CRONACA
"La mia più grande paura", Adriano si racconta. "Quella volta che Moratti voleva mandarmi in una clinica in Svizzera"
Dalle favelas alle favelas, la 'strana' vita di Adriano in un libro. "Non accettai, era un'idea assurda. Non capivo perché voleva mandarmi in un manicomio"

MILANO – "La mia più grande paura". Si chiama così il libro autobiografico dell'ex calciatore Adriano, attaccante brasiliano che ha sempre fatto parlare di lui, sia in campo che fuori. Nel libro scritto insieme al giornalista Ulisses Neto ci sono le battaglie contro l'alcol, la depressione, i gol indimenticabili. Un libro forse pieno di rimpianti: dalle favelas alle favelas. Nel mezzo una marea di debolezze. 

"Tornavo a casa e trovavo qualsiasi motivo per bene. Andava bene tutto. Mi sdraiavo in un angolo senza nemmeno riuscire a sognare. Molte persone usano il calcio come valvola di sfogo, io invece cercavo di una via di fuga da questo sport". L'"imperatore" affronta anche il capitolo della perdita del padre: "Lui era la mia via di uscita. Quando è venuto a mancare, l'alcol è diventato il mio più grande amico". 

La dipendenza dall'alcol ha condizionato una carriera piena di rimorsi. "Bevevo e arrivavo tardi agli allenamenti. L'Inter ha cercato di insabbiare tutto, tenendo la storia lontana dalla stampa. Ricevevo multe sullo stipendio, ma non mi importava". Sul tema era intervenuto anche l'ex presidente Massimo Moratti. "Mi disse: 'Adri, non c'è nulla di cui vergognarti. Succede a tanti. Voglio darti un suggerimento. Vorremmo mandarti in un posto molto speciale".

Il riferimento era a una clinica di riabilitazione in Svizzera. Un'idea che Adriano non accettò con entusiasmo. "Non capisco cosa pensava di ottenere. Ero depresso e non capivo bene le cose. Gli dissi che non ero pazzo e, con tutto rispetto, non capivo perché voleva mandarmi in manicomio. Era un'idea assurda".  
  

   
 
 

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