L'avvocato sull'ex collaboratore dei servizi segreti ONU e NATO accusato dall'UE di propaganda filorussa: “Zittire è segno di debolezza. Ma ancora più debole è una democrazia che rinuncia agli strumenti per capire perché qualcuno viene zittito”

Il caso Jacques Baud sta facendo discutere in Svizzera e in Europa. L’ex colonnello dell’esercito svizzero ed ex collaboratore dei servizi segreti, ONU e NATO, è stato inserito dall’Unione europea nella lista delle persone sanzionate per la presunta diffusione di propaganda filorussa e teorie cospirative sulla guerra in Ucraina. Secondo Bruxelles, Baud avrebbe giustificato l’invasione russa e accusato Kiev di aver inscenato il conflitto per entrare nella NATO. Le sanzioni comportano il divieto di ingresso nell’UE e il blocco dei conti bancari. Il suo nome era già finito nel mirino di Conspiracy Watch, che lo classifica come cospirazionista. In Svizzera il caso ha suscitato reazioni politiche: due deputati UDC hanno presentato interpellanze criticando le misure europee, ritenute una limitazione alla libertà di espressione. Il Consiglio federale, tramite la SECO, ha invece ribadito che alle informazioni false è preferibile rispondere con i fatti. Baud ha annunciato che contesterà le sanzioni, mentre il DFAE ha confermato di essere in contatto con lui e di aver chiesto chiarimenti alle autorità europee.
Vi proponiamo oggi l’analisi dell’avvocato Niccolò Salvioni che prende spunto da un’opinione pubblicata nei giorni scorsi su laRegione a firma di Roberto Antonini.
Di Niccolò Salvioni
“E anche l’edificio europeo mostra segni di cedimento”: con questo occhiello, laRegione ha pubblicato il 29 dicembre 2025 lo stimolante commento di Roberto Antonini, “Despoti e rinoceronti”, sulla fragilità democratica contemporanea. Muovendosi tra la metafora teatrale di Ionesco e le derive autoritarie globali, Antonini descrive la disinvoltura con cui una parte di opinione pubblica, élite e politica sembra pronta a rinunciare ai principi fondamentali della democrazia liberale.
Occorre ringraziare Roberto Antonini per aver riportato questi temi nel dibattito ticinese con il coraggio di chi non teme le contraddizioni. Proprio per la qualità della sua diagnosi, vale la pena tornare sul caso da lui citato in chiusura: le sanzioni UE contro l’ex colonnello svizzero Jacques Baud. Antonini lo definisce autore di “sordide farneticanti tesi complottiste a uso dei boccaloni da social” e “ospite regolare di Russia Today”, ma contemporaneamente ribadisce che “la censura deve rimanere l’ultima ratio” e che “in democrazia zittire è segno di debolezza, non di forza”. Questa tensione tra condanna severa e difesa di principio della libertà di espressione è esattamente il punto da cui partire per un confronto più approfondito.
L’Unione europea ha inserito Baud nel regime sanzionatorio contro le “minacce ibride”, accusandolo di diffondere teorie complottiste e di partecipare regolarmente a media filorussi. Baud sostiene invece di avere rifiutato gli inviti di media statali russi come RT, Tass e Novosti, mentre è documentata la sua presenza in piattaforme europee critiche verso le politiche occidentali. Senza entrare nel merito delle sue tesi, resta il problema democratico: quanto può essere generica una motivazione sanzionatoria che incide pesantemente sulla reputazione, sulla mobilità e sui beni di una persona?
Il quadro si complica se si guarda all’eterogeneità delle figure inserite nello stesso regime PESC dell’UE: accanto ad agenti del GRU e propagandisti russi, le decisioni 2025 includono anche casi di presunto coordinamento con azioni violente durante occupazioni universitarie con simboli di Hamas, evidenziando che il tema non riguarda solo Russia-Ucraina.
Tre livelli andrebbero dunque distinti:
Coordinamento operativo con attori violenti o terroristici.
Amplificazione consapevole di campagne di influenza ostili.
Analisi controversa con convergenza narrativa verso posizioni di potenze avverse.
Mescolare queste tre dimensioni nello stesso strumento sanzionatorio significa rendere opaco il confine tra sicurezza e libertà di espressione. Se basta una “convergenza narrativa” per rientrare nelle “minacce ibride”, qualsiasi commento critico su conflitti che toccano interessi europei potrebbe, in teoria, essere sospettato e sanzionabile.
A questo si aggiunge una selettività evidente: le sanzioni colpiscono narrazioni percepite come allineate a Russia, Bielorussia, Hamas o ad altri attori ritenuti destabilizzanti, ma non toccano analisti, think tank e lobbisti che sostengono operazioni militari controverse quando condotte da alleati occidentali. Il rischio è che uno strumento nato per proteggere la sicurezza venga usato per far rispettare una specifica linea geopolitica, presentata però come difesa contro la “disinformazione”.
Ma chi dovrebbe verificare se queste distinzioni vengono rispettate? Chi ha le competenze e le risorse per documentare la differenza tra un agente GRU e un analista controverso?
Il nodo più inquietante è proprio questo: la combinazione tra potere sanzionatorio e debolezza del sistema mediatico che dovrebbe controllarlo. Il caso Baud in Ticino è stato trattato quasi solo con trafiletti d’agenzia: niente inchieste, pochissimo confronto tra giuristi, specialisti di diritti fondamentali, esperti di sicurezza.
In un contesto in cui già oggi mancano risorse per fare giornalismo di approfondimento, la prospettiva di una riduzione del canone SSR da 335 a 200 franchi annui prefigura un vero “deserto informativo”. Una decurtazione del 40% del finanziamento significa rinuncia strutturale a inchieste lunghe, corrispondenze internazionali, redazioni specializzate e programmi di analisi complessa. Proprio mentre crescono strumenti di potere amministrativo opachi – come le sanzioni PESC contro individui, anche svizzeri residenti nell’UE – si indebolisce la capacità di verificarne la legittimità e di dare spazio a voci discordanti ma argomentate.
La metafora del “rinoceronte” può essere letta anche così: non solo la metamorfosi autoritaria di regimi lontani, ma il lento indurimento della democrazia nostra e di quelle che ci stanno attorno, dove l’erosione delle infrastrutture del pensiero critico avanza quasi inosservata. Se la libertà di opinione “può avere dei limiti”, ma non manteniamo le istituzioni e le redazioni in grado di definire, discutere e contestare quei limiti, il rischio è che qualsiasi misura presentata come “necessaria per la sicurezza” venga accettata senza un vero controllo, dinamica che i recenti anni emergenziali hanno reso tristemente familiare.
Perché l’ironia amara è questa: se l’iniziativa dovesse passare, a esporre e valutare approfonditamente questioni complesse come le sanzioni contro Baud o i confini tra libertà e sicurezza non rimarranno che i “boccaloni da social” tanto criticati. Quegli stessi spazi digitali dove proliferano teorie complottiste diventeranno, per default, l’unica arena di dibattito pubblico disponibile.
Finché rimarrà possibile. Perché, come nota Asma Mhalla, viviamo già dentro una guerra cognitiva dove gli spazi digitali sono militarizzati per colonizzare l’immaginario collettivo.
Avremo così realizzato il paradosso perfetto: nel tentativo di “risparmiare” 135 franchi l’anno, avremo consegnato il discorso pubblico esattamente a quel pubblico che meno è equipaggiato per gestirlo con rigore critico. E a quel punto, la distinzione tra Jacques Baud e un qualsiasi complottista da Telegram sarà scomparsa, non perché il primo sia migliorato, ma perché non esisterà più nessuno con le competenze e le risorse per dimostrare la differenza.
Antonini ha ragione: zittire è segno di debolezza. Ma ancora più debole è una democrazia che rinuncia volontariamente agli strumenti per capire quando, come e perché qualcuno viene zittito.
L’8 marzo 2026 gli svizzeri voteranno sull’iniziativa “200 franchi bastano”. Quella data potrebbe segnare la scelta tra mantenere gli strumenti per capire quando qualcuno viene zittito o accettare che il dibattito pubblico migri definitivamente dove le distinzioni spariscono.
Avremo l’occasione – forse l’ultima – di dimostrare quale forza democratica preferiamo.
Chi vuole confrontarsi con l’argomentazione completa può leggere il commento originale “Despoti e rinoceronti” su laRegione e la versione integrale di queste riflessioni pubblicata su Facebook dell’autore. https://www.facebook.com/niccolo.salvioni.5