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03.11.2021 - 11:340
Aggiornamento: 05.11.2021 - 11:40

Un referendum sul nulla che può cambiare lo scacchiere politico

L'iniziativa Morisoli, la raccolta firme promossa dalla sinistra e le conseguenze sui partiti

di Andrea Leoni

Per carità in politica si può far tutto o quasi. In particolare quando manca poco più di un anno alle elezioni e occorre adoperarsi per mobilitare le truppe e affilare le armi. Certo però rimane piuttosto singolare la decisione della sinistra - ricompattatasi dietro il sindacato VPOD, dopo gli iniziali tentennamenti - di promuovere un referendum contro quello che è e rimane un proclama: l’iniziativa Morisoli, recentemente approvata di misura dal Gran Consiglio.

Premesso che abbiamo già espresso la nostra contrarietà verso tale iniziativa - che prevede il raggiungimento del pareggio di bilancio entro il 2025 agendo “prioritariamente” sulle uscite, escludendo interventi fiscali - ci pare una forzatura raccogliere le firme verso un principio legislativo vuoto di contenuti e che non prevede alcuna conseguenza qualora non venisse rispettato. La battaglia, pur legittima, è dunque esclusivamente ideologica e partitica, sia da destra che da sinistra: di concreto non c’è nulla. Le conseguenze politiche, però, possono essere diverse e anche piuttosto rilevanti. Vediamone alcune.

La prima è che Sergio Morisoli starà stappando casse di champagne. Con una micro iniziativa, nata quasi per caso nel caotico dibattito sul consuntivo, è riuscito a monopolizzare l’attenzione mediatica e dell’intero Parlamento su un tema a lui caro e a dettare l’agenda politica. Un colpo da maestro, messo a segno con soli sette deputati. Si può essere d’accordo o meno con le idee del capogruppo UDC, ma gli va riconosciuto di saper fare politica e di farla producendo contenuti, presentati di volta in volta attraverso gli atti parlamentari (quelli che la maggioranza del Gran Consiglio non gli vota, a differenza dell'ultima iniziativa. Il che è sintomatico rispetto al discorso che stiamo facendo...). Se solo gli altri partiti avessero la stessa energia, la stessa passione e la stessa competenza, il dibattito pubblico sarebbe certamente più denso di visioni, idee e proposte concrete e il confronto si eleverebbe finalmente sui temi cruciali per il futuro del nostro Cantone.

Il PS, da sinistra, sta seguendo lo stesso approccio. Onore al merito anche in questo caso. Il piano di rilancio presentato di recente dai due co-presidente Fabrizio Sirica e Laura Riget offre un menù che tratteggia un’idea precisa di Paese, del ruolo dello Stato, con le relative priorità d’intervento. Chi sceglierà quel ristorante non troverà sorprese o delusioni nel piatto. In questo filone s’inserisce anche l’iniziativa popolare per riformare il salario minimo, fissando un “nuovo” minimo a 21,50 all’ora e cancellando l’opzione che permette di non osservare la soglia attraverso la sottoscrizione di un contratto collettivo. Il comma su cui si è innestata la questione Tisin.

È evidente anche all’osservatore più disattento che si stanno creando tutte le condizioni per una nuova, forte, polarizzazione tra destra e sinistra. Meglio, tra centro-destra e centro-sinistra. E qui sta il vero punto, nel centro che precede il trattino. Se socialisti, sinistra radicale e Verdi (forse…) da una parte e UDC e Lega (forse..) dall’altra, non possono che sfregarsi le mani per tale congiuntura, più delicata è la posizione di PLR e PPD. Il partito di Alessandro Speziali sembra ormai aver fatto la sua scelta di campo, collocandosi nel centrodestra, con allegata la scommessa, supponiamo, di poterne a poco a poco conquistare la leadership. Certo il passaggio referendario non sarà semplice. Finora le sue forzature per riposizionare il PLR sono state digerite, ma ora viene il bello: dovrà riuscire a tenere serrati i ranghi a sostengo dell’iniziativa Morisoli, che porta le impronte sue e del suo partito.

Oggi come oggi non vorremmo essere nei panni di Fiorenzo Dadò. Il PPD sul tema è platealmente spaccato, tra l’ala economica e l’ala sindacale, tra chi ha sempre propugnato la linea anti-sprechi e a favore della revisione dei compiti dello Stato (tra i quali lo stesso Dadò e il capogruppo Agustoni) e chi teme la mannaia dei tagli sociali, che peraltro andrebbero a colpire il Dipartimento di Raffaele De Rosa. In tutto questo, in filigrana, resta la volontà di non rompere con il PLR, non essendo ancora tramontata del tutto l’ipotesi di una collaborazione per le prossime elezioni federali.

Badate bene, tutto questo guazzabuglio, si fonderà su un dibattito astratto, con la sinistra che invocherà la macelleria sociale e la destra che ribatterà che non è vero. Nessuno potrà dimostrare di aver ragione perché, ribadiamo, si discuterà sul nulla: non c’è una sola misura concreta sul quale il cittadino potrà farsi un’idea precisa rispetto al proprio portafoglio e a quello degli altri. Chiunque vinca, il giorno dopo non cambierà niente.

Quel che potrebbe cambiare è l’indirizzo, gli accenti, che il Governo dovrà mettere quando presenterà il pacchetto di risanamento (se ne parlerà dopo le elezioni, che comunque forniranno un ulteriore indicazione sui sentimenti del Paese). Se vincerà la destra vedrà confermata la propria linea, se prevarrà la sinistra si agirà con maggiore prudenza sul fronte della spesa.

Poi, però, un giorno - perché quel giorno arriverà - avremo sul tavolo le proposte concrete d’intervento. E allora, senza un accordo tra le parti, si ricomincerà daccapo. E se ci saranno tagli o aggravi fiscali indigeribili, si tornerà alle urne. Almeno, finalmente, si parlerà di cose concrete. Al netto di tutto il tempo sprecato in chiacchiere.

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