Il segretario dell'OCST: "questa modifica legale si viene meno al principio democratico e si va a demolire il castello del nostro ordinamento giuridico in materia di diritto del lavoro"
di Xavier Daniel *
Il Consiglio nazionale, malgrado il parere contrario di tutti i cantoni tranne uno (guarda caso quello di origine dell’autore della mozione) e del Consiglio federale, ha deciso che i salari minimi negoziati nel quadro dei contratti collettivi di lavoro (CCL) di obbligatorietà generale dovrebbero prevalere sui salari minimi cantonali. Ciò significa che le lavoratrici e i lavoratori potrebbero ricevere un salario più basso del minimo cantonale, qualora un CCL di obbligatorietà generale lo prevedesse.
Per l’OCST si tratta di una decisione deplorevole per vari motivi. In primo luogo i salari minimi cantonali sono salari minimi sociali e non economici. Questo significa che quanto stabilito dalla normativa cantonale è un livello salariale al di sotto del quale le lavoratrici e i lavoratori sono da considerare working poor. Coloro che hanno proposto e accolto la mozione vogliono farci credere che il partenariato sociale ne esca rafforzato allorché il loro scopo è quello di indebolirlo.
Inoltre, con questa modifica legale si viene meno al principio democratico e si va a demolire il castello del nostro ordinamento giuridico in materia di diritto del lavoro. In un colpo solo, il parlamento ha inibito la valenza democratica dei processi di adozione delle leggi nel nostro paese e ha invertito il principio che nessun accordo privato possa primeggiare sul diritto imperativo posto in difesa della parte debole ai contratti; in questo caso le lavoratrici e i lavoratori.
Peraltro, la Legge sul salario minimo ticinese contiene già una norma analoga a quanto deciso dal Consiglio nazionale e questo aspetto non è stato di aiuto al partenariato sociale, anzi ha generato alcuni contrasti. In particolare, come noto, la nascita di un sindacato e di un’associazione padronale che, lungi dal fare gli interessi dei loro rappresentati, avevano il solo scopo di siglare contratti collettivi al di sotto del salario minimo cantonale. Questa aberrazione è stata arginata da una decisa opposizione dei sindacati sostenuti dalla popolazione, che aveva votato la legge sul salario minimo. Il rischio è però che questo scenario si manifesti altrove e non sia contenuto.
Il “Rapporto sugli impatti del salario minimo in Ticino” prodotto dell’IRE ha evidenziato che questo non ha provocato una riduzione delle ore lavorate nei settori più toccati o chiusure o delocalizzazioni delle aziende. Non ha tantomeno determinato un livellamento dei livelli salariali verso il basso, anzi, la crescita dei minimi ha indotto un aumento dei salari che erano già più alti del minimo.
Quanto deciso dal Consiglio nazionale è un chiaro attacco volto a rendere inefficaci delle leggi volute per arginare la povertà e non ha l’obiettivo di promuovere o rafforzare la contrattazione tra le parti sociali. Purtroppo si tende a credere che la libertà economica coincida con la deregolamentazione. In realtà porre alcuni limiti garantisce un corretto funzionamento del mercato del lavoro e della libera concorrenza.
* segretario cantonale OCST