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30.08.2021 - 11:350

Sergio Morisoli: "Lega e UDC oppure UDC e Lega?"

"Siamo all’alba di un nuovo ciclo per il centro destra, nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma"

di Sergio Morisoli*

Permettetemi di riassumere subito. Il sottotitolo di questo intervento potrebbe essere: dalla rivoluzione all’evoluzione. Con la morte improvvisa di Marco Borradori, il politico di gran lunga più amato del Ticino a cavallo della fine del XX e l’inizio di questo XXI secolo, si chiude definitivamente per il Cantone un ciclo politico di 30 anni. Non solo un ciclo legato al movimento della Lega ma un vero e proprio ciclo di politica cantonale. Forse, anzi quasi certamente, resterà un ciclo politico irripetibile alle nostre latitudini, come irripetibile e senza successione rimarrà per decenni la figura di Borradori.

La storia della Lega la scriveranno gli storici e i politologi; per quel che mi riguarda la storia è stata il clima e l’ambiente in cui quelli della mia generazione ( i ”boomers”) sono stati immersi per 30 anni. Siamo entrati in politica attorno ai 25 anni, dopo il ruggente decennio degli anni ’80, e oggi che ne abbiamo quasi 60, ci rendiamo conto che siamo cresciuti dentro o con attorno questo humus. Certo, molti rimanendo nei propri partiti, tuttavia costretti a tener conto di questo fenomeno contagioso, un fenomeno nettamente più sociale che politico.

Nano Bignasca, Flavio Maspoli, Attilio Bignasca, Giorgio Salvadè, Rodolfo Pantani, Michele Barra e ora purtroppo Marco Borradori sono scomparsi. Personaggi molto diversi ma a loro modo carismatici, istrionici e ipnotici. Probabilmente all’inizio degli anni ’90 tra chi partecipò alla “carovana della libertà” contro i “balivi”, quella che bloccò il traffico sull’A2 scendendo incolonnati da Airolo a Chiasso a 40 o 50 all’ora in pieno mese di luglio, nessuno di loro pensava e sapeva di aprire una storia politica che sarebbe durata 30 anni. Fu un gesto libertario, che quei protagonisti vollero proporre interpretando il clima di quei tempi e la necessità di cambiamento che richiedeva. Come tutte le manifestazioni di scontento di massa, che secondo la lettura marxiana dovrebbero dare un colpo d’acceleratore alla storia (e per fortuna quella non fu una rivoluzione violenta), quell’inizio fece pensare a chi sui cavalcavia vedeva passare la carovana che: “si poteva fare”, o come direbbero i giovani oggi “ci stà”; precursori del “yes I can” di Obama.

Da allora fu un mescolarsi e un intrecciarsi di cause ed effetti programmati, ma soprattutto casuali e cavalcati genialmente. Un meticciato inarrestabile di persone, personaggi, vite, storie, situazioni, colpi di scena, trame, contraddizioni e copioni che nemmeno le arti di Fellini o di Tinguely sarebbero riusciti a produrre. A riprova che la realtà è sempre molto più creatrice che la nostra fantasia e che i cambiamenti, quelli veri, arrivano senza bussare alla porta e senza chiederci il permesso di entrare.

È molto difficile sull’arco di questo lunghissimo tempo dire cosa era voluto e pianificato dai “leghisti” e cosa invece era già pronto in attesa che i “leghisti” lo accendessero. Tant’è che ancora oggi non vi è dirigenza e a parte i famosi 10 punti che appaiono e spariscono sul Mattino prima e dopo le elezioni, la Lega non ha programmi, non ha comitati di riflessione, non fa sondaggi interni. Inutile scervellarsi per capire se c’era prima l’uovo o la gallina.

La Lega non è un partito, i fondatori intuirono di farne un Movimento (appunto, qualcosa che si muove perennemente; non ha confini, non ha regole di appartenenza, l’entrata e l’uscita sono libere, nessuno sa chi vi fa parte e chi no, si vive alla giornata). L’intuizione fu geniale perché non solo è diventato un movimento di successo elettorale, ma è diventato un fenomeno sociale. Trattandosi di un fenomeno sociale, non può essere né studiato con strumenti della politica, né contrastato con le munizioni elettorali e ancora meno con le tattiche partitiche. Un fenomeno sociale è tale e quale perché una vastissima parte della popolazione vive e pensa da leghista senza sapere di esserlo. L’affetto per Borradori di questi tristi giorni è il segno che tutto quello che ruotava attorno a lui e alla Lega era infinitamente di più degl’80'000 voti che riceveva! Leghiste sono diventate in 30 anni le trasmissioni politiche televisive, leghisti sono i titoli e i contenuti dei giornali, leghisti sono gli interventi e il modo di far politica dei non leghisti (compresi BelTicino, portali vari, sinistra e altri club moralizzatori), leghista è il modo di percepire la realtà, leghista è forse l’educazione in famiglia e a scuola, leghista è il modo di giudicare gli altri, leghista è il linguaggio e la sintassi. Parafrasando Charles Péguy i “clericali laici” e i “clericali clericali”, quelli nostrani, non si sono ancora ripresi dall’entrata in scena dell’imprevisto leghista, non riescono proprio a capacitarsene nemmeno ormai a distanza di decenni. Da una analisi politica classica, la Lega è incoerente, inguardabile e invendibile, la Lega non produce soluzioni, la Lega non può e non vuole dirigere il Paese, la Lega vive di elezione in elezione, la Lega non ha apparati, la Lega non pianifica, la Lega è tutto e il contrario di tutto, la lega è ciò che gli altri partiti non sono. La Lega, spesso non riuscendoci, cerca di soddisfare i desideri dei cittadini; mentre gli altri partiti invece vorrebbero che i cittadini soddisfacessero i desideri di chi dirige i partiti, mai riuscendoci. La Lega nasce libertaria e filo anarchica e si trova al massimo successo nel Governo con un politico che fino a ieri faceva il Giudice e il collega che si trova a dirigere polizia, esercito e istituzioni! In breve, dal disordine all’ordine. Questa è la metamorfosi dei 30 anni che Borradori ha saputo saggiamente cavalcare sempre stando davanti, ma attento ogni tanto a retrocedere in seconda o terza fila. Eppure, la Lega vince e i suoi candidati sono stravotati. Chi negli anni ha tentato di copiarla e di scimmiottarla ne è uscito con le ossa rotte, chi l’ha voluta attaccare rischia l’estinzione. Un fenomeno sociale esiste e basta, il primo passo per cavalcarlo o correggerlo o concorrenziarlo è riconoscere e ammettere che è così. Non quello di negarlo come si fa da quasi 30 anni, o peggio di ritenerlo un virus sfuggito notte tempo dal laboratorio e che poi rientrerà. Chi vuole vincere le elezioni deve mettersi in qualche modo con la lega. Chi vuole invece fare politica per conto suo (morte e sepolte le ideologie) deve avere il coraggio: a) di iniziare da capo con un disegno non leghista (quale?)   e b) di perdere ancora per un po’ (quanto?), per poi forse cogliere dei frutti a medio lungo termine. Ma ci vuole “pelo sullo stomaco”, quello che perfino Vasco Rossi cantava di non avere. 

Ora anche per la Lega è giunto il momento che ha segnato ovunque nel mondo tutti i partiti democratici usciti dal XIX e dal XX secolo: come usare l’energia “rivoluzionaria” iniziale che va spegnendosi e trasformarla in spinta “evoluzionista”?

In casa, non tutto il passato se ne è andato, ci sono dei traghettatori che hanno vissuto e masticato dall’inizio e nei primi anni ‘90 l’alfabeto dei fondatori: Michele Foletti, Antonella e Boris Bignasca, Lorenzo Quadri, Claudio Zali, Norman Gobbi. Ci sono pure gli alleati naturali e che da molti anni hanno fornito spinta e a volte hanno salvato la Lega; sono gli UDC e chi vota senza intestazione. Da entrambe le parti ci sono numerose nuove leve che scalpitano. La grande domanda per la Lega è quella di sapere se, l’esperienza trentennale di successo, modificata adeguatamente e integrata secondo i tempi e i metodi degli anni ’20 del XXI secolo può diventare un punto catalizzatore e di nuovo inizio; oppure diventare la fase finale consolidata, di una sorta di declino controllato, poi da celebrare e memorare solo nella storia con riti e liturgie pagane.

Le premesse e gli ingredienti per una formazione solida sul centro destra partendo da Lega e UDC, o da UDC e Lega, per dar corpo a soluzioni liberal conservatrici (liberali in ciò che ci fa prosperare materialmente e conservatori in ciò che protegge il nostro benessere), quali basi di un partito moderno non ideologico del XXI secolo, ci sarebbero tutte.

Indubbiamente la Lega ha i voti, una dote tre volte superiore a quella dell’UDC nelle elezioni cantonali e circa del doppio nelle elezioni nazionali. Inutile giraci attorno i numeri per un po’ li hanno ancora loro; ma determinanti in termini marginali per mantenere i seggi e vincere, da diverse elezioni a questa parte, sono diventati i voti dell’UDC attraverso le liste uniche. L’UDC, in crescita regolare da un paio di legislature, è invece nettamente superiore alla Lega nella produzione politica, non solo ovviamente per i temi federali, ma anche nel muovere le acque cantonali. Grazie al cambiamento di rotta dell’UDC ticinese, che sta promuovendo l’allargamento dei suoi confini su temi e campi di grande interesse generale, ma un po’ “esotici” per la Lega, si aggregano nuovi aderenti e nuovi voti.

Nelle ultime due legislature, prima con il supporto de La Destra (UDC, AL e UDF), ampliamento voluto da Gabriele Pinoja e Pierre Rusconi per rinforzare il nucleo storico; e poi con la nuova dirigenza di Piero Marchesi e Marco Chiesa, il gruppo parlamentare UDC cantonale ha prodotto oltre un centinaio di atti parlamentari (mozioni, iniziative elaborate e iniziative generiche e una manciata di iniziative popolari). Una produttività enorme a 180 gradi per un piccolo partito. Di questi atti una sessantina sono tuttora pendenti sui tavoli del Governo e delle Commissioni, il resto salvo qualche rara eccezione sono stati liquidati, sbrigativamente in senso negativo, dalle altre forze politiche.

Se per i temi inerenti alla politica estera, il mercato del lavoro, la sovranità, i rapporti con l’Italia, il federalismo, la democrazia diretta la Lega e l’UDC sono pienamente allineati senza nemmeno doversi parlare e discutere. Per i temi di cui si è fatta attiva ultimamente l’UDC in solitaria: riforma scolastica, difesa e promozione del ceto medio, riforma della socialità, riforma istituzionale, riforma fiscale, rilancio economico; è ancora necessario un certo lavoro di approfondimento e perfezionamento comune degli obiettivi e dei metodi per raggiungerli; per poi individuare gli attori adatti per interpretarli nell’arena politica.

L’eredità leghista, l’enorme bacino di voti consolidato nel tempo e la produttività democentrista, possono essere finalmente il carburante per far funzionare la propositività e il perseguimento degli obiettivi tematici riformisti del centro destra ticinese dei prossimi dieci anni.

Verrebbe da dire che in questa “già ma non ancora” unione sistematica di forze, in questo prototipo: l’Hardware c’è, è quello della Lega (fare voti) e il Software pure, è quello dell’UDC (produrre soluzioni). Ma si tratterà, pur sempre solo di un prototipo che funziona all’occasione, fintanto che non si deciderà di fare sul serio e passare alla produzione di serie.

Oggettivamente il potenziale che promette la congiunzione tra l’hardware e il software è enorme, ma non va dimenticato che la differenza tra il successo e la sconfitta la faranno sempre e solo le persone giuste amalgamate in modo naturale, e perché no, in amicizia. Il caso o la provvidenza hanno prodotto in 30 anni ciò che oggi abbiamo: i resti di un utile cambiamento radicale della politica cantonale che fu e la necessità di lanciare un nuovo paradigma di cui nessuno possiede la ricetta per una politica che sarà.  Le persone leghiste che hanno saputo interpretare al meglio la realtà e le circostanze politiche di questo lungo periodo sono scomparse. Sarebbe inutile cercare le loro controfigure o illudersi che la storia si possa ripetere o credere che una volta in cima, il successo rimanga per sempre basta annaffiarlo un po’. No, siamo all’alba di un nuovo ciclo per il centro destra, nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma. Tocca a noi miscelare in modo efficiente ed efficace il meglio del passato con il buono del presente, così da tracciare un futuro di benessere e prosperità per i ticinesi.  Non dovranno prevalere gli schemi, i progetti, le pianificazioni, le strutture partitiche, i regolamenti o gli statuti, le gerarchie e nemmeno le lotte di potere per decidere quale delle due sigle dovrà precedere l’altra; bensì, come la lunga carriera politica e purtroppo la breve vita di Borradori ci hanno insegnato, dovrà prevalere su tutto il “criterio umano”, cioè la scelta e il coinvolgimento di quelle persone che potranno e sapranno fare la differenza, e che differenza! Quella di assumersi l’onere e l’onore di unire invece che dividere, affinché dal trentennio della “rivoluzione” si passi al decennio dell’”evoluzione”, cioè delle riforme. Non è semplice, non è scontato, ma è fattibile.    

*Capogruppo UDC in Gran Consiglio

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