di Luca Robertini, articolo pubblicato da ilfederalista.ch
“Cosa mi preoccupa della legalizzazione della cannabis? Che nei paesi in cui è stata promossa, il consumo della sostanza non è diminuito, e che con essa aumentiamo la possibilità di avvicinare alla sostanza chi non avrebbe mai avuto intenzione di farlo”.
Parola di Dea Degabriel, medico specialista in medicina interna generale, medico di famiglia e tabaccologa a Lugano. Ebbene sì, perché la priorità, anche nell’ottica di una legalizzazione, deve rimanere la salute della popolazione.
La preoccupazione della dottoressa non è infondata: laddove il consumo di cannabis è stato legalizzato, mai si è parlato e mai si parla di una diminuzione dei consumi. Anche nel caso del Québec, spesso citato come uno degli esempi più virtuosi di legalizzazione, “stiamo assistendo a un aumento complessivo dei consumatori”, lo riporta un recente articolo apparso su le Temps.
Altre realtà, come la Thailandia, stanno peraltro già facendo dietrofront, lo comunicava a gennaio di quest’anno la Repubblica: il Paese sta tornando sui suoi passi, la legalizzazione avvenuta nel 2018 ha infatti reso la Thailandia una “Mecca della cannabis” e ha “danneggiato i giovani”.
Ve ne parliamo perché -le cronache ne sono piene- il tema in Europa, Svizzera compresa, è tornato a suscitare crescente interesse. Non ci riferiamo solo alla recentissima legalizzazione della sostanza in Germania, ma anche alle attuali discussioni che si stanno svolgendo in questo senso alle nostre Camere federali. D’altronde, la cannabis è una sostanza che conta anche da noi molti consumatori: a oggi, come riporta admin.ch, “un adolescente su dieci di età compresa tra i 15 e i 24 anni dichiara di aver fumato canapa almeno una volta nell’ultimo mese”.
È ormai opinione diffusa che sia giunta l’ora di compiere il passo della legalizzazione. In considerazione, soprattutto, di una presunta scarsa pericolosità della sostanza, di una minor dipendenza fisica che essa provocherebbe rispetto ad altre droghe; o ancora, della necessità di contrastare il mercato nero.
I rischi per la salute
Chiediamo dunque alla dottoressa Degabriel se sia vero che la pericolosità della cannabis è relativamente ridotta? “Non possiamo permetterci di sottovalutare la pericolosità di questa sostanza, e soprattutto non dobbiamo promuoverne il consumo tra i giovani”. E ci spiega: “L’assunzione di THC consumato per via inalatoria comporta un aumentato rischio di danni dal punto di vista sistemico e respiratorio: per esempio alcuni studi hanno dimostrato che il sistema immunitario può essere indebolito nella risposta alle infezioni”.
“Le metanalisi”, continua, “hanno infatti associato il consumo di cannabis all'aumento del rischio di sviluppare, per esempio, la bronchite cronica, la broncopatia polmonare ostruttiva cronica, l'enfisema polmonare e gli attacchi d'asma. C'è inoltre un effetto sul sistema nervoso centrale del comportamento che può causare nervosismo, ansia, irritabilità, aggressività, agitazione, insonnia e altri disturbi; fino a sfociare, in alcuni casi, in malattie psichiatriche”. Ma non è tutto, rincara: “Uno dei problemi più grandi del consumo di cannabis è lo sviluppo di determinati comportamenti, che avviano un processo di gateway, ovvero di facilitazione all’accesso ad altre sostanze ancor più pericolose”.
Il peggio non è la dipendenza fisica ma quella psicologica
“Chi consuma cannabis tramite combustione sviluppa per esempio una fumata con una ritenzione polmonare più lunga rispetto a chi fuma sigarette, perché il consumo di cannabis è spesso un rituale che viene fatto lentamente; tanto che la ritenzione di catrame diviene 4-5 volte superiore rispetto a quanto avviene per i fumatori di solo tabacco”.
“Il consumo rituale -aggiunge la dottoressa Degabriel- è inoltre molto pericoloso in età adolescenziale. Affidare a una sostanza psicotropa il proprio rilassamento, ha un effetto negativo su un cervello che si sta sviluppando e che è esposto a forti emozioni: il rischio è di associare inconsciamente poi, per tutta la vita, l’assunzione della sostanza alla risposta a situazioni di stress, di dispiacere, di delusione. L’assunzione in età giovanile comporta insomma un’alterazione del comportamento: più aumenta lo stress, più aumentano i dispiaceri, più aumentano le delusioni, ecco che più emerge la necessità di assumere più sostanze psicotrope, ed è così che si finisce nella necessità di consumare altre sostanze”.
I danni della cannabis toccano dunque sia aspetti fisici che aspetti psicologici. Che dire dunque, della debole dipendenza creata dalla sostanza? “A essere debole”, puntualizza subito la dottoressa Degabriel, “è la dipendenza fisica, che passa dopo pochi giorni di astinenza, ma non si parla mai della necessità di liberarsi, quando si è consumatori di cannabis, da una dipendenza psicologica e comportamentale, molto legata al consumo rituale appena descritto, che è decisamente la più problematica”.
La connessione tra mercato legalizzato e mercato nero
“Eliminare la dipendenza fisica da una sostanza è, tra virgolette, ‘semplice’”, approfondisce Degabriel, “perché la medicina ne è capace: ci riusciamo con i farmaci sostitutivi. Per molte sostanze è a causa della dipendenza fisica che non si riesce a smettere, ma non nel caso della cannabis: la difficoltà nello smettere, in questo caso, è legata al comportamento, al rituale, ed è una difficoltà che medicalmente non sappiamo combattere. Per questo è più difficile uscirne”. Una dipendenza, quella dalla cannabis, che sarebbe superficiale sottovalutare.
Veniamo all’altro argomento dei liberalizzatori, la necessità di combattere il mercato illegale. Un buon argomento? Secondo la specialista “una volta che si decide di legalizzare il consumo, l'uso ricreativo, occorre stabilire dei tassi permessi di THC, CBD e altri principi attivi presenti nella sostanza. Per il momento, ad esempio, la cannabis legale deve contenere meno dell’1% di THC. Qui nasce un nuovo problema: le percentuali di THC legali, arriveranno ben presto a non soddisfare parte dei consumatori, i quali, bisognosi di dosi maggiori, si rivolgeranno comunque al mercato illegale”.
A conferma della preoccupazione della dottoressa depongono anche i primi risultati delle sperimentazioni pilota in atto in alcune città svizzere: i partecipanti al progetto di Basilea, per esempio, si sono detti insoddisfatti dalle varietà proposte e molti di loro, pur potendo acquistare la cannabis comodamente in farmacia, hanno continuato a rivolgersi al mercato nero.
Se l’industria del tabacco inizia a vendere cannabis
“Un altro problema che la legalizzazione potrebbe causare”, continua De Degabriel, “è che l'industria del tabacco potrebbe più facilmente prendere in mano il mercato della cannabis. E se il mercato passa in mano a un’industria che punta solo al profitto è ancora più pericoloso, perché la dipendenza crea clienti: quindi, più si rende dipendente la popolazione (che sia alla nicotina piuttosto che al THC, al CBD o anche solo al comportamento -oggi esistono sigarette di plastica che danno all’aria il gusto di frutta ma che comunque educano al gesto) più si guadagna”.
La nostra interlocutrice non dà scampo al compromesso buonista: “Dobbiamo sostenere la cessazione del consumo e non promuoverlo. Ecco perché le persone che consumano questa sostanza devono avere facilissimo accesso a piattaforme di sostegno, devono essere individuate non per essere perseguite ma per essere supportate”, ci dice. “Quindi chi parla di legalizzazione, dovrebbe sviluppare un progetto di legge che vada in questa direzione, che cio`preveda un facile, libero e gratuito accesso al supporto, perché solo così si aiutano davvero le persone”.
“Se l’obiettivo è la libertà”, conclude la dottoressa, “io farei molta attenzione a legalizzare sostanze che non ci rendono davvero liberi. La cannabis è una sostanza che rende schiavi più di quanto si racconta, e avere una posizione di libertà nei suoi confronti significa riuscire ad averne il controllo, non illudersi di avere la libertà di poterla assumere”.