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Donato Bilancia, il più celebre serial killer italiano tradito dalla saliva sulla tazzina del caffé
Il boia del treno ha ucciso 17 volte in poco più di 6 mesi, tra l’autunno del 1997 e la primavera del 1998. Con lui i profiler dell’FBI non sarebbero mai arrivati a niente

di Massimo Picozzi

È la mattina di un lunedì, il 10 settembre del 1984, quando il professor Alec Jeffreys dell’Università di Leicester ottiene la prima impronta genetica; e, per dirla con le sue parole “non erano ancora le dieci che correvo per il laboratorio pensando a tutti i campi in cui avrei potuto utilizzarla”. Nell’arco di sei mesi, l’analisi del DNA risolve l’attribuzione di paternità in un caso controverso, e nel 1986, fa il suo ingresso in un’aula di tribunale penale, per scagionare il principale sospettato di due casi di stupro e omicidio e incastrare il vero colpevole. Da allora la genetica forense è prepotentemente entrata nelle aule di tutto il mondo. 

Com’è accaduto nel caso del più celebre serial killer della storia italiana, quel Donato Bilancia capace di uccidere 17 volte in poco più di 6 mesi, tra l’autunno del 1997 e la primavera del 1998.

Nato a Potenza il 10 luglio 1951, già adolescente Donato Bilancia si mette nei guai con la giustizia; furti, rapine, e poi un dramma familiare ne compromette l’equilibrio già fragile: nel 1987 il fratello si suicida sotto le ruote di un treno, portando con sè il figlio di soli 4 anni che tiene stretto tra le braccia. Poi, ai crimini che lo portano a più riprese dietro le sbarre, associa l’insana passione per il gioco d’azzardo.

Il primo omicidio lo commette il 16 ottobre del 1997, e sarà lui stesso a confessarlo, perchè all’epoca viene archiviato come una morte dovuta a cause naturali. 
Nei mesi che seguono, Donato Bilancia colpisce seguendo modus operandi diversi, con vittime e motivazioni del tutto differenti. Uccide spinto dall’odio, dal desiderio di vendetta, dalla perversione sessuale e dal desiderio onnipotente di dominare.  Con lui i profiler dell’FBI non sarebbero mai arrivati a niente.

Alla fine, il soprannome che gli regalano, è quello di serial killer dei treni, perchè è sulle carrozze che si mette a uccidere, sui binari che attraversano La Liguria.

Ecco come racconterà in aula la morte di Elisabetta Zoppetti, freddata il 12 aprile 1998: "Allora, ho preso il treno a Genova. Il pendolino che andava a Venezia, credo. In uno scompartimento di prima classe c’era una donna, che io chiaramente non ho mai visto e conosciuto, e... io ho aspettato che questa qui si recasse in bagno.  Aveva la borsa con sé quando si è alzata. Io ho aperto la porta con una chiave falsa. E’ una normalissima chiave a quattro, una femmina a quattro ecco. L’ho buttata via dopo il secondo episodio, e preciso che l’avevo fatta io stesso, è... una sciocchezza. Questa qua s’è messa ad urlare e io le ho messo la giacca sulla testa e le ho sparato. L’ho fatto per non vedere cosa succedeva al momento dello sparo. Però ho ripreso la borsa, sempre con la pinza, e gliel’ho rimessa nello scompartimento dove stava lei. Ah no, l’unica cosa che ho preso è il biglietto, perché spuntava lì dalla borsa e io non avevo biglietto perché avevo preso il treno così, senza mete. Il fatto è successo tra Serravalle e Tortona, dove pensavo che quel treno fermasse; invece non ha fermato perché fermava a Voghera. Quindi sono rimasto una ventina di minuti lì, con la signora in bagno, anche meno, un quarto d’ora. Da questo periodo di tempo ho dedotto che il fatto fosse accaduto tra Serravalle e Tortona. A Voghera sono sceso e ho aspettato un altro treno che andava giù a Genova. Ho strappato il biglietto e l’ho buttato via, e ho preso un treno che tornava a Genova.  Sono salito sul treno con quell’intenzione. Doveva essere necessariamente una donna. Credo che sia stata la consecuzione di un oggetto, di un programma, di un qualcosa che...”

Come spesso accade, è un particolare all’apparenza insignificante a fornire una svolta. Ai carabinieri giugne la segnalazione di un tizio che ha dato in prova la sua Mercedes che non gli è più stata restituita. C’è corrispondenza tra l’uomo e l’identikit del serial killer, e le impronte dei pneumatici lasciate in alcune scene del crimine corrispondono proprio alla marca e al modello della casa automobilistica tedesca.

Ma a tradire Donato Bilancia sono le tracce di liquido seminale lasciate nel corso degli ultimi omicidi. 

Gli investigatori dell’Arma seguono il killer, fino al momento in cui si ferma ad un bar per una tazzina di caffè. Bilancia nemmeno immagina che la saliva lasciata sul bordo della tazzina può permettere ai laboratori del RIS di Parma di trarre un profilo di DNA per il confronto, un profilo capace di porre fine alla sua carriera.

Lo arrestano il 6 maggio 1998 appena uscito di casa sua in via Leonardo Montaldo a Marassi; non oppone alcune resistenza e, dopo pochi giorni, confessa spontanea di tutti gli omicidi.

Il 14 febbraio 2001 la Corte d'Assise d'appello lo condanna a 13 ergastoli e 28 anni di reclusione, provvedimento confermato in Cassazione. Una lunga e complessa perizia psichiatrica trova nel killer numerosi problemi, ma nulla di così grave da comprometterne la capacità di intendere e volere al momento degli omicidi.

Per lui, il Presidente ha parole definitive:
”… La Corte non si nasconde che è agghiacciante il solo pensiero che un uomo, aduso a delinquere ma non alla violenza sulla persona, pur affetto da tempo da un complesso disturbo di personalità diventi, a 46 anni, un pluriomicida privo del minimo senso etico, di ogni moto di pietà per le vittime, senza per questo perdere le proprie capacità intellettive e volitive...
...In conclusione, Donato BILANCIA va dichiarato colpevole di tutti i delitti commessi, trattandosi di soggetto da ritenersi pienamente imputabile al momento di ciascuno dei fatti a suo carico accertati.”

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