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31.07.2019 - 15:490

Contagio da epatite C, l'EOC si difende: "Sentenza che rischia di creare false aspettative"

L'Ente Ospedaliero Cantonale dopo la sentenza: "Rappresenta un punto di svolta preoccupante per l'intero sistema sanitario nazionale"

BELLINZONA – Il giudice della Pretura penale di Bellinzona ha proceduto oggi alla lettura della sentenza in relazione al caso di contagio da epatite C avvenuto nel dicembre 2013 all’Ospedale Civico di Lugano. Il giudice ha condannato l’EOC a una multa di 60'000.- CHF e al pagamento delle spese processuali (vedi articoli suggeriti).

Dopo la sentenza è l'EOC a prendere posizione attraverso una nota stampa. "Ricordiamo – si legge – che la prima sentenza di condanna dell’EOC del novembre 2016 era stata annullata dalla Corte di appello e di revisione penale, che aveva rinviato il dossier alla Pretura penale per un nuovo esame e per l’istruzione di un nuovo processo. Il contagio aveva toccato quattro pazienti, nel frattempo tutti guariti. L’EOC aveva prontamente identificato i pazienti, predisposto le cure e l’assistenza del caso e si è assunto la responsabilità civile del danno patito. L’EOC aveva per contro contestato una sua responsabilità penale sulla base dell’art. 102 del Codice penale per non essere stato in grado di identificare il nome dell’operatore autore della posa dell’accesso venoso (un atto di routine) all’origine del contagio".

E ancora: " L’applicazione di questo articolo a una struttura sanitaria costituirebbe una prima nazionale. L’EOC, in sede di dibattimento, ha contestato nel merito che vi sia una sufficiente base legale e ancor meno un obbligo tassativo di tenere traccia in cartella sanitaria di ogni gesto clinico, anche di quelli di routine. Ha inoltre fatto notare che nemmeno la recente revisione della Legge sanitaria accenna a un tale obbligo. L’EOC esaminerà le motivazioni della sentenza e, considerato il suo impatto per il sistema sanitario svizzero, inoltrerà con buona probabilità ricorso.

EOC sempre vicino ai pazienti nel frattempo guariti

"L’EOC ribadisce di essere vicino ai quattro pazienti coinvolti, nel frattempo guariti, ed esprime sincero rincrescimento per il disagio arrecato. Sin dall’inizio l’EOC "ha riconosciuto l’errore commesso e ha assistito i pazienti, offrendo assistenza medica e psicologica, facendosi carico dei relativi costi e assumendosi la responsabilità sul piano civile".

Piena collaborazione

"L’EOC ha pure, come da sua prassi, collaborato pienamente con le autorità amministrative e giudiziarie, per fare piena luce sull’accaduto. Né le verifiche interne, ma nemmeno l’inchiesta della magistratura condotta dall’allora Procuratore generale avevano permesso di identificare l’autore della posa dell’accesso venoso periferico, gesto di routine che ha determinato il contagio. L’EOC aveva messo subito in atto una serie di misure, come, ad esempio, l’introduzione generalizzata dei flaconi monouso per la posa degli accessi venosi; ciò per evitare il ripetersi di eventi di questo tipo, d’intesa e sotto la vigilanza del Medico cantonale.

Nessuna legge sanitaria in Svizzera impone un obbligo di tenere traccia del nome di ogni operatore per ciascun gesto di routine

"L’EOC, e con esso tutto il mondo sanitario svizzero, è molto preoccupato per le possibili conseguenze della sentenza. Se confermata dalle istanze giudiziarie superiori, potrebbe imporre a tutte le strutture sanitarie l’introduzione di ulteriori procedure burocratiche e amministrative che graverebbero sull’attività del personale curante, sottraendo tempo prezioso alla cura dei pazienti senza contribuire ad aumentare la loro sicurezza né, tanto meno, la qualità delle cure, oltretutto con un aumento dei costi. Senza dimenticare che nella procedura di posa dell’accesso venoso, che ha condotto al caso specifico di contagio da epatite C, i principali ospedali nazionali hanno confermato di applicare le stesse procedure dell’EOC. Nemmeno loro registrano il nome del collaboratore autore di questo gesto di routine, perché nessuna legge sanitaria lo impone".

Cultura dell’errore

"A fronte dello sforzo decennale delle strutture sanitarie di favorire una vera cultura dell’errore e del miglioramento continuo, la sentenza andrebbe pure a incoraggiare la “caccia al colpevole” a tutti i costi, ciò che potrebbe indurre il personale curante a non più segnalare spontaneamente eventuali errori, temendo una condanna. Per un ospedale è invece quanto mai importante che gli errori commessi emergano, così da poter prendere le necessarie misure ed evitare che si ripetano".

Ruolo dei curanti

"La sentenza rappresenta un punto di svolta preoccupante per l’intero sistema sanitario nazionale, introducendo di fatto una responsabilità penale generalizzata per una struttura sanitaria che non fosse in grado di identificare l’autore di un atto sanzionabile; infatti, l’indagine è affidata per legge alla sola autorità inquirente. L’ospedale, per sua vocazione dedito alla cura dei pazienti e al miglioramento continuo della qualità e della sicurezza delle cure (non da ultimo grazie alla cultura dell’errore), non può e non deve trasformarsi in un ausiliario della magistratura".

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