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12.10.2017 - 10:020
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Stefano Piazza: "No, in Europa non stiamo vincendo la guerra contro il terrorismo islamico. L'arresto del fratello dell'attentatore di Marsiglia a Chiasso? Non c'è da stupirsi e vi spiego perché. Nelle stanze del potere a Palazzo federale domina il politi

Intervista all'esperto di fondamentalismo islamico, autore del saggio "Allarme Europa", dopo gli ultimi fatti di cronaca che hanno toccato il Ticino: "L'intreccio tra terrorismo e immigrazione? Elemento delicatissimo ma il problema esiste. Proibire la distribuzione del Corano? Giusto. Islam religione ufficiale in Svizzera? È una stupidaggine!"

di Andrea Leoni


Domenica scora è stato arrestato al centro per richiedenti l’asilo di Chiasso Anour Hannachi, fratello di Ahmed, l’attentatore di Marsiglia, e di Anis, considerato la mente di questa cellula jihadista, pure lui finito in manette a Ferrara. In Ticino abbiamo dunque vissuto un nuovo livello di contatto con il terrorismo islamico. Stefano Piazza come legge questo episodio?

“Non bisogna stupirsi. Anche in Ticino registriamo una crescita di questi episodi. Ricordo che nel nostro Cantone abbiamo avuto il caso dello jhiadista pugile, che si allenava a Canobbio. Poi c’è stato il precedente di Oussama Khachia e ancora, all’interno della vicenda di Argo 1, è spuntato un reclutatore dell’Isis. Oggi siamo confrontati con il fratello dell’attentare di Marsiglia. Un uomo conosciuto ai servizi segreti, svizzeri ed europei, come radicalizzato, che è riuscito a entrare in Ticino come profugo a Chiasso, luogo ideale essendo a cavallo del confine. Tutto questo ci conferma ancora una volta che anche alle nostre latitudini siamo confrontati con il fenomeno del terrorismo islamico. Del resto il Ticino e la Svizzera sono al centro dell’Europa e di conseguenza noi non possiamo e non dobbiamo considerarci fuori da questa situazione”.

 

La persona arrestata è un tunisino. Di recente il Consigliere Nazionale Marco Romano ha interpellato il Consiglio Federale rispetto all’aumento di persone provenienti dal Maghreb alla nostra frontiera. Si tratta di un dato rilevante?

“Proprio ieri il ministro degli interni italiano Marco Minniti è intervenuto in una commissione parlamentare per spiegare questa faccenda. Il fenomeno delle partenze dal Maghreb è effettivamente in crescita e rappresenta un ulteriore problema. Aggiungo su questo punto che in Tunisia sono stati di recente rilasciati dalle prigioni 500 detenuti. Si tratta di persone che erano agli arresti per reati minori. Potenzialmente però questi ex carcerati possono diventare tanti piccoli Anis Amri, l’attentatore di Berlino che si è radicalizzato in un contesto del tutto simile. Bisogna quindi fare molto attenzione a questi flussi che arrivano in maniera importante dal Maghreb. In particolare dalla Tunisia”.

 

Perché la Tunisia?

“La Tunisia è il paese che ha dato più forense fighters alla causa jihadista. È importantissimo tenere presente questo aspetto. In tutta l’area del Maghreb il fenomeno dello jhiadismo è molto radicato e potente”.

 

La vicenda di Chiasso intreccia ancora una volta il fenomeno della migrazione con quello del terrorismo. Si tratta di un elemento molto sensibile e da prendere con le pinze. Il procuratore nazionale italiano anti terrorismo Franco Roberti, ha detto chiaramente che non si può far finta di nulla. A suo avviso come si può affrontare questo tema senza estremismi, ma neppure senza chiudere gli occhi?

“In effetti bisogna stare molto attenti a commentare questo elemento delicatissimo, perché si rischia di prendersela con dei poveri disperati. Se fossimo nei loro panni, affamati e senza un futuro, ci comporteremmo esattamente allo stesso modo cercando fortuna altrove. Detto questo purtroppo il fenomeno migratorio è un enorme business: E ad approfittarsene sono le varie mafie attive nel Mediterraneo e pure queste organizzazioni jihadiste. Fare di tutta un’erba un fascio è un errore. Ma il problema c’è e in questi casi affrontare la realtà, senza estremismi o drammatizzazioni, è sempre la strada migliore”.

 

Se ci fossero le frontiere come le avevamo una volta, sarebbe più semplice affrontare questo problema?

“È una bella domanda: magari sì, magari no. Io dico sempre che l’assenza di frontiera che più mi preoccupa è quella digitale. Siamo confrontati con una diffusione imponente dell’odio sul web. Solo quest’anno quasi 500 persone sono state sorprese in Svizzera a fare questo genere di proselitismo. Forse la chiusura delle frontiere fisiche è solo una pia illusione come soluzione del problema, ma forse un po’ più di controllo aiuterebbe. Del resto quando accadono degli attentati una delle prime misure che intraprendono i Paesi è proprio la sospensione di Schengen, il che fa pensare che qualche utilità possa esserci in questa mossa. Anche se, ribadisco, ciò che mi preoccupa di più sono le autostrade digitali dell’odio”.

 

A proposito di proselitismo. È recente l’invito di Norman Gobbi ai comuni ticinesi di vietare la distribuzione del Corano promossa dalla campagna “Lies”. Una buona decisione?

“Io credo di sì. E credo che questa impostazione, più volte sollecitata, vada a vantaggio in particolare di quei musulmani che non hanno nessuna intenzione di essere confusi con certe organizzazioni salafite. Sono loro i primi a vedere con il terrore il proliferare di queste campagne. Ricordo che questo genere di gruppi sono già stati banditi in paesi come la Germania o l’Austria”.

 

Quello che forse fa un po’ impressione è osservare che questo compito debbano assumerselo i Cantoni, mentre il Governo federale continua ad avere posizioni incerte, per usare un eufemismo.

“Il Consiglio Federale ogni qual volta deve pronunciarsi sull’islam radicale, produce risposte burocratiche, lezioncine di Palazzo. In effetti è abbastanza impressionate notare il distacco che esiste tra le stanze del potere e la realtà. Purtroppo impera questa logica del politically correct".

 

A suo avviso le politiche che sono state intraprese in Svizzera e in Europa nell’ultimo anno, e le azioni di intelligence, stanno producendo dei risultati significativi nel contrasto allo jihadismo oppure no?
“Io credo che in Svizzera siamo molto in ritardo, sia per quanto concerne le leggi che non sono ancora adeguate, sia per quanto riguarda le risorse per l’intelligence, che sono poche, sia a livello di mezzi che di uomini. A livello europeo i dati purtroppo sono impietosi: in Germania si contano migliaia di jihadisti. In Olanda, un paese che sto studiando per il mio prossimo libro, si stima che ci siano tra i 20’000 e i 30’000 potenziali jihadisti. E la cosa ancora più preoccupante è che con la probabile debacle assoluta che gli islamisti avranno in Siria e in Iraq, molti combattenti rientreranno in Europa”.

 

Insomma, detto brutalmente, non stiamo vincendo.

“No. Noi non stiamo vivendo. E comunque per poter vincere questa battaglia, abbiamo assolutamente bisogno che i musulmani combattano dalla nostra parte. Devono alzarsi in piedi, prendere le distanze dall’islam radicale e schierarsi senza ambiguità dalla parte dell’Occidente. Finché questo non accadrà non avremo possibilità di vincere”.

 

Infine una domanda sulla proposta, rilanciata in questi giorni dalla neo Consigliera Nazionale dei Verdi Irène Kälin, di rendere l’islam religione ufficiale in Svizzera. Cosa ne pensa?

“È una stupidaggine, che fa venir voglia di richiamare in servizio il deputato che si è dimesso lasciandole il posto”.

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