CRONACA
San Martino, breve ritratto di “un giovane obiettore di coscienza”. Feliciani: “Un Santo così simpatico e generoso che ci regala anche qualche giorno di estate”
Molto caro alla cristianità, la sua importanza finì per renderlo una figura importante del mondo rurale. “L’11 novembre era per i contadini il nostro Capodanno. Finivano i contratti e si affittava il bestiame per l’anno dopo, così nasce la fiera momò”

CHIASSO – Pensando a San Martino la mente va subito ‘alla nebbia che dagli irti colli piovigginando sale’. La lirica del Carducci è ormai simbolo del periodo in cui si celebra il santo. Un periodo che coincide con un importante momento della vita contadina, come importante è stata, tra mito e realtà, l’opera di questo uomo. Dalla cultura popolare sappiamo che a lui “dobbiamo” l’ultimo sole estivo novembrino e che per lui “ogni botte è vino”. Quello che si ricorda meno è l’uomo dietro a queste espressioni e modi di dire. Eppure fu un santo molto caro alla cristianità e alla vita contadina, come spiega Don Feliciani.

Una figura importante anche in Ticino: a lui a Mendrisio è dedicata una delle chiese più antiche della regione e proprio lì si tiene da quasi quattrocento anni la fiera agraria più importante del Cantone. Un altro edificio di culto, sempre di età romanica, si trova poi in mezzo ai boschi di Sonvico.

Nativo della Pannonia, l’attuale Ungheria, Martinus, convertitosi al cristianesimo e diventato poi vescovo di Tours, è stato un evangelizzatore e uomo di cultura, con la fondazione di molti monasteri. “Martino, ‘piccolo Marte’, dio della guerra – racconta don Feliciani – è un nome pagano, solo dopo, anche grazie a lui, diventato per noi cristiano. Era infatti un cavaliere dell’Impero romano vissuto nel IV secolo. Appartiene a quella schiera di giovani che, per dirla alla moderna, ha fatto obiezione di coscienza: non se la sentiva di servire l’impero, giurando obbedienza all’imperatore come a un dio, e ha disertato”.

Con lui anche altri, come San Sebastiano, San Maurizio, San Vittorio… A lui però, scherza don Feliciani, è andata meglio. “Le persecuzioni erano già finite, dichiarate concluse con l’editto di Costantino del 313. Martino è infatti uno dei primi santi non martire, come lo sono invece gli altri dei primi tre secoli dopo Cristo”.

La vicenda della sua conversione è legata a un episodio “un po’ storico e un po’ leggendario, come sempre è in questi casi: un giorno, passando a cavallo per una via, Martino vide un povero mezzo nudo intirizzito dal freddo. Preso a compassione, tagliò il suo mantello con la spada e gliene diede metà. Quella notte, in sogno, vide che il poveraccio era Gesù stesso”. Un’altra versione della leggenda vuole poi, che dopo il primo incontro, Martino vide un secondo mendicante e gli donò anche l’ultimo pezzo del suo mantello. In quel momento il cielo si schiarì e il sole prese a scaldare la terra. Da qui, appunto, la nostra estate di San Martino.

Un episodio che abbiamo avuto fra le nostre mani. “I più giovani forse non lo ricorderanno, ma la vicenda della sua conversione era raffigurata sul cento franchi”. La moneta (nella foto), disegnata da Pierre Gauchat, faceva infatti parte della quinta serie rilasciata negli anni ’50 e ritirata agli inizi degli ’80.

“Fu un santo molto caro alla cristianità. Oltre a esser fondatori di monasteri, fu anche un civilizzatore: fondò molte scuole, soprattutto in Galia. A quell’epoca, portare gli usi e i costumi della fede cristiana voleva dire portare anche la cultura. Così fu anche, in Russia, per Metodio e Cirillo, che ha inventato un alfabeto. Ecco perché un santo finirà per segnare addirittura le consuetudini rurali”.

San Martino diventa infatti talmente famoso da occupare anche il calendario contadino. L’11 novembre, giorno della sua festa, era una scadenza importante. “Una sorta di 31 dicembre dei giorni nostri. Finivano i contratti, si traslocava, si vendeva e comprava il bestiame per l’anno seguente… Ricordo ancora che da ragazzo in quel periodo andavo a pagare l’affitto dell’orto per conto di mio papà. Nel mondo contadino, fino a 50 anni fa, per dire che si aveva traslocato, si diceva ‘ho fatto San Martino’”.

Di questa complementarietà tra fede e vita quotidiana rimane oggi traccia nelle espressioni e nelle tradizioni popolari. Tornando a Mendrisio e alla sua sagra: “Ora vi sono sempre meno, ma anticamente era nata solo come una fiera di animali. La presenza del bestiame è proprio dovuta a questa scadenza. Era la fine di un anno per il mondo contadino: si portavano mucche, pecore e cavalli alla fiera e si compravano o affittavano per l’anno seguente”.

Questo santo, “così simpatico e generoso che ci regala anche qualche giorni di estate in autunno, era entrato nel tessuto sociale della gente. La sua memoria rimane nel mondo agricolo, nei modi di dire, nella meteorologia anche. Era incarnato in tantissime realtà sociali, perché la fede inglobava allora tutta l’esistenza. E questo – riflette infine Feliciani – è un valore da attuare anche oggi. Lo stesso Papa Francesco non cessa infatti di mettere il Vangelo entro tutte le situazioni del mondo, dalle famiglie ai lavoratori, fino ai senza tetto. La fede non è spiritualità disincarnata, deve invece gettare la luce sulla situazione concreta che l’uomo vive”.

ibi

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