Suonerà ancora questa sera, giovedì 27 giugno, alle 21,30 sul palco del Pontile con il suo gruppo, i Fats Boys, che propone prevalentemente brani di Fats Waller, un pianista degli anni Trenta
ASCONA - Quando lo senti parlare rimani affascinato e quasi avvolto, o forse travolto, dalle sue parole. Hai la chiara percezione di essere di fronte a un uomo ‘sapiente’, a un intellettuale, insomma, soprattutto se a cospetto della musica, per quanto tu possa amarla e frequentarla in modalità trasversali, ti collochi umilmente tra la schiera dei profani.
Del resto, Brenno Boccadoro (un cognome che sembra uscito da un romanzo di Hermann Hesse, ‘Narciso e Boccadoro’, appunto), nato a Locarno nel 1956, è da quarant’anni docente di musicologia all’Università di Ginevra. E di musica se ne intende tanto.
Ma non si limita a raccontarla, intrecciando filosofia e storia a episodi, concetti, teorie, compositori, musicisti, e vagabondando liberamente dalla classica al jazz, citando Aristotele, Chopin e Louis Armstrong. No, Boccadoro la musica la suona anche. E quest’anno per la seconda volta è tra i protagonisti di Jazz Ascona.
Proprio ad Ascona l'abbiamo incontrato, dove suonerà ancora questa sera, giovedì 27 giugno, alle 21,30 sul palco del Pontile con il suo gruppo, i Fats Boys, che propone prevalentemente brani di Fats Waller, un pianista degli anni Trenta. Siamo agli albori del jazz.
Boccadoro, che vanta un’amicizia di lunga data con Aldo Merlini, presidente dell’Organizzazione turistica Lago Maggiore, racconta di aver sempre avuto una doppia vita: dopo gli studi di pianoforte al Conservatorio ha studiato musicologia a Ginevra, dove appunto insegna da 40 anni, ma parallelamente si è dedicato anima e corpo alla sua grande passione: il jazz.
“Per una decina d’anni non ho più suonato ma ultimamente ho ripreso – dice -. A Ginevra c’è un giro abbastanza importante di jazz e le cose per noi vanno piuttosto bene: suoniamo prevalentemente in Romandia, ma anche in Francia, quando ci chiamano”.
Il gruppo si compone di tre elementi: pianoforte, tromba e clarinetto. “Poi a dipendenza dalle occasioni aumentiamo l’accompagnamento con contrabbasso, batteria e chitarra. Ma normalmente il trio è perfetto, perché nello stile di pianoforte che suono io la mano sinistra sostituisce il contrabbasso e oscilla come un pendolo tra una nota grave e un accordo. Ci divertiamo un mondo e abbiamo un repertorio esuberante. Facciamo un tipo di jazz che da noi va molto alle feste, perché è una musica danzante, eruttiva, e piace per questo”.
La musicologia, racconta Boccadoro, è una disciplina molto ampia, e tra le più antiche nel mondo occidentale: inizia con l’antichità greca come campo della matematica e della filosofia e si consolida attraverso i secoli.
“Fino al Sette-Ottocento i filosofi studiano musica, come Rousseau e D’Alembert. La musica fa parte degli studi filosofici. Perché nella musicologia c’è una forte componente intellettuale, e non lo dico io, ma Aristotele, più forte che nella storia dell’arte. Perché nella storia dell’arte non hai bisogno di saper dipingere per accedere, per esempio, al Bacco di Caravaggio, mentre per la musica se non conosci il solfeggio, se non leggi uno spartito e non conosci le regole del contrappunto, puoi fare un discorso di critico ma sarà un discorso poco scientifico. A un musicologo si chiede di spiegare un certo numero di cose che servono da veicolo per il senso della musica”.
Nell’antica Grecia, aggiunge Boccadoro, le muse non si occupano di arti plastiche, delle arti dello spazio, ma solo delle arti del tempo, quindi poesia lirica ed epica, danza, canto, musica, e via dicendo.
E dall’antichità torna al Novecento, secolo che vede la nascita del jazz.
“Ho scelto il jazz perché come pianista classico non sono abbastanza bravo, anche se ho fatto gli studi al conservatorio, ma soprattutto perché nel jazz si improvvisa mentre la classica si fonda oggi solo sugli spartiti e l’improvvisazione si è completamente persa. Chopin improvvisava, e non suonava mai gli stessi notturni, lo stesso vale per Liszt, ma oggi purtroppo non è più così. Lo spartito ha assunto un’importanza che allora non aveva. Nell’Ottocento il pubblico voleva assistere alla creazione, voleva vedere il musicista toccato dall’ispirazione, voleva improvvisazione. È per questo che adoro il jazz”.