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Cronaca
06.02.2018 - 12:230
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Pizza & Vino Connection. Le Temps: "L'ombra della mafia sui caffè ticinesi". Ma dall'inchiesta "Stige" emerge poco. Il problema è piuttosto la girandola di locali che aprono o cambiano proprietà. Ecco come funziona il riciclaggio. E forse è ora di creare

Forse occorrerebbe creare una sorta di “pool antimafia” strutturato, con la partecipazione di poliziotti e di magistrati cantonali e federali, che indaghi su tutta quella magmatica e stra-milionaria girandola di interessi e di affari apparentemente leciti che potrebbe avere legami con il crimine organizzato (locali pubblici, negozi, società e attività commerciali, bordelli e prostituzione, imprese edili e compravendite immobiliari), oltre, ovviamente, al traffico e allo spaccio di droga

di Marco Bazzi

Il titolo di Le Temps è di quelli ad effetto: “L’ombra della mafia sui caffè ticinesi”. E sotto: “Una grande inchiesta in Italia rivela delle attività della mafia calabrese, la ‘ndrangheta, nell’enogastronomia al sud delle Alpi”.

L’inchiesta è quella che la Procura della Repubblica di Catanzaro ha battezzato “Stige” – secondo la mitologia lo Stige è il “fiume dell’odio” che scorre negli inferi -. Un’inchiesta che a fine dicembre è sfociata in un’ordinanza di custodia cautelare per ben 186 individui, la maggior parte dei quali nati e residenti in Calabria. Tutta gente che, più o meno direttamente, sarebbe legata alla cosca della 'ndrangeta dei Farao-Marincola.

Ora, che dietro alla girandola di chiusure, aperture e cambiamenti di proprietà di certi locali pubblici in Ticino, e in particolare a Lugano, ci sia una forte puzza di riciclaggio, non è una novità. Il problema, come sempre, è dimostrare l’esistenza di attività criminali. Ma, come dicevano i latini, “pecunia non olet”, il denaro non puzza, a differenza del pesce, per esempio, che dopo tre giorni, secondo il detto popolare, emana un insopportabile olezzo.

Ma bisogna stare ai fatti, invitando ancora una volta non solo gli inquirenti (cantonali e federali) ma anche i servizi amministrativi cantonali e comunali (controllo abitanti, fisco, ufficio dei registri, eccetera) a tenere non alta ma altissima la guardia per evitare che il Ticino si trasformi in una terra di mafia.
Forse alcune inchieste sono già in corso e ancora non sappiamo… Forse occorrerebbe creare una sorta di “pool antimafia” strutturato, una "divisione investigativa" con la partecipazione di poliziotti e di magistrati cantonali e federali, che indaghi su tutta quella magmatica e stra-milionaria girandola di interessi e di affari apparentemente leciti che potrebbe avere legami con il crimine organizzato (locali pubblici, negozi, società e attività commerciali, bordelli e prostituzione, imprese edili e compravendite immobiliari), oltre, ovviamente, al traffico e allo spaccio di droga, che leciti non sono…

Le intercettazioni telefoniche riferite al Ticino

Ma se restiamo ai fatti citati nell’inchiesta di Catanzaro, sul Ticino c’è poco. Anche se quel “poco” potrebbe essere lo spunto per avviare indagini locali. Nelle oltre 1'360 pagine di cui si compone l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro il Ticino è citato soltanto in un paio di passaggi riferiti a intercettazioni telefoniche. Eccoli.

“In data 08/02/2017 si intercettavano alcune conversazioni ambientali tra TALLARICO Francesco e CRIVARO Rocco, fratello di Francesco, ritenuto un esponente della ‘ndrangheta crotonese in Lombardia. TALLARICO riferiva di essere da poco rientrato da un viaggio in Germania e Svizzera (faceva riferimento al viaggio effettuato il precedente mese di gennaio). Nel corso di una prima captazione si soffermava sull’esportazione di prodotti vinicoli in Svizzera e Germania, che coordinava, quantificando peraltro un ingente volume d’affari “… ho detto… siamo andati in Svizzera… quando siamo arrivati in… dopo siamo andati a Lugano… omissis… abbiamo trovato a uno che ha assaggiato il vino… (incomprensibile)… Noi siamo andati ed abbiamo portato un cofano di vino giusto cosi per regalarlo … per farlo vedere… Quel vino là è fatto proprio di vino… non è roba fatta… Hai capito com’è?… omissis… infatti sono un milione di bottiglie e sono finite…” .

Un milione di bottiglie sono un’enormità, ma dalle intercettazioni pare di capire che siano state piazzate dall’organizzazione in tutta la Svizzera e non soltanto in Ticino (come sostiene Le Temps: “Un milione di bottiglie vendute in Svizzera, essenzialmente in Ticino”), che vorrebbe dire più o meno tre bottiglie di vino calabrese pro capite, bambini e astemi compresi.

Successivamente, l’individuo intercettato, “riferiva di essersi recato in Germania per incontrare il proprio sodale BONESSE Franco, con cui manteneva “rapporti commerciali” relativi all’esportazione di semilavorati per pizze prodotti dall’impresa di CAPUTO Luigi “… l’altro giorno sono passato dalla Svizzera… ho fatto Chiasso … sono andato in Germania… omissis… Adesso  si è fatto un ristorante bellissimo “Venere e Peperoncino” e gli sto mandando le pizze… le pizze di Gigino…. Già fatte… già pronte…”. TALLARICO rivelava che, oltre alla fornitura di prodotti alimentari, approvvigionava BONESSE anche di prodotti vinicoli “… gli sto mandando il vino e le pizze …”.

Un giro di vino e di pizze già pronte per essere infornate, insomma. E a questo punto di torna alla mente quella che a inizio anni Ottanta fu forse la madre di tutte le inchieste internazionali antimafia (ed era allora la mafia siciliana, o siculo-americana) e che coinvolse anche il Ticino e la Svizzera sul fronte finanziario ma anche come base di smercio della morfina base necessaria a confezionare l’eroina: la “Pizza Connection”.

Ma nel caso di Catanzaro non si tratta di riciclare narcodollari attraverso le pizzerie di New York. Secondo la Divisione investigativa antimafia, ristoratori e commercianti trapiantati in Germania sono stati costretti ad acquistare i prodotti esportati dalle ditte legate al clan Farao-Marincola. Concorrenza sleale, ovviamente, con tutti i reati annessi e connessi, e la ‘ndrangheta che manu militari impone i prodotti.

Un’altra intercettazione: “Ha detto - “Sedici locali sono nostri” - e poi il resto sono in società - “Ma vieni tu o dobbiamo andare noi?” - “No, no, vengo e andiamo insieme” - “Ci diamo un appuntamento e ci vediamo direttamente là” - però ha detto in Svizzera interna… omissis… Dice che “L’importante è che tu sei a posto con i documenti”… omissis… Problemi non ce ne sono, altrimenti che stiamo andando a fare là? Ha detto -  “Me lo saluti assai assai!”…”.

Svizzera interna. Zurigo? Lucerna? Basilea?... Negli atti di inchiesta non si precisa. Insomma, se qualche locale o commerciante ticinese sono stati convolti in questa sporca faccenda, il mercato nazionale è ben più ghiotto per le cosche…

Il presidente di GastroTicino, Massimo Suter, ha dichiarato che "alcuni dipendenti hanno dubbi su situazioni sospette, in particolare sulla provenienza di alcuni vini. Tuttavia, non abbiamo prove. E nessuno vuole parlare, regna l'omertà ".
E raccomanda i suoi associati di segnalare le situazioni sospette: "Ciò che fa davvero male al settore è la concorrenza sleale".

Ma qui si apre un altro capitolo, che non c’entra con l’inchiesta di Catanzaro e con i “piazzisti” di vino calabro e di pizze semipronte. Il tema è infatti la girandola di locali pubblici e negozi che aprono, chiudono, cambiano proprietà o che propongono prodotti sotto costo, e che spesso rimangono desolatamente vuoti (nella sola Lugano gli esempi abbondano). È su questo fenomeno che bisogna indagare a livello comunale, cantonale e federale, unendo le forze e scambiando informazioni e notizie.
Che senso ha aprire un ristorante che con ogni evidenza non ha clientela sufficiente nemmeno per pagare il personale? È contro le leggi basilari del mercato e del commercio. Ma solo apparentemente, perché…

Come ti riciclo i soldi senza farmi prender via

Perché il riciclaggio ha regole diverse. Proviamo a spiegarne un paio.

Un’organizzazione ha 50 milioni di franchi da ripulire: acquista un certo numero di locali, o di immobili o di negozi, e grazie a questo paravento immette il denaro nel circuito economico legale. Se poi alla fine in queste operazioni perde anche il 40 o il 50% del patrimonio, vabbè, quello è il costo del riciclaggio…
Va anche detto che a Lugano (ne abbiamo la conferma) gira gente che propone di acquistare locali pubblici in contanti. E va anche detto che un esercizio pubblico può cambiare di proprietà o tramite la vendita di quote azionarie o con un semplice contratto di cessione dell’attività.
Nessuna particolare formalità burocratica, insomma, e nessun obbligo di “diligenza” da parte di chi vende… Eventualmente solo una semplice modifica a Registro di commercio.
Però qualche traccia rimane, oltre alla palese insostenibilità economica di certe operazioni. Ed è su queste tracce che gli inquirenti possono lavorare, ma occorrono le segnalazioni.

Un secondo sistema è quello di inventarsi i clienti. Apro o acquisto un ristorante e registro in cassa 50 clienti al giorno, proponendo piatti o vini a prezzi convenienti, per un incasso, mettiamo, di 2'500 franchi. In realtà i clienti erano solo 10, e mi hanno reso 500 franchi, ma io posso immettere nel circuito legale 2'000 franchi  in contanti che voglio riciclare. E in un mese “lavo” 60'000 franchi. Poi mi restano da pagare le spese, la merce e il personale. Ma questo è il costo del riciclaggio.
E qui, è chiaro, che si pone anche un problema di concorrenza sleale. E, più in generale, di avvelenamento del sistema economico. Il tempo delle riflessioni è scaduto. Ora bisogna agire…

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