CRONACA
Fornera lascia le Guardie di Confine: “L’esperienza più bella? In assoluto, la formazione”
Scatta oggi, dopo quasi quarant’anni di servizio, il prepensionamento del vice comandante della regione Lugano, che racconta come è mutato nel tempo il ruolo delle Guardie e il mondo in cui operano

ASCONA – Dopo quasi quarant’anni di appartenenza al Corpo delle Guardie di Confine, Piergiorgio Fornera lascia oggi il suo ruolo di vice comandante.

Il prepensionamento arriva dopo, per l’esattezza, trentanove anni di servizio cominciati nel ’74, quando Fornera, classe ’55, patrizio di Losone nato e cresciuto in quel di Ascona, era entrato nell’Amministrazione Federale delle Dogane come specialista. Nell’81 poi, racconta ridendo, “sembra uno scherzo, ma era il primo d’aprile quando sono diventato ufficiale”. Da allora molte cose sono cambiate nell’assetto e nell’operato delle Guardie di Confine, è questa quindi l’occasione di ripercorrere questi cambiamenti con chi li ha vissuti.

Prima però Fornera ci tiene a rivolgere un messaggio ai suoi colleghi: “Semplicemente ringrazio tutti i collaboratori che ho avuto in questi anni, veramente eccezionali a tutti i livelli, e, dato che non tutti hanno la mia fortuna e dovranno lavorare ancora, a loro vanno i miei migliori auguri per il futuro”.

Fornera, cominciamo dal ruolo delle Guardie di Confine, come è cambiato in questi anni?
“Da quando diciannovenne sono entrato nell’Amministrazione Federale delle Dogane a oggi è davvero cambiato il mondo e con lui anche quello delle guardie. Negli anni in cui sono diventato Ufficiale, l’organizzazione territoriale era diversa e io ero capo del settore Sopraceneri. Poi nel ‘93 c’è stata una prima mezza riorganizzazione: il servizio è stato reso più dinamico, quasi come oggi. Ma il grandissimo cambiamento è del 2006, con l’abolizione di questo livello gerarchico del capo settore. Da una struttura composta da Comando-Settore-Posto, si è eliminato il ‘passaggio intermedio’, anche in vista degli accordi di Schengen, dell’aumento della mobilità e dei previsti controlli mobili con la conseguenza anche di una riduzione degli effettivi. Siamo così alla situazione odierna che, bene o male, conosciamo tutti: i Posti sono maggiormente centrali, con controlli dinamici nel terreno e abbandono o non presenza statica ai piccoli valichi. Questi sono i grandi cambiamenti che ho vissuto, che sono stati strutturali e di metodo, e ora posso dire che ci volevano”.

Allora era diverso invece?
“Vede, l’essere umano è poco incline al cambiamento, quando se lo trova di fronte è reticente per natura. Gli ci vuole un po’ per adattarsi, ma poi è forse l’animale che riesce a farlo meglio. Io, da buon Locarnese che lavorava a Locarno, sono dovuto andare prima a Mendrisio e poi a Lugano Paradiso. All’inizio mi dicevo: ‘Ah, no, non posso farcela’, e poi dopo due settimane ci si rende conto che in realtà ci si è già adattati alle nuove attività e funzioni. Sul momento ero negativo, ma oggi sono contento che questi cambiamenti ci siano stati. Grazie a loro, anche se ho passato quarant’anni nella stessa ditta, ho cambiato cinque volte attività, come se avessi lavorato in cinque differenti ditte. È stata una grande opportunità”.

Torniamo ad alcuni aspetti che ha già menzionato nella sua prima risposta, cominciamo dal grande cambiamento introdotto da Schengen, i confini aperti, cosa ne pensa?
“Il Schengen in vigore da noi non è la stessa cosa che nel resto d’Europa, perché noi abbiamo ancora i controlli. Dato che la Svizzera non è parte dell’Unione e nemmeno dell’unione doganale, noi siamo sempre ancora presenti al confine. Il cambiamento rispetto a prima è molto minore, se confrontato con i Paesi europei. Se penso per esempio alla prima volta che andai in Costa Azzurra, c’era un valico pattugliato a quaranta chilometri, la seconda il valico c’era ancora, ma era vuoto e la terza non c’era nemmeno più. Invece, prendiamo per esempio Chiasso, vediamo che nonostante la libera circolazione, nulla è cambiato: al valico sono ancora presenti stabilmente delle Guardie”.

Questo per i grandi valichi, ma, come già accennava, altro cambiamento legato alla libera circolazione è l’introduzione dei controlli mobili, cosa ha comportato nel vostro mestiere questo ‘nuovo’ sistema di pattugliamento?
“Se osservo la cosa da un punto di vista puramente matematico, c’è oggi più successo con questo sistema, perché creiamo maggiore incertezza nella zona. Prima si sapeva, ad esempio, che ad Arzo c’era una guardia da sola o massimo due, si sapeva dove e quante erano e per i criminali era più facile. Pensiamo poi che l’anno record delle rapine l’abbiamo avuto nell’85, quando i valichi erano tutti sorvegliati. Allora c’era una grandissima attività nel territorio, che in caso sfruttava poi la cosiddetta ‘frontiera verde’. Frontiera che oggi ha perso un po’, perché viaggiare in auto per le strade è certamente più facile che farlo a piedi per i boschi. Il nuovo sistema di pattugliamento mobile è un cambiamento che ci voleva, è indubbio, chiaro però che si sono rotte certe tradizioni come lo stazionamento ai piccoli valichi e la frontiera verde pattugliata a piedi. Ma la Guardia si è adattata alle mutate necessità del nuovo secolo”.

Come ha visto cambiare la criminalità in questi anni?
“Le dirò che a livello di criminalità, un tempo era molto più forte, ci sono stati anche morti e feriti sul confine. Oggi è invece in aumento quella particolare dei pendolari dei furti, che si spinge sempre più ‘all’interno’ del territorio: ci son stati recentemente colpi messi a segno in Mesolcina e Leventina, luoghi assai lontani dal confine. C’è stato quindi un cambiamento anche nella criminalità, come c’è anche un suo aumento generalizzato in Europa e le bande che imperversano nel Nord Italia rubano lì come qua. Chiaro, libera circolazione delle persone vuol dire libera per chiunque, del turista come del criminale. Già solo l’aumento del traffico stradale che viviamo tutti quotidianamente sulla nostra pelle, già solo questo cambiamento in senso lato, aumenta la circolazione della criminalità”.

Se le chiedo di questi quasi quarant’anni trascorsi nel corpo delle Guardie di Confine, cosa le viene in mente?
“Gli aneddoti sono tanti e sono pochi. Purtroppo i fatti che primi mi tornano alla mente, perché più mi hanno colpito, sono quelli tristi vissuti nel ‘91 con la morte del collega Roberto Berta il 2 febbraio 91 a Gandria e, quello stesso anno, l’altro grave fatto di Brusata e Roggiana, dove un rapinatore in fuga aveva sparato a una guardia ferendola gravemente. Non sono stati momenti facili per nessuno, Berta poi lo conoscevo bene, l’avevo formato io. Ma ci sono anche momenti positivi che tornano alla mente, legati proprio la formazione delle nuove Guardie, che mi ha lasciato bellissimi ricordi. Non so a quanti anni arrivo se sommo tutte le settimane e i mesi trascorsi al centro di formazione di Liestal. Questa è stata una delle attività più gratificanti: partire a gennaio con venti giovanotti che del Corpo avevano sì e no una visione da cannocchiale e arrivare alla fine dell’anno a nominarle guardie e trovarle oggi ancora attive, chi ha fatto carriera chi meno. Sono centinaia i giovanotti che ho conosciuto. È il ricordo più bello perché costruttivo e molto, molto gratificante”.

Per finire, un accenno alla sua esperienza politica come deputato e consigliere comunale.
“Mi ha insegnato molto. Prima di tutto ho conosciuto tanta gente di tutti i fronti e li ho capito che il colore politico è molto relativo, quello che conta veramente sono le persone. Forse all’inizio uno dice ‘io son di qui, lui di là: siamo nemici’ ma non è assolutamente vero. Altro grande insegnamento è che è facile criticare l’operato degli altri, ma quando ci si trova lì, ci si rende conto che le rivoluzioni non si possono fare. Si può solo cominciare dai piccolo cambiamenti. Gran Consiglio e Consiglio Comunale sono due esperienze completamente diverse. In quest’ultimo le differenze partitiche contano ancora meno, il livello di conoscenza personale è davvero alto: si è come una famiglia in cui ogni tanto c’è una discussione tra due fratelli, che può anche esser accesa, ma che dopo quei dieci minuti finisce lì”.

Ma è un’esperienza che continuerà a portare avanti?
“Certo, anzi ora avrò più tempo da dedicarle. Bisogna dire che a voler far bene il consigliere comunale o il deputato ci vuole anche tempo. È un’esperienza che non ho intenzione di abbandonare. Al momento sono vice presidente del Consiglio Comunale di Ascona e, mai vender la pelle dell’orso prima di averlo preso, ma a maggio potrei avere la possibilità di diventarne il presidente, questa sarebbe per me davvero una grande soddisfazione”.

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