L'Unione Europea ha già deciso di muoversi in questa direzione. E la Svizzera che farà? Il Federalista lo ha chiesto a Fabio Regazzi e Alex Farinelli
di Beniamino Sani - articolo de ilfederalista.ch
L’Unione europea ha deciso: i fondi russi sequestrati dall’inizio della guerra verranno utilizzati allo scopo di aiutare l’Ucraina, anche militarmente. E la Svizzera? Nelle scorse settimane -ricorderete- le due Camere federali avevano approvato una serie di mozioni che chiedevano al Consiglio federale di confrontarsi a livello internazionale onde valutare la possibilità di versare gli averi dello Stato russo congelati in Svizzera (alcuni miliardi) all’Ucraina, quale riparazione per i danni subiti.
La notizia aveva fatto il giro del mondo. Ad alcuni era parso che la piccola Confederazione volesse persino fare la prima della classe nel fare il passo. L’ambasciatore russo nel nostro Paese si era subito inalberato: “Una tale decisione di confisca, se attuata, danneggerebbe sia l’integrità giuridica del sistema finanziario globale sia la reputazione della Svizzera come Stato di diritto e come piazza finanziaria affidabile”. Non si scherza con i soldi dello zar.
Veniamo all’oggi. Dopo l’annuncio dei capi di Governo dei 27 sembrerebbe proprio che sarà l’Unione europea a fare da apripista. Viene dunque da chiedersi: è possibile che il nostro Paese si sintonizzi sulla decisione, come già fece con le sanzioni a inizio invasione? La prospettiva apre infatti molteplici interrogativi.
Usare i ricavi sugli averi di Stato russi per pagare le armi a Kiev
Che cosa intende dunque fare l’UE? Le banche europee hanno congelato a inizio conflitto circa 185-200 miliardi di dollari in asset di proprietà degli enti statali della Federazione russa. L’idea di versare questi soldi all’Ucraina è discussa da tempo, ma si scontra con i trattati internazionali che proibiscono di impossessarsi dei beni di proprietà di uno Stato (i quali godono, in un certo senso, di una loro immunità diplomatica).
La soluzione sulla quale si sono accordati i 27 riguarda però i proventi prodotti dai beni bloccati. Questa enorme somma di denaro sta infatti maturando degli interessi. La bellezza di tre miliardi di dollari solo nell’ultimo anno.
Il Consiglio europeo ha ieri approvato un accordo di massima per l’utilizzazione di questi ricavi. Per nove decimi questi denari dovrebbero servire a finanziare il Fondo europeo orientato all’acquisto di materiale bellico per l’Ucraina.
Ovviamente dalla Russia sono arrivate reazioni virulente, per bocca del portavoce Dmitry Peskov, il quale ha minacciato ritorsioni e azioni legali (non è infatti chiaro se la mossa sia legale dal punto di vista dello stesso diritto comunitario).
E la Svizzera?
Il tema è ancora caldo di accesi dibattiti alle Camere. Sentiamone dunque due rappresentanti ticinesi: è plausibile che la Svizzera possa seguire l’esempio europeo?
Iniziamo da Alex Farinelli (consigliere nazionale PLR), il quale sottolinea subito come il Parlamento federale abbia approvato quattro mozioni che richiedevano in proposito un approfondimento a livello internazionale, “proprio perché – ci spiega– non è un tema che si possa immaginare di affrontare in modo unilaterale”.
Si tratta cioè di valutare se sia possibile creare una normativa che “chiarisca a quali condizioni si possa procedere alla confisca degli averi di uno Stato che ha violato il diritto internazionale in maniera grave, naturalmente in presenza di un decreto delle Nazioni Unite in tal senso”.
Per Fabio Regazzi (consigliere agli Stati del Centro) si tratta indubbiamente di “un tema complesso, in cui si intrecciano due piani, uno emozionale, l'altro invece giuridico. Sul piano emozionale evidentemente penso che pochi mettano in discussione la volontà e l'intenzione di aiutare l'Ucraina, nel limite delle nostre possibilità”.
“Il Parlamento, dal mio punto di vista, è chiamato piuttosto ad affrontare la questione dal profilo giuridico e quindi della legalità”, aggiunge Regazzi. “Durante il dibattito alcuni membri del Consiglio degli Stati, in particolare Beat Rieder ma anche il socialista Daniel Jositsch, hanno concluso che non si possa cedere all’aspetto emotivo, poiché procedendo unilateralmente su questa via [quella di requisire gli averi di Stato russi] sì violerebbe il diritto internazionale, finendo per commettere una violazione speculare a quella (ovviamente ben più grave) commessa dalla Russia. Sì contraddirebbero infatti i trattati internazionali in vigore”.
Il citato Daniel Jositsch (professore di diritto all’Università di Zurigo) ha peraltro fatto notare che, se nel caso del conflitto in Ucraina è semplice indicare chi sia l’aggressore e chi l’aggredito, non è sempre il caso in altri scontri armati.
Un’evidenza anche per Fabio Regazzi: “La realtà è spesso più sfumata. Non si può nemmeno pensare di creare in merito una legge speciale per la sola Russia, poiché di conflitti analoghi ce ne sono in tutto il mondo, a decine. Certo, questo conflitto ci tocca da vicino, anche geograficamente, ma il mondo è pieno di guerre distruttive. Come fare dunque? Applicare le medesime regole per tutti o farne un caso speciale? Con quale fondamento, con quale giustificazione ?”.
“Appunto per questo motivo”, sostiene Farinelli, “è bene che la questione sia posta e sollevata. E da noi, invece di essere sempre in ritardo sui dibattiti in corso nella Comunità internazionale”. L’UE si è mossa, “le altre Nazioni ne stanno parlando, è dunque giusto che anticipiamo le riflessioni, per mettere in chiaro ciò che vogliamo come Paese di fronte a una problematica su cui in futuro la stessa Comunità internazionale potrebbe arrivare a formalizzare una proposta. Partendo ovviamente dal presupposto, sotteso, che non si creerà una regola per questo caso preciso, ma per qualsiasi situazione analoga”.
“A mio avviso -puntualizza Farinelli- nessuno Stato di fronte a una questione di tale portata può permettersi di procedere da solo“. Farlo, significherebbe anche esporsi al rischio di ritorsioni.
Riguardo a ciò, per Fabio Regazzi il Parlamento ha probabilmente sbagliato a voler prendere un’iniziativa pubblica: ”Il Consiglio federale aveva già pubblicamente affermato di essere attivo a livello internazionale per cercare soluzioni plausibili a tale questione, d’intesa con gli altri Stati. Penso sia stata controproducente l’approvazione delle mozioni parlamentari, che in qualche modo finiscono per disturbare l’azione diplomatica, che avviene dietro le quinte, da parte del Consiglio federale stesso, limitandone in tal modo lo spazio di manovra”.
“Pubblicamente -conclude Regazzi- il nostro Paese, che vuole adoperarsi per la pace, dovrebbe cercare di mantenere una maggiore equidistanza”.
Le banche preoccupate
Una certa preoccupazione sta emergendo nel settore bancario. Si teme che decisioni come quelle prese dall’UE, o eventuali passi ulteriori, generino un clima di sfiducia nei confronti degli istituti finanziari continentali. Non tanto per quel che riguarda i clienti privati (ricordiamolo non si parla in questo caso dei beni dei cosiddetti “oligarchi russi”, anch’essi posti sotto sanzione), bensì per la preoccupazione di perdere l’accesso alla gestione di transazioni e operazioni molto importanti per il sistema bancario continentale, come quelle relative la compravendita di materie prime o idrocarburi.
Per Farinelli “questa preoccupazione è condivisibile. È proprio per questo motivo che una tale operazione potrà essere messa in atto se, e solo se, vi sarà un commitment internazionale: solo allora una singola piazza bancaria non avrà da temere ritorsioni o contraccolpi. Sta alla Comunità internazionale stabilire delle regole. Qualora lo facesse, è addirittura possibile che la nostra Piazza finanziaria vi dovrà aderire, anche controvoglia, poiché a quel punto potrebbero ripetersi delle dinamiche come quelle avvenute con altre normative (leggasi: scambio automatico di informazioni), con la Piazza finanziaria elvetica messa sotto assedio dalle potenze estere perché si adegui”.