"Quando si può dire che un’università lavora “a stretto contatto” con il governo del proprio paese? In una certa misura è inevitabile"
Mauro Dell'Ambrogio, qual é la sua lettura sull’attacco di Donald Trump all’università di Harvard?
"Trump ha costruito il consenso sull’insofferenza di ampi settori della popolazione contro le élite che beneficiano di privilegi veri o presunti. Non l’élite economica e imprenditoriale, alla quale egli stesso appartiene, ma quella più o meno legata allo Stato e alle sue politiche. In questo il populismo di destra si distingue da quello di sinistra, che vede invece nel mercato l’origine dei privilegi ingiusti. Viste da destra, le ingiustizie hanno origine nelle istituzioni e nei finanziamenti statali e in chi li controlla. Le università, tanto più quelle più elitarie come Harvard, rappresentano un bersaglio ottimale per questi risentimenti. Perché sospettabili non solo di favorire carriere esclusive e privilegiate, ma anche di dare origine a contestabili verità che si traducono poi restrizioni alle libertà individuali, come il cambiamento climatico, la parità di genere e tutto quanto attiene al politicamente corretto. Le stesse politiche inclusive di queste università, che offrono borse di studio alle minoranze sfavorite, come quella afroamericana, sono vissute come ingiuste, sulla base di sentimenti sotto sotto razzisti. L’attacco ad Harvard è insomma un modo per raccogliere applausi nel proprio elettorato solleticandone i più bassi istinti".
C’è stata a suo avviso un’esagerazione nel mondo accademico, soprattutto americano, nell’adesione alla “cultura woke” e alle proteste pro-Palestina? Esagerazione che Trump ha usato per giustificare la sua battaglia contro Harvard…
"Tollerare manifestazioni pro-Palestina è cosa diversa dal tollerare violenze contro studenti ebrei. Probabilmente non vi è stata tolleranza per queste ultime, ma qualche ritardo nel prevederne il rischio e nell’evitarlo è stato spacciato per atteggiamento fazioso e messo sul conto di tutto il mondo accademico. Ma sarebbe come rendere responsabile la Città di Lugano se, in occasione di una manifestazione pro-Palestina, è stata danneggiata la sinagoga. Quanto alla cultura woke, come ogni fenomeno culturale che tocca i valori, ha un effetto provocatorio e induce ad esagerazioni, alle quali conseguono reazioni contrarie. Le università sono sempre state la culla o l’amplificatore di piccole e grandi rivoluzioni culturali, per la loro natura di luoghi di libera costruzione del sapere. La reazione contro le esagerazioni, spesso conseguenza di cattiva interpretazione o applicazione del nuovo sapere, sono più che lecite, ma non giustificano ritorsioni e censure contro le università".
Considerata la situazione a Gaza è ancora ammissibile per le università, comprese quelle svizzere, intrattenere rapporti con atenei israeliani che lavorano a stretto contatto con il Governo?
"Analogo problema si pone per i rapporti con università russe, cinesi, venezuelane, e di tanti altri paesi ancora. Quando si può dire che un’università lavora “a stretto contatto” con il governo del proprio paese? In una certa misura è inevitabile. Università di paesi che hanno subito grave pregiudizio dall’evasione fiscale favorita dalle banche svizzere avrebbero potuto con buoni motivi limitare i rapporti con le università svizzere. A mio parere una limitazione va fatta in relazione ai contenuti di una collaborazione scientifica, e non a dipendenza di giudizi di prossimità o meno di un’università col proprio governo. Ad esempio le università svizzere attive nel campo della tecnologia nucleare sono prudenti nel collaborare con l’estero, e perfino precludono a studenti di taluni paesi di approfondire gli studi in questo campo, per esempio con un dottorato. Ma vi è una infinità di campi scientifici in cui le conoscenze sono applicabili per i più diversi usi. Va evitato, con chiunque, tutto quanto può costituire complicità, o anche solo darne l’impressione, nello sviluppo di applicazioni eticamente riprovevoli".