CRONACA
Storia degli orchi che rapiscono, imprigionano e stuprano i bambini. Nel cortile dell'indicibile
Il caso di Cleveland e i precedenti dell'orrore: da Joseph Fritzl a Natascha Kampusch. La segregazione, gli abusi, le torture e il nostro rapporto con ciò che non si può dire

di Andrea Leoni

Li chiamano gli orchi. Quelli che nelle antiche fiabe dei Paesi del nord Europa sono bestie crudeli che si cibano di bambini. Nella metafora giornalista moderna sono i pedofili o i “mostri” come quello di Cleveland, che certo non sono cannibali, ma che sbranano e divorano l’innocenza, la fanciullezza, gli anni, delle loro prede. 

L'indicibile

Sono vicende che si narrano nel cortile dell’indicibile. Un cortile che non è solo popolato dagli orchi ma da tutte quelle storie che non hanno parole adeguate per essere descritte. Quello che non si può dire perché sconfina oltre la ragione e molto oltre la soglia dell’orrore e del pudore. Spesso si tratta dei dettagli di una storia. Dettagli che tuttavia raccontano la concretezza, la messa in pratica, della violenza.

Un esempio classico è quello che riguarda il dottor Josef Mengele. A molti è noto che il medico nazista usava come cavie uomini, donne e bambini per i suoi esperimenti scientifici. Ma molti meno conoscono in che cosa consistevano concretamente i test di eugenetica. Uomini, donne e bambini gettati in vasche di acqua gelata per oltre un’ora, asportazione di organi genitali, iniezione di svariate sostanze chimiche, lanciati da 10 chilometri di altezza e poi sezionati. Questo è l’indicibile. Ed è un’indicibile ancora filtrato dalla mediazione di chi scrive. Si potrebbero aggiungere ulteriori dettagli o la testimonianza diretta di chi è sopravvissuto. Ma quanti sarebbero disposti a leggere ancora? Quanti non solleverebbero l’obbiezione di voyerismo o di pornografia del sangue?

E non si pensi che sono barbarie lontane, del nazismo o del Medioevo. Di storie indicibili ve ne sono ogni anno, in ogni parte del mondo, legate ai crimini più diversi. Nell’eccezionalità e nella quotidianità criminali. Dalla strage di Beslan, al deviato tedesco che mette un annuncio per farsi sbranare da un cannibale, alle decapitazioni dei narcos, fino ai numerosi casi di abusi sessuali, meno noti o noti, come i resoconti degli stupri subiti dal padre dalla figlia di Klaus Kinsky, agli omicidi.

L'orco di Cleveland

Nell’indicibile rientra senza dubbio la vicenda di Ariel Castro, l’orco Cleveland. Per dieci anni ha tenuto segretate in casa Gina De Jesus, 23enne rapita nel 2004, Amanda Berry oggi 26enne, che aveva fatto perdere ogni traccia nel 2003, Michelle Knight, 30 anni, scomparsa nel 2001. C’era anche una bambina di sei anni figlia del carnefice e di Amanda. I resoconti sulla lunga prigionia sono ancora frammentari. Si parla di una camera delle torture. Si parla di diversi aborti provocati con le botte e la malnutrizione. E proprio sulla base di quest’ultimo elemento il procuratore che si occupa del caso è intenzionato a chiedere la pena di morte per l’omicidio dei bambini mai nati. 

Marco Siciliano che uccise brutalmente la moglie, la decapitò e la gettò nel lago, fu giudicato colpevole anche per l’interruzione di gravidanza del figlio che la donna portava in grembo. Anche quella fu una storia indicibile, benché tutta un'altra storia, completamente diversa da quelle che qui, ora, raccontiamo. E che citiamo soltanto per analogia rispetto alle richieste del magistrato americano e per ricordare come in Tribunale, durante il processo, furono proiettate immagini raccapriccianti e narrati dettagli scabrosi. Non tutto quello che si disse in aula finì sui giornali. In quello come in altri processi. A proposito di indicibile.

Ma tornando a Cleveland, i frammenti del mosaico dell’orrore che già si conoscono, riportano alla memoria casi analoghi. 

Il caso Fritzl

Uno risale ad appena cinque anni fa. Nella primavera del 2008, nella cittadina austiaca di Amstetten, si scopre che l’ingegnere Joseph Fritzl ha tenuto segregata la figlia per 24 anni in un bunker costruito sotto casa. Negli anni della prigionia, delle torture e degli abusi sessuali, nasceranno sette figli. Uno, Michael, morirà dopo tre giorni. Metà della prole vivrà nel bunker fino alla liberazione, l’altra metà in casa, alla luce del sole, spacciati come figli adottivi.

Anche in questo caso i dettagli indicibili sono moltissimi. Ma vale la pena soffermarsi sulle similitudini. La prima è quella dell’uomo normale, del vicino di casa qualunque,  che lavora, fa vita sociale e non desta sospetti. La seconda è che entrambi i personaggi, Fritzl e Castro, sono stati sfiorati da indagini di polizia ma nessuno approfondì la natura di quegli uomini. La figlia di Frizl, prima della prigionia, riuscì persino a rivolgersi alle autorità. Ma non fu creduta. La terza similitudine riguarda la casa. Che è il nido di molti e la trappola dell’orrore di queste vittime. Al contrario di quanto narrato da molta letteratura e altrettanta cinematografia, e al contrario di quanto accade nei sequestri che hanno come fine il denaro, il luogo della prigionia è la casa, nel centro della città, del quartiere, sotto gli occhi di tutti. La quarta è che le vittime vengono tenute in vita. La quinta e ultima similitudine che possiamo notare è che sono storie che non hanno uno scopo finale. Non è Sade, come qualcuno ha superficialmente abbozzato. Siamo nel campo dell’abitudine, della routine. Le donne sequestrate sono per i predatori un hobby. Come allevare degli animali, dipingere, giocare alla Playtation. Il meccanismo si spezza soltanto quando le donne riescono a fuggire o a causa di eventi straordinari e collaterali. Mai per volontà dei carcerieri.

Il caso Kampusch

L’ultimo caso che si intreccia con quello di Castro e Fritzl, si svolge sempre in Austria. La mattina del 2 marzo 1998 una ragazzina di 10,  Natascha Kampusch, viene rapita a Vienna. Per otto anni sarà segregata in una stanza ricavata sotto il garage della abitazione di Wolfgang Priklopil, nella città di Strasshof. Pochissimi metri quadri di spazio sigillati con una porta blindata, la cui entrata era nascosta dietro un armadio. Nella cella accadde grosso modo quel che abbiamo raccontato sin qui per le altre vicende. Natascha Kampusch riuscì a scappare per una distrazione del suo carceriere che, vedendola ormai sfuggita, si suicidò buttandosi sotto a un treno. 

La carne dell'indicibile

Nel racconto che Natasha ha fatto della sua prigionia, cè un passaggio che trasforma in carne l’indicibile: “Mi chiuse dietro porte pesanti, alla prigione fisica aggiunse quella psichica. Volle anche che cambiassi nome, me ne fece scegliere un altro. Divenni Bibiana, voleva che io fossi una persona nuova, solo per lui. E io iniziai a ringraziarlo per ogni piccola concessione. Mi diceva: “Per te esisto solo io, sei la mia schiava". Lui regolava la mia veglia spegnendo o accendendo la luce, decideva se privarmi del cibo o farmi mangiare, mi imponeva periodi di digiuno forzato, decideva le razioni di cibo, fissava la temperatura nella stanza. Decideva lui se avevo caldo o freddo. Mi ha tolto ogni controllo sul mio corpo, mi picchiava in continuazione”. 

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