazzi

Ci sono viaggi che più di altri ti restano nel cuore. Così è stato, per me, quello in Alaska. Sono passati diciotto anni, da quei giorni - era il luglio del ’99 – ma ricordo ogni volto, ogni cosa, ogni luogo, ogni fiume – e anche ogni locale, nonostante il tasso alcolico fosse perennemente sfavorevole alla memoria -, come fosse oggi.

Forse perché quel viaggio fu un ‘viaggio perfetto’, intenso, quasi un viaggio nell’anima, compiuto con la leggerezza dell’avventura, con il desiderio della scoperta, un viaggio che fece nascere profonde amicizie, o le rinsaldò, anche se poi il tempo e la vita dividono o allontanano…

Ora Andrea Stuppia, che di quel viaggio fu promotore e sponsor – per via dei salmoni che già in quegli anni importava -, è tornato con la sua famiglia in alcuni di quei luoghi incantanti dell’Alaska selvaggia, dove ci sono poche strade, tante foreste, tanti fiumi e tanti orsi.

E il viaggio che ha raccontato con le sue foto su Facebook è stato per me un viaggio nella memoria. Un prezioso ‘amarcord’. Credo sia stato così anche per Nicola Gobbetti, e Fiorenzo Mordasini, che su quella avventura girò un documentario, il cui testo poi divenne un diario che intitolai ‘La Grande Terra’.

Prima che Andrea partisse, una decina di giorni fa, gli avevo chiesto di mandarmi qualche riga per raccontare il suo ritorno in quei luoghi che per me, ma certamente anche per i miei compagni di viaggio, sono quasi sacri. Ma sapevo che non avrebbe avuto il tempo e ‘la testa’ per farlo.

Però una notte – ad Anchorage erano le tre e già albeggiava in quella luce soffusa del grande Nord che non è mai buio – mi ha chiamato su WatsApp. Era uscito a fumare una sigaretta perché non riusciva a dormire. Mi ha raccontato le sue emozioni, che era tornato nel sushi bar dov’eravamo stati, che avevano aperto un nuovo super store di attrezzature per la pesca, immenso, altro che quello dove diciotto anni fa avevamo comprato canne e streaming… E mi ha detto che il giorno dopo sarebbe partito per Seward, e poi per Iliamna, dov’eravamo stati a pescare i salmoni rossi, i ‘red’, sulle rive del Newhalen.

È stato, naturalmente, per lui, un viaggio diverso. Il nostro era una sorta di tour de force tra un aeroplano e l’altro, da un capo all’altro della penisola di Kenai, da una sponda all’altra del Cook Inlet, tra ghiacciai e fiumi burrascosi risaliti a bordo di jet boat d’acciaio…

Ecco, e a questo punto dei miei ricordi, mi chiama Andrea, senza sapere che stessi scrivendo questo articolo. E mi dice: “Volevo scusarmi con te per non averti mandato le riflessioni che ti avevo promesso”. Incredibile, vero?

Ma, come scriveva Norman Maclean nel suo romanzo ‘In mezzo scorre il fiume’, “alla fine tutte le cose si fondono in una sola, e un fiume le attraversa”.

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