Dopo Melano e Chiasso, anche a Orselina spunta una 'casa della morte'. Quattro o cinque persone hanno esalato l'ultimo respiro sulla collina di Locarno. Continua il pellegrinaggio del suicidio assistito. Il Municipio ha bloccato l'attività, ma servono reg
È successo l’anno scorso. Nel giro di poche settimane. Quattro, forse cinque persone hanno varcato la soglia dell’ennesima casa della morte spuntata sulla mappa ticinese del suicidio assistito
Foto: TiPress/Samuel Golay
di Marco Bazzi e Andrea Leoni
Melano, Chiasso, Orselina… Un laccio di morte lega queste tre località, così geograficamente lontane e diverse. Un laccio funereo che si chiama eutanasia.
Non si ferma il pellegrinaggio verso il Ticino di chi cerca nel suicidio assistito la soluzione definitiva per sconfiggere la pena dell’esistenza o della malattia. E non si ferma nemmeno il nomadismo di chi pratica questa attività, sfruttando una zona grigia, priva di regole. Un tema che fa discutere da mesi. E preoccupa autorità e cittadinanza.
Dietro lo spirito di aiuto ai sofferenti si cela tra l’altro un non trascurabile business: nonostante la legge vieti di fare utili con l’accompagnamento alla morte, non vieta a chi lo pratica di trattenere per sé una quota della tariffa pagata dai clienti.
Un business ben illustrato qualche settimana fa da Isabel Scherrer, oggi presidente dell’associazione ‘Carpe Diem’ che ha tentato di insediare la propria attività a Chiasso: "La domanda non manca, ho una lista d'attesa di 30 persone - ha dichiarato -. Ogni paziente paga 10mila euro e a me restano tra i 2000 e i 2500. Il resto va alle onoranze funebri, ai medici, alla farmacia, al proprietario dello stabile per l'affitto, in tasse e beneficenza”. Ce n’è un po’ per tutti, insomma…
Sia come sia, nell’ameno paesino sulla collina di Locarno, a Orselina, appunto, da dove si vedono il lago Maggiore e la chiesa della Madonna del Sasso, è venuta alla luce una casa, sul limitare del bosco, al cui interno diverse persone hanno esalato l’ultimo respiro.
È successo l’anno scorso. È successo nel giro di poche settimane. Quattro, forse cinque persone hanno varcato la soglia dell’ennesima casa della morte spuntata sulla mappa ticinese del suicidio assistito.
Tra le poche informazioni che filtrano dal velo di fitto riserbo calato su questi episodi c’è la nazionalità dei morituri, che erano probabilmente stranieri, forse italiani. Sappiamo infatti che in Italia il suicidio assistito non è ammesso, e che le associazioni ‘ufficiali’, in particolare Exit, accettano unicamente pazienti svizzeri o residenti in Svizzera.
La Polizia cantonale ha fatto sapere che l’anno scorso oltre il 50% delle persone che hanno scelto di morire in Ticino era di cittadinanza italiana: “Ci sono delle organizzazioni – ha dichiarato di recente l’ufficiale della polizia Orlando Gnosca – che si sono proprio votate a questa attività per il paziente estero”.
Sembra inoltre che la casa della morte di Orselina sia stata messa a disposizione da parte della proprietaria che l’affittava di volta in volta e su richiesta. Non abbiamo inoltre la certezza che il caso coinvolga una delle due ‘infermiere’ ormai note alla cronaca.
Nonostante la casa si trovi in un luogo discosto e non nel nucleo del paese, il via vai di carri funebri ha destato l’attenzione dei vicini. Il Municipio è immediatamente intervenuto ed è riuscito a bloccare sul nascere l’attività facendo leva sull’unica arma possibile: quella della pianificazione. L’esercizio del suicidio assistito non è infatti ammesso nelle zone residenziali.
È evidente che senza regole chiare il fenomeno rischia di diventare incontrollabile e selvaggio, grazie anche alla componente di business di cui abbiamo detto.