L’usanza di abbinare la salsiccia al risotto sembra derivare dal fatto che proprio in questo periodo si faceva la mazza: “L’ültim dí da carnevaa ul purcèll al va mazzaa, che l sía grand che l sía pinín fém salám e salamín”
di Alessandro Pesce *
Dovevano essere grassi e abbondanti i cibi di carnevale, ma anche dolci. Sì, perché una volta, arrivata la Quaresima, i vizi dovevano lasciare il posto alle virtù, a una vita morigerata anche a tavola. In effetti l'etimologia del termine "carnevale" deriva con tutta probabilità dal latino “carnem levare” (togliere la carne), espressione con la quale nel Medioevo si indicava la prescrizione ecclesiastica di non mangiare carne dal primo giorno di Quaresima al "Giovedì Santo". Ancora oggi, ovunque si festeggi il carnevale, i piatti proposti entro e fuori casa, sono robusti e calorici: risotto e luganighe, trippa, polenta e mortadella, castagne e panna, con i dolci che chiudono degnamente queste allegre abbuffate. Ancora oggi, nei diversi carnevali della Svizzera italiana vengono cucinati piatti robusti e offerti dolci sostanziosi.
Iniziamo dal risotto. Le risottate di carnevale in piazza a Bellinzona sembrano essere state organizzate attorno al 1860 e la prima a Lugano nel 1895, quando l'usanza era ormai consolidata da qualche anno a Mendrisio. Il risotto giallo, quello allo zafferano, è dunque il piatto carnascialesco più diffuso in Ticino e Mesolcina, e ancora oggi è sovrano gastronomico incontrastato nei vari reami, spesso accompagnato dalle immancabili luganighe. Un risotto che affonda le proprie origini nei secoli, addirittura al 1574 nel cantiere del Duomo di Milano (secondo la leggenda citata da Alessandra Meldolesi su Azione).
L’artista fiammingo Valerio da Perfundavalle, impegnato nel restauro delle finestre, rimproverò un discepolo lombardo per aver usato il prezioso zafferano quale rinforzante del giallo: “… lo metteresti anche nel riso…”. Il giovane fece tesoro di quel rimprovero, creando il risotto allo zafferano e servendolo per le proprie nozze con la figlia dell’oste di piazza Camposanto. Da allora il risotto ne ha fatto di strada, assumendo sempre più importanza sulle nostra tavole.
Il risotto allo zafferano, pietanza ricercata e borghese, compare sulle tavole brianzole, comasche e mendrisiensi solo dall'Ottocento, come pranzo tipico di Natale (“Carnevale”, estratto del Vocabolario di dialetti della Svizzera italiana). Solo in seguito, secondo Ottavio Lurati, diventa dapprima cibo delle feste maggiori, per affermarsi poi verso fine ‘800 come piatto di carnevale; “L'intento delle società di carnevale era quello di offrire ai meno abbienti, i quali difficilmente se lo potevano permettere, un piatto sostanzioso e non comune”.
Dal riso, alla luganiga e luganighetta. L’usanza di abbinarla al risotto, sembra derivare dal fatto che proprio in questo periodo si faceva la mazza: “L’ültim dí da carnevaa ul purcèll al va mazzaa, che l sía grand che l sía pinín, fém salám e salamín” (Castel San Pietro). La ricetta più comune – tutti hanno i loro segreti – prevede che si faccia rosolare la cipolla nell’olio, versando in seguito il riso e facendolo tostare. A questo punto si aggiunge un goccio di vino bianco, brodo fatto con le ossa e si mescola il tutto (qualcuno aggiunge i funghi tritati). Si prosegue nella cottura aggiungendo sempre brodo e zafferano; a cottura ultimata si spegne il fuoco e si aggiungono burro e parmigiano, lasciando riposare. Si serve insieme alla luganiga bollita in acqua, carote e porri, e un pizzico di dado di manzo, oppure con luganighette alla griglia.
A dipingere, invece, uno splendido ritratto dei dolci tipici del carnevale, è Giovanna Ceccarelli nel volume “Carnevale”, edito nella collana “Voci” dal Centro di dialettologia della Svizzera italiana. Così, in questo estratto del Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, scopriamo che sono una specialità del Luganese (circolo di Agno e Capriasca) i ravioli di carnevale (raviöö), con il ripieno di marmellata di prugne, fatti friggere nel burro, olio o strutto.
Nell'alta Valle di Muggio il ripieno è analogo al-l'impasto della torta di pane, con l'aggiunta di un po' di formaggio. A Pazzallo, invece, la sera della prima domeni¬ca di Quaresima si preparavano i tortelli di sola farina di frumento. Altri dolci oggi commercializzati ovunque, sono le frittelle di carnevale, di pasta leggera (ciaciar nel Luganese, ciaciar dala nóna nel Mendrisiotto). Poi ci sono i dolci senza ripieno, serviti in generale con panna montata: il borlètt, dolce casalingo a base di farina, uova, zucchero e burro e fatto friggere nello strutto (Biasca), i cróstri, tortelli di pasta sfoglia, a forma di raviolo, cotti nel burro e cosparsi di zucchero a velo (Leventina), il turtéll, tipo di dolce che veniva mangiato la sera dopo il falò (Primadengo), i tortelitt, pezzetti di pasta spianata a forma di rombo (Curio), i pétt da móniga, dolci a forma di nastro ripiegato (Locarno).
Altri dolci tipici sono i bigné ripieni di crema allo zabaione o alla vaniglia: preparati e messi in vendita per la pri¬ma volta nel 1932 da una pasticceria di Bellinzo¬na, sono oggi proposti da molti pasticceri ticinesi.
* Giornalista e responsabile Ufficio stampa GastroTicino