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Cronaca
20.11.2012 - 07:110
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:40

Sogevalor: tra ritardi e polemiche si apre il processo

In aula quattro imputati. Il principale accusato è sempre latitante. Storia di un crack da 131 milioni, 68 dei quali svaniti in fondi spazzatura. Dopo otto anni di inchiesta gli accusati sono quasi tutti in pensione

LUGANO – Alle nostre latitudini è una formula tipicamente ticinese. Insopportabile. Ma si dice. La utilizzano sovente giornalisti e politici. Allora facciamo uno strappo alla regola. Per dire che alle nostre latitudini non si usa (nel senso che non deve succedere) che un processo venga celebrato otto anni dopo l’avvio del procedimento penale, e quattordici anni dopo le prime segnalazioni al Ministero pubblico.

Soprattutto se il processo non è un processino da tre e una cicca, ma affronta un “crack” da 131 milioni di franchi, 68 dei quali sono al centro del procedimento penale, volatilizzati nel consueto falò delle vanità. Vanitas vanitatum, et omnia vanitas, come si dice nel libro biblico del Qohélet (l’Ecclesiaste).

Si riferisce, il processo che si apre oggi a Palazzo di giustizia, al fallimento di una roba che si spacciava per una specie di banca, la Sogevalor, con sede in via Nassa 31, nel cuore della Lugano che conta, con tanto di targa dorata con la scritta “gestori patrimoniali dal 1972”.

Erano gli anni della Lugano da bere, dove i milioni affluivano a palate e tutti se li litigavano: leoni, iene e avvoltoi. E la Sogevalor, anche se per entrare nei suoi uffici bisognava salire uno scalone buio e tetro e incrociare gli allievi schiamazzanti di una scuola privata, aveva un marchio di qualità svizzera: l’autorizzazione federale ad agire come mercante di valori immobiliari. Per questo parlavamo di una specie di banca.

Dicevamo che alle nostre latitudini non si usa andare in aula dopo tanti anni, soprattutto se poi, alla fine, il principale imputato del “crack” non è mai stato né arrestato né interrogato. È svanito nel nulla come i 68 milioni di franchi, anche se oggi vive tranquillamente in Italia, latitante e senza dimora ufficiale. Le verifiche e le ricerche son state fatte, assicurano gli inquirenti. Ma non c’è nulla da fare. Non ci sono mandati di cattura internazionali e rogatorie che tengano.

Forse, prima di far scattare il blitz, otto anni fa, bisognava assicurarsi che il signor Pier Paolo Matteuzzi fosse rientrato dalle vacanze, e non sperare che poi, chissà per quale motivo, lui che è cittadino italiano, si venisse a costituire. È uno dei punti neri dell’inchiesta. Uccel di bosco, si dice: il principale imputato è uccel di bosco.

Per cui questa mattina, nell’aula penale di Lugano, di fronte alla corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Claudio Zali, il signor Pier Paolo non ci sarà. Ci saranno invece, in questo magistrale capitolo di inefficienza giudiziaria delle nostre latitudini (che non ha mancato di suscitare ripetuti lai e atti parlamentari), i suoi presunti correi: i signori Gianfranco Matteuzzi, 56 anni - fratello del signor Pier Paolo -, Giorgio Bernardoni, 68 anni, Otto Karl Meier, 69 anni, (l’unico a non essere accusato di truffa), e Rodolfo Oecslin, 64 anni.

Son passati così tanti anni dal giorno di quel blitz che fece tremare via Nassa che gli imputati son già quasi tutti in pensione. La sentenza di condanna, se condanna sarà, dovrà tener conto di cotanto lungo tempo trascorso, di quella che in gergo giuridico si chiama violazione del principio di celerità.

E poi è noto che il giudice Zali non sopporta queste cose e sul Ministero pubblico ci va giù pesante come uno schiacciasassi. In aula, a sostenere l’accusa, ad accusare il quartetto di aver bruciato, tra il 1999 e il 2004, 68 milioni di franchi - appartenenti a un centinaio di “risparmiatori” italiani e tedeschi – investendoli in fondi “spazzatura”, ci sarà la procuratrice pubblica Fiorenza Bergomi. A lei il compito di far da parafulmine agli strali del giudice Zali.

Inizialmente, per quattro anni, le indagini furono condotte e coordinate dall’allora procuratrice generale aggiunta Maria Galliani. Poi, quando questa lasciò il Ministero pubblico, passarono per un breve periodo a Fiorenza Bergomi. Poi all’allora astro nascente del Ministero Cristina Maggini, in seguito ricusata e poi dimessasi dalla magistratura. Dopo, verso la metà del 2011, il dossier tornò nuovamente a Fiorenza Bergomi. Sembra un po’ la storia di una partita di quello sport che nel Settecento chiamavano “pallacorda”, o se vogliamo essere più moderni, di tennis o di ping pong. Alle nostre latitudini, potremmo anche dire che il caso Sogevalor è la classica "pepa tencia".

Concludiamo con l’elenco dei reati scritti nell’atto d’accusa e imputati ai quattro, che si professano innocenti: per Meier, che era presidente del Consiglio d’amministrazione della Sogevalor, e Bernardoni, che era il vice, c’è la cattiva gestione. Poi si va dalla truffa all’amministrazione infedele qualificata e ripetuta; dall’appropriazione indebita alla falsità in documenti. Oggi è il giorno del giudizio.

emmebi

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