Sono allibito. Non si tratta solo di un problema centrale per il plurilinguismo, ma di un’incertezza per tutto il Paese
Non siamo lontani dal giorno in cui sul tavolo del Consiglio federale e del Parlamento arriverà dalla Romandia o dalla Svizzera tedesca una proposta di modifica dell’articolo 4 della Costituzione federale. Parlo dell’articolo che determina le lingue nazionali e che oggi recita “le lingue nazionali sono il tedesco, il francese, l’italiano e il romancio”. La proposta di modifica suggerirà di inserire una quinta lingua: l’inglese.
E bravi gli Svizzeri, sempre più poliglotti, potrebbe affermare qualcuno che ci osserva dall’esterno, ma la realtà è ben diversa. Molto preoccupante. La mia provocazione nasce da una pericolosa costatazione nella mia attività di parlamentare federale, continuamente in viaggio tra le città svizzere e a stretto contatto con svizzero-tedeschi e romandi.
Il tanto decantato e declamato plurilinguismo elvetico è ancora una realtà praticata in tutti gli angoli della Svizzera? Noi Ticinesi – e con noi gli amici romanci – siamo spinti a rispondere immediatamente in maniera positiva, ci mancherebbe. A scuola, non sempre con grande entusiasmo e con grandi risultati, cominciamo presto a imparare il francese, poi arrivano il tedesco e l’inglese e i più dotati aggiungono anche latino e greco.
Si giunge poi ad altre occasioni per sviluppare le competenze linguistiche nazionali, penso ai percorsi formativi (universitari e professionali oltralpe), ma anche all’esercito e a esperienze di vita personali fuori dal Ticino. Senza dubbio i Ticinesi sono i primi della classe per quanto riguarda le competenze linguistiche nazionali!
Vale lo stesso nei Cantoni della Svizzera tedesca e francese? Si dovrebbe rispondere affermativamente, ma la realtà concreta è ben diversa.
Senza addentrarmi nelle decisioni politiche e amministrative dei singoli Cantoni, che cercando di rispettare le direttive federali (non sempre compiutamente) organizzano l’insegnamento linguistico nelle proprie scuole, cito la realtà quotidiana vissuta a contatto con colleghe e colleghi parlamentari, così come con funzionari di vario rango ed esponenti, talvolta di spicco, della società civile, del mondo economico e accademico.
Il plurilinguismo elvetico è ahimè spesso vissuto come un pesante e inutile ostacolo. Perché conoscere il tedesco, il francese e l’italiano, quando possiamo semplificare tutto comunicando in inglese?
Nessuno risulta superiore e impone il suo idioma (perché ne fanno una questione di orgoglio), tutti abbandonano la propria lingua madre, e con la lingua di Shakespeare si comunica facilmente. Questa triste tendenza è realtà!
Svizzero-tedeschi e Romandi, per compensare la mancanza di conoscenza (o voglia di imparare e utilizzare) di francese e tedesco, utilizzano crescentemente la lingua inglese. Lo si sente nei corridoi di Palazzo federale, in riunioni ufficiali, in colloqui informali. Spesso la conoscenza “dell’altra lingua” è scarsissima e insufficiente per lavorare seriamente.
Personalmente sono allibito. Non si tratta solo di un problema centrale per il plurilinguismo nazionale, ma di un’incertezza per tutto il Paese, nei suoi equilibri e nella sua esistenza futura.
Il rifiuto di un valore storico fondamentale quale il multilinguismo e la sostituzione delle lingue nazionali con l’inglese rappresentano un annientamento della nostra identità nazionale e di conseguenza del nostro Stato.
Pienamente d’accordo a sostenere l’inglese quale lingua mondiale (i Ticinesi l’hanno capito e lo imparano accanto alle “lingue svizzere”), ma le lingue nazionali sono e restano prioritarie per la Svizzera e gli Svizzeri.
Prima possibile i nostri connazionali svizzero-tedeschi e romandi, magari prendendo esempio dai Ticinesi, devono capire l’importanza di conoscere ed utilizzare correntemente il tedesco e il francese. Essere Svizzeri significa anche conoscere tre lingue nazionali, di cui due bene. L’inglese è complementare, non sostitutivo.
Non lo faranno? Ci toccherà proporre di annettere i cantoni germanofoni alla Germania e quelli francofoni alla Francia!
Marco Romano