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Cronaca
30.12.2015 - 09:320
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Madre e bimbo separati, dopo l’interrogazione scatta la manifestazione. Peduzzi: “Siamo convinti che questa donna può prendersi cura dei propri figli”

Il deputato, di fronte al Civico di Lugano con altri colleghi, critica le ARP: “Stanno perdendo il contatto con la realtà. Senza prossimità non si può decidere in maniera corretta”. Intanto si apre uno spiraglio per madre e figlio

LUGANO – Il caso era stato denunciato con l’interrogazione presentata ieri dal granconsigliere Paolo Peduzzi. E oggi, accompagnato dallo psichiatra Christian Fäh e dal direttore dell’Istituto von Mentlen Carlo Bizzozero, il pediatra e deputato PPD è passato all’azione, manifestando da questa mattina davanti al Civico di Lugano per chiedere perché “separare una mamma da suo figlio, due giorni prima di Natale, con decisioni scorrette e affrettate e per mancanza di posti”?

Al centro dell'azione, a cui si sono aggiunti alcuni altri cittadini, la vicenda di una donna sulla trentina che, già madre di due figli, si è vista separata dal terzo nato pochi giorni prima di Natale. L'ARP, denunciava Peduzzi, ha preso la sua decisione basandosi su una valutazione risalente al 2007 e 2008 e ignorando i pareri di diversi professionisti che in questi anni l'hanno seguita e che la giudicano ora in grado di potersi curare del bambino (vedi suggeriti). Fra loro, appunto, anche Fäh, Bizzozzero e Peduzzi, che, nelle loro rispettive mansioni, seguono da tempo la famiglia.

La data della manifestazione intrapresa in mattinata non è casuale. Proprio oggi, infatti, era inizialmente prevista la separazione di madre e bambino, che, secondo i piani originari, avrebbero dovuto prendere strade diverse. In questo momento in Ticino, come denunciava già Peduzzi nell’interrogazione, non ci sono posti nelle strutture in grado di ospitare madre e figlio insieme. La donna avrebbe quindi dovuto far ritorno nella propria abitazione e vedere il neonato solo nel fine settimana.

“Arrivare a manifestare – racconta Peduzzi contattato da Liberatv – è stata per noi l’ultima ratio”. Alla prima decisione dell’ARP ha infatti fatto seguito il ricorso da parte dell’avvocato della donna, che è stato respinto. “Noi siamo convinti che questa donna sia in grado di portare i propri figli a casa e prendersene cura. Abbiamo deciso di giocare questa carta perché tutte le decisioni a livello giuridico non avanzano. Perciò ci siamo posizionati qui davanti all’ospedale nel giorno previsto della sua trasferta per raccontare la sua storia”.

Nel frattempo si è visto un piccolo spiraglio. Ieri sera l’Ufficio dell’aiuto e della protezione (UAP, cui compete l’esecuzione delle decisioni prese dall’Autorità regionale di protezione, ARP) ha trovato una famiglia disponibile ad accogliere la madre e il neonato e, si è appreso inoltre in mattinata, la dimissione dall’ospedale è stata posticipata al 4 gennaio. “Rimarranno però separate le due ragazzine, che non potranno più andare a casa della madre fintanto che si troverà in questa nuova casa”, annota Peduzzi.

In questa loro azione, racconta ancora il deputato PPD, stanno trovando molta solidarietà da parte dei passanti. E c’è anche chi si ferma a condividere la propria vicenda. Non è raro, infatti, che l’ARP sia al centro di cronaca e critiche per le sue decisioni e i suoi meccanismi.

La macchina che si mette in moto in questi casi è infatti complessa. A esser decisivo è il parere dell’ARP, che dipende dal Dipartimento delle istituzioni. Ma a render operativa la decisione è invece l’UAP, che afferisce invece a tutt’altro dipartimento, quello della Sanità e Socialità.

“Sono decisioni chiaramente difficili – commenta Peduzzi –. La mia personale opinione, costruita da quanto vedo con la mia professione, è che adagio adagio le ARP stiano perdendo sempre più il contatto con la realtà. Si è deciso di regionalizzare e professionalizzare le ARP, credendo che in questo modo avrebbero funzionato meglio. E, certo, un professionista può essere più capace nell’operare queste scelte, ma se nello stesso giorno deve trattare una ventina di casi non potrà più approfondirli e conoscerli pienamente. Centralizzare porta sempre a un distacco dalla realtà”.

Prima, ricorda Peduzzi, le tutorie erano comunali, i suoi membri erano persone del paese “prestate” a questa mansione. “Non professionisti, ma gente parte della comunità che conosceva quindi bene la tematica, la famiglia di cui si parlava e sapevano quali fossero i problemi. È una questione di prossimità, che è quello che si perde se si centralizza. Ed è una capacità di valutazione estremamente importante in questo campo: quando si è vicini alla realtà, quando la si conosce non solo da un dossier ma direttamente, si può decidere in maniera più corretta”.

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