IL FEDERALISTA
I cercapersone esplosivi di Hezbollah e i nostri cellulari. Interrogativi inquietanti
Noi tutti abbiamo in casa telefoni assemblati in gran parte nella “fabbrica del mondo” non proprio trasparente che è la Cina di Xi…

Redazione Il Federalista

L'attacco del Mossad in Libano, attraverso il pirataggio dei dispositivi elettronici di comunicazione interna di Hezbollah, segna un punto di svolta nella guerra moderna, aprendo scenari inquietanti sulle guerre del futuro?

A metà settembre, un attacco coordinato ha fatto esplodere a distanza migliaia di cercapersone e walkie-talkie in tutto il Libano. Questo evento, la cui regia è attribuita universalmente a Israele e ai suoi mitici servizi di intelligence, rappresenta per il gruppo islamista un duro colpo (e non solo simbolico: i feriti sono stati 2700), ma forse anche un momento cruciale nell’evoluzione di quelle tecniche che gli umani ingegnosamente escogitano per farsi male a vicenda.

Secondo alcune fonti (New York Times in testa), l'operazione avrebbe coinvolto la creazione di aziende di facciata e una complessa rete di fornitori, attraverso i quali Hezbollah è stata indotta ad acquistare dispositivi di comunicazione sabotati. Una prima assoluta nelle finalità, anche se va detto che già in passato attacchi informatici e interferenze nella catena di produzione globale sono stati utilizzati per entrare nei sistemi di comunicazione e di rifornimento di avversari commerciali o nemici geopolitici.

Il clamoroso caso Crypto (e altre simili vicende)

Celebre è quanto la “gola profonda” Edward Snowden rivelò ormai oltre un decennio fa riguardo alle attività della NSA (National Security Agency), una delle principali agenzie di intelligence americane, che riusciva a integrare, grazie anche alla collaborazione di alcune aziende tecnologiche, appartati di sorveglianza e vulnerabilità (le cosiddette “back doors”, che permettono di inserirsi e controllare a distanza apparecchiature elettroniche) in componenti e dispositivi destinati a reti informatiche, telecomunicazioni, reti elettriche. Dispositivi che venivano poi commercializzati verso Paesi esteri, talvolta anche vicini agli stessi USA.

L’FBI dal canto suo nel 2019 riuscì, attraverso società di facciata, a piazzare nelle tasche di centinaia di individui coinvolti nel crimine organizzato internazionale telefoni cellulari con applicazioni spia pre-installate (“Operazione Trojan Shield”).

Famigliare per noi svizzeri è il famoso caso Crypto-AG, azienda con sede a Zugo che produsse per decenni macchine destinate a comporre messaggi cifrati, vendute in seguito a numerosi Stati tra i quali, notoriamente, l’Iran e il Vaticano. L’azienda fu acquistata segretamente nel 1970 dai servizi segreti della Germania Ovest e dalla CIA, i quali ebbero così libero accesso - per oltre un ventennio - ai messaggi dei clienti della Crypto. Inoltre, generò scandalo già negli anni 90 la scoperta che il Consiglio federale aveva avuto sentore dell’inghippo sin dal 1977, senza tuttavia avvertire i Paesi coinvolti.

L’ “operazione cercapersone” ricorda da vicino l’affair Crypto, seppur a livelli di sofisticazione e pianificazione assai più evoluti. I dispositivi utilizzati nell'attacco portavano il marchio della ditta taiwanese Gold Apollo, ma il vero commercializzatore era una società di consulenza ungherese, la BAC Consulting, con collegamenti sospetti a una società bulgara. I pagers minati sono stati dunque forniti a Hezbollah tramite una lunga serie di passaggi.

Cellulari, fidarsi è bene ma…

In sintesi: gli innumerevoli precedenti di penetrazioni in dispositivi telecomunicativi personali, unito ora a quello dei cercapersone di Hezbollah, permettono di proiettare scenari da brivido. La possibilità che una potenza straniera possa non solo spiare, ma anche sabotare o addirittura far esplodere dispositivi elettronici di uso quotidiano, rappresenta ora una nuova dimensione di vulnerabilità.

Dagli Oppo alla Apple, noi tutti - si sa - abbiamo in casa telefoni assemblati molto lontano dalle nostre case, in gran parte nella “fabbrica del mondo” non proprio trasparente che è la Cina di Xi.

Già negli scorsi anni, ricorderete, si parlava di bandire apparecchiature cinesi come quelle legate al 5G, temendo che queste potessero includere componenti progettate per spiare o sabotare le infrastrutture tecnologiche critiche. Non ci risulta il nostro Paese lo abbia fatto (ignorando i consigli del Federalista… ); l’hanno fatto gli Stati Uniti, in epoca Trump, imponendo limiti ad alcuni prodotti.

La trovata del Mossad ora preoccupa (anche in Israele)

Non è forse un caso che a rilanciare l’allarme sia proprio un giornale israeliano sempre ben informato come Haaretz: “È motivo di preoccupazione la possibilità che la Cina possa introdurre trappole in componenti elettronici, con lo scopo di farli detonare in un evento di guerra globale”. Oppure, in un’altra declinazione: “Parti manipolate potrebbero essere installate in componenti destinati ai sistemi d'arma e missilistici statunitensi, che potrebbero poi essere sabotati a distanza. (…) Viviamo in un mondo in cui ciò è ora possibile”.

A essere chiamata in causa è di nuovo l’eccessiva dipendenza dei Paesi democratici da tecnologie prodotte in Paesi che non lo sono. Oltretutto, progettare attacchi di questo tipo potrebbe essere presto alla portata anche di gruppi terroristici o criminali dotati di risorse importanti, poiché le possibilità di inserirsi lungo la catena degli approvvigionamenti sono innumerevoli (le lunghe settimane per mare dei pacchetti, i centri di smistamento logistici, e così via).

Conclusione: un po’ come forze armate e agenzie di sicurezza di tutto il mondo stanno correndo ai ripari, cercando di escogitare contromisure alla minaccia plausibile di droni artigianali carichi di esplosivo, come quelli visti in scena in Ucraina, così gli Stati potrebbero trovarsi nella necessità di introdurre nuove misure di sicurezza nelle catene di approvvigionamento e nella produzione di dispositivi elettronici.

L’azione spettacolare di Israele potrebbe ritorcersi contro gli stessi Stati che sostengono Israele, gli USA per primi, che dovranno ora affrettarsi a introdurre misure verosimilmente costose e impegnative onde assicurarsi che gli apparecchi elettronici importati non serbino “in pancia” qualche spiacevole sorpresa.

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