SECONDO ME
Niccolò Salvioni: "Cargo, navigazione e Minergie: la Svizzera verso l’abisso climatico?"
"Il Ticino patisce insieme al resto del continente una canicola che sta diventando la nuova normalità delle nostre estati"
TiPress/Crinari

di Niccolò Salvioni *

In queste ore di caldo da primato che soffocano l’Europa, con temperature di 8-10°C, 35% - 43% sopra la media stagionale, il Ticino patisce insieme al resto del continente una canicola che sta diventando la nuova normalità delle nostre estati.

Eppure, proprio mentre i termometri segnano valori che sarebbero anomali persino per luglio e agosto, assistiamo a decisioni politiche che sembrano venire da un universo parallelo.

Il paradosso delle decisioni contro il clima
Il Cantone Ticino ha deciso di ridurre gli incentivi Minergie per le nuove costruzioni, proprio mentre i cittadini accendono massivamente condizionatori e ventilatori per sopravvivere al caldo.
A livello federale, si tolgono punti di trasporto intermodale per il Cargo su rotaia, costringendo più camion sulle nostre strade e tradendo l’obiettivo costituzionale del transito transalpino sostenibile.
Nel frattempo, la navigazione lacustre di Lugano agonizza per mancanza di sostegno pubblico, mentre dovrebbe rappresentare il futuro del trasporto sostenibile multimodale (una mia riflessione, a tale proposito, è apparsa su la Regione di oggi).

Tre decisioni apparentemente slegate, ma che rivelano una matrice comune: il predominio della logica del risparmio immediato sulla visione strategica di lungo termine.

La condanna di Strasburgo e l’obbligo disatteso
Non possiamo dimenticare che nell’aprile 2024 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato la Svizzera per non aver protetto efficacemente i propri cittadini dagli effetti del cambiamento climatico.
Per la prima volta nella storia, un tribunale internazionale ha stabilito che la prevenzione dei cambiamenti climatici è parte integrante degli obblighi positivi degli Stati nella protezione dei diritti umani.
Eppure, a poco più di un anno da quella sentenza storica, le autorità svizzere e ticinesi continuano ad adottare politiche che vanno nella direzione opposta.
È come se la condanna di Strasburgo fosse stata archiviata come un fastidioso inconveniente burocratico, anziché compresa come un monito sulla direzione da prendere.

Il contesto europeo: dal Green Deal al riarmo
Quello che sta accadendo in Svizzera e in Ticino non è un fenomeno isolato. Riflette una dinamica europea più ampia, dove il Green Deal lanciato con grande enfasi nel 2019 sta attraversando una fase di revisione e ridimensionamento.
Le priorità si sono spostate verso il riarmo e l’industria della difesa, con il conflitto ucraino che ha accelerato un processo di riorganizzazione delle priorità strategiche occidentali.
L’influenza statunitense attraverso la NATO ha spinto per aumenti sostanziali delle spese militari, riduzione della dipendenza energetica dalla Russia e rilocalizzazione di produzioni strategiche.
La Svizzera, pur non essendo membro UE o NATO, subisce supinamente questa pressione indiretta attraverso l’allineamento economico con i propri primari mercati europei e l’influenza politica dei partiti che guardano con interesse ai modelli di “austerità strategica” continentali.
Non è un caso che il Consiglio degli Stati abbia recentemente proposto di liberalizzare la vendita di armi agli Stati NATO, proprio mentre questi ultimi si preparano apertamente a un possibile conflitto con la Russia.
La neutralità svizzera viene così reinterpretata in chiave atlantica, trasformando il Paese da mediatore di pace a fornitore di strumenti bellici a possibili cobelligeranti.

La contraddizione esistenziale del nostro tempo
Emerge dunque una contraddizione profonda ed inquietante: mentre soffriamo personalmente gli effetti del cambiamento climatico, accendiamo i condizionatori e paghiamo bollette energetiche sempre più care, continuiamo a sostenere politiche che aggravano esattamente il problema che ci sta letteralmente cuocendo vivi.
È il classico fenomeno della rana nella pentola: se getti una rana in acqua bollente, salta fuori immediatamente. Ma se la metti in acqua fredda e la riscaldi lentamente, si adatterà gradualmente fino a cuocere senza rendersi conto del pericolo.
Noi siamo quella rana: ci stiamo adattando progressivamente a temperature sempre più estreme, normalizzando l’eccezionale e perdendo la capacità di reagire all’emergenza.

È un paradosso psicologico e politico preoccupante che rivela come la classe politica stia sviluppando una sorta di disconnessione cognitiva dalla realtà fisica.
Anche quando l’evidenza del cambiamento climatico è percepibile sulla propria pelle, la logica economica di breve termine prevale su quella di sopravvivenza di lungo termine.

L’astrazione dalla realtà e la capitalizzazione del disastro
I politici ragionano su cicli elettorali di 4-5 anni, mentre i fenomeni climatici si sviluppano su decenni e oltre.
I costi del raffrescamento vengono scaricati sui cittadini e le bollette elettriche, mentre i benefici dei tagli agli incentivi verdi finiscono nelle casse pubbliche immediate.
Si può simultaneamente soffrire il caldo e sostenere politiche che lo aggraveranno, perché l’azione politica è mediata da astrazione ideologica e pressioni economiche.
Ma c’è un aspetto ancora più inquietante: mentre si predica la riduzione dei consumi energetici, assistiamo a un’esplosione esponenziale dell’uso dell’intelligenza artificiale, che richiede data center sempre più energivori.

Questa contraddizione tra retorica del risparmio e realtà dell’iperconsumo tecnologico rischia di portarci fatalmente verso carenze di capacità produttive e energetiche, possibili blackout e disfunzionalità operative della società.
La politica dovrebbe occuparsi di questa bomba a orologeria, invece di tagliare gli incentivi per l’efficienza energetica.

Il circolo vizioso dell’adattamento energivoro
Più fa caldo, più consumiamo energia per raffrescarci, più alimentiamo quel sistema energetico che dovremmo decarbonizzare.
È un circolo vizioso perfetto che rende la decarbonizzazione sempre più difficile da realizzare, in particolare se consideriamo tale aspetto nella prospettiva globale.
Le temperature attuali sarebbero considerate anomale anche per luglio e agosto, eppure l’aumento dei consumi per raffrescamento alimenta proprio il sistema che produce il riscaldamento.

Quo vadis, Helvetia e Cantone Ticino? La Svizzera: ancora prima della classe?
La domanda finale è semplice ma scomoda: la Svizzera è ancora realmente la prima della classe a livello di tecnologia e sviluppo sostenibile, oppure viviamo di apparenze e schizofrenica astrazione dalla realtà?

L’assenza di una “mano ferma” nella strategia normativa volta a risolvere problemi concreti sta producendo danni irreversibili.
A seguito del repentino quanto inaspettato “cambiamento di vento” politico, la bandiera dell’economia si sposta di qua e di là, generando diseconomie.

L’incoerenza delle autorità pubbliche può uccidere con la stessa facilità con cui può far nascere attività e imprese imprenditoriali volte a migliorare e rendere più sostenibile la vita del Paese.
Quando gli incentivi vengono tolti dall’oggi al domani, quando le regole del gioco cambiano senza preavviso, quando la politica energetica oscilla tra proclami green e tagli agli investimenti sostenibili, il risultato può rappresentare la morte di ecosistemi imprenditoriali che avevano creduto nella visione di lungo termine dello Stato.

Aziende innovative, startup della cleantech, imprenditori che avevano investito nel futuro sostenibile si ritrovano con business plan distrutti dalle oscillazioni politiche.
Il danno non è solo economico: è la perdita di competenze, know-how e capacità innovative che serviranno domani quando l’emergenza climatica renderà inevitabile quello che oggi consideriamo troppo costoso.

Dove stiamo andando?
Verso un futuro dove adattarsi al disastro climatico costerà infinitamente di più che prevenirlo, ma almeno le casse pubbliche sembreranno in ordine fino alla prossima emergenza climatica?
Verso una società che ha imparato a convivere con la contraddizione sistemica tra esperienza personale del cambiamento climatico e scelte politiche che lo aggravano?

La reputazione internazionale della Svizzera come modello di sostenibilità e innovazione rischia di trasformarsi in un guscio vuoto se continuiamo a prendere decisioni che contraddicono i principi che diciamo di rappresentare.

Non possiamo più permetterci di essere primi della classe solo nelle classifiche e negli slogan, mentre nei fatti andiamo nella direzione opposta.

Gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050 si trovano ora in una morsa legale e politica: da un lato la pressione legale crescente che potrà aprire la strada a numerosi altri ricorsi climatici, dall’altro la pressione geopolitica che spinge verso il riarmo e la competizione industriale nella direzione opposta.

Il tempo delle contraddizioni è finito. La realtà fisica del cambiamento climatico non si negozia con i cicli elettorali, i bilanci pubblici o le strategie geopolitiche.

O troviamo la coerenza tra esperienza quotidiana e scelte politiche, o scopriremo che il costo dell’incoerenza è molto più alto di qualsiasi risparmio di bilancio.

La storia giudicherà questa generazione di politici non per i bilanci che hanno risanato, ma per il clima che hanno contribuito a destabilizzare mentre ne subivano personalmente le conseguenze.

* avvocato

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