Il presidente dell'Unione sindacale alla Festa del Primo Maggio:"No al patto di Paese unilaterale presentato dal Governo"
BELLINZONA - Se non vengono adottate “misure efficaci a salvaguardia dei diritti e delle condizioni di lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori saremo costretti ad opporci alla libera circolazione delle persone”. A pochi giorni dalla decisione del Consiglio nazionale di estendere alla Croazia l’attuale accordo in materia tra la Svizzera e l’Unione europea senza fare nulla per contrastare seriamente il problema del dumping salariale, il presidente dell’Unione Sindacale Svizzera (USS) Ticino e Moesa Graziano Pestoni ha ribadito con forza questo concetto - già espresso un anno fa nella medesima occasione - intervenendo fa all’Espocentro di Bellinzona davanti alle oltre 1000 persone che in mattinata hanno dato vita al tradizionale corteo per la Festa dei Lavoratori, uno degli ultimi atti del Festival del 1° Maggio in corso da giovedì che l’USS ha dedicato al “bene comune”. A partire da quello dei lavoratori, di tutti i lavoratori, senza alcuna distinzione, è stato ripetutamente sottolineato durante la quattro giorni.
“Viviamo in un paese senza regole. Da noi si possono versare salari da fame senza incorrere in nessuna sanzione, si può licenziare qualsiasi dipendente anche senza ragione e dopo decenni di lavoro, si può sostituire liberamente personale stabile con precari senza diritti forniti dalla agenzie di collocamento. E nei settori in cui esiste qualche regola, esse vengono spesso violate da padroni avidi e senza scrupoli”, ha denunciato Graziano Pestoni, sottolineando l’importanza dell’unità di tutti i lavoratori di fronte alla volontà della destra e del padronato di creare divisioni, tra Svizzeri e stranieri, residenti e frontalieri, giovani e anziani, donne e uomini.
“Per evitare l'afflusso eccessivo di lavoratori non residenti e salari da fame, ci vogliono regole, contratti collettivi in tutti i settori, salari chiaramente definiti per ogni categoria professionale. Ci vogliono controlli e sanzioni», ha affermato il presidente dei sindacati ticinesi, che queste proposte le formulano da tempo ma senza ottenere alcun ascolto, né a livello locale né a livello nazionale. «Berna ha deciso di aumentare le sanzioni massime da 5 a 30'000 franchi per i datori di lavori che non rispettano i contratti. Ma per chi guadagna milioni sulle spalle dei loro dipendenti, anche 30'000 franchi sono solo briciole». E per quanto riguarda le altre rivendicazioni «nulla è successo», ha detto Pestoni ribadendo che non si può aderire a «una libera circolazione senza regole”.
No al “patto di paese” unilaterale
“Gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori, ossia della stragrande maggioranza della popolazione, non possono figurare all'ultimo posto della graduatoria», ha poi affermato Pestoni riferendosi a quel “patto di paese” presentato settimana scorsa dal ministro dell’economia Christian Vitta dal carattere “unilaterale”. Unilaterale perché «non considera gli interessi di tutti”, in particolare dei salariati che già «stanno pagando a caro prezzo il degrado del mondo del lavoro, il mancato rispetto degli infortunati da parte dell'assicurazione invalidità, il peggioramento delle prestazioni sociali, l'aumento vertiginoso dei premi delle casse malati, il peggioramento del servizio pubblico”.
Pestoni ha infine denunciato un «tentativo di distruggere il servizio pubblico», riferendosi alle privatizzazioni già consumate ma in particolare alla nuova Legge sull’Ente ospedaliero cantonale in votazione il prossimo 5 giugno, che ha definito «incredibile e scellerata», un «immenso regalo» di «una cordata di speculatori capeggiati dal presidente del Governo Paolo Beltraminelli a coloro che vogliono realizzare lauti profitti sulla salute della popolazione».
Salvare l’Ente ospedaliero dagli appetiti privati
Un tema quello degli ospedali su cui è intervento durante il corteo anche Roberto Martinotti del sindacato dei servizi pubblici Vpod: «quella che viene presentata dai fautori come una “fruttuosa collaborazione con il privato”, costituisce in realtà una vera e propria privatizzazione dell’EOC. Se la popolazione dovesse accettare la modifica di legge, le strutture miste pubblico-privato verrebbero progressivamente sottratte al controllo pubblico e sarebbero obbligate a privilegiare gli interessi finanziari degli azionisti privati a scopo di lucro, anche se ciò fosse in contrasto con gli interessi dei pazienti e della politica ospedaliera pubblica. Sarebbe l’inizio della fine dell’EOC», ha ammonito.
No ad una scuola a due velocità
Sempre in materia di servizio pubblico, si è espresso Adriano Merlini, insegnante e presidente del Gruppo docenti della Vpod, che ha denunciato la solitudine in cui sono stati lasciati i docenti, il “pilastro” della scuola pubblica di questo cantone. Docenti che subiscono «un’erosione salariale da oltre vent’anni» e che sempre più spesso sono chiamati a fare «volontariato». Di qui la necessità di rivolgere un appello alla popolazione ticinese, affinché il prossimo 5 giugno esprima un voto a favore dell’iniziativa popolare per il rafforzamento della scuola media. In gioco, ha sottolineato Merlini, vi è «il futuro dei nostri ragazzi» perché vi è il concreto rischio di un «sistema formativo a due velocità, con una moltiplicazione delle scuole private e una selezione dei ragazzi basata sulla disponibilità economica delle famiglie».
Asili nido, Officine FFS, Bata, Alice Allison
Sulla necessità di porre fine alla «situazione scandalosa in cui versano numerosi asili nido privati in Ticino» si è invece espresso il segretario cantonale della Vpod Raoul Ghisletta, il quale ha invitato a sostenere un migliore finanziamento pubblico di queste strutture, oggetto di un’iniziativa popolare attualmente al vaglio del Parlamento.
Tra i protagonisti del colorato e rumoroso corteo animato dal trio musicale “Casa del vento” partito attorno alle 10.30 dalle Officine di Bellinzona, luogo simbolo delle lotte operaie per lo storico sciopero del 2008 e ancora oggi esposto agli attacchi delle FFS che non stanno rispettando i patti sottoscritti anche con il Governo ticinese -in particolare per quanto riguarda la realizzazione del Centro di competenze- ha sottolineato Gianni Frizzo, c’erano anche le dipendenti e i dipendenti dei negozi di scarpe Bata e della Alice Allison di Grono. Le prime per denunciare la decisione della proprietà di chiudere per fine luglio tutti i negozi in Svizzera, «non per ragioni economiche ma per concentrarsi sulla vendita online», ha ricordato Giangiorgio Gargantini, responsabile del settore terziario di Unia Ticino e Moesa, ricordando che la famiglia Bata, la quale si rifiuta anche solo di negoziare un piano sociale, detiene un patrimonio di 3,5 miliardi di franchi.
I rappresentanti della fabbrica Mesolcinese che produce capsule di caffè compatibili con il sistema Nespresso, confrontati con la decisione della proprietà di chiudere lo stabilimento entro fine anno e di licenziare 33 persone, hanno dal canto loro riaffermato la volontà di continuare, di salvare la fabbrica che per prima ha concepito un prodotto rivoluzionario e che ha vinto la causa legale contro il gigante Nestlé.