Il noto criminologo italiano analizza il caso di Ariel Castro, il mostro di Cleveland: "Alla base c'è la pedofilia ma il dominio sulle vittime è più importante dell'aspetto sessuale"
di Marco Bazzi
MILANO - Ariel Castro, l’orco Cleveland, per dieci anni ha tenuto segretate in casa sua Gina De Jesus, 23enne rapita nel 2004, Amanda Berry, oggi 26enne, scomparsa nel 2003 e Michelle Knight, 30 anni, scomparsa nel 2001. Nella prigione di Castro, ex conducente di scuola bus e persona considerata normale dai vicini, c’era anche una bambina di sei anni figlia del carnefice e di Amanda.
Abbiamo chiesto al criminologo milanese Massimo Picozzi - scrittore e perito psichiatrico in alcuni tra i principali delitti italiani degli ultimi anni -, che in passato ha lavorato anche con gli inquirenti ticinesi, di spiegarci chi è secondo lui Ariel Castro.
“Premetto che in casi del genere è spesso difficile trovare bambini o ragazzini sopravvissuti al rapimento, perché in genere il mostro è un pedofilo con una caratteristica di personalità chiaramente sadica. Quando la vittima sequestrata cresce nel 90% dei casi il pedofilo se ne libera e la uccide. Ecco perché è difficile trovare vittime che sopravvivono”.
Ma nel caso di Castro non è andata così. E anche Joseph Fritzl ha tenuto segregata la figlia per 24 anni in un bunker costruito sotto casa, in Austria. E sempre in Austria, Natascha Kampusch, rapita a soli 10 anni è rimasta per otto anni di Wolfgang Priklopil.
“Certo, questi casi fanno eccezione, perché a questi soggetti la cosa che più importa è il potere, il controllo il dominio e l’umiliazione delle loro vittime. Così si creano un piccolo recinto di schiavi in cui la sessualità diventa secondaria. E se hanno figli dalle loro vittime tendono a liberarsene anche perché corrono maggiormente il rischio di essere scoperti”.
Ci si chiede come in tanti anni di prigionia le vittime non riescano a fuggire.
“Ci sono due aspetti che spiegano questo fatto: il primo è che il rapporto che si stabilisce in casi di questo tipo è fra il carnefice onnipotente e la vittima impotente. Così che la vittima si convince di non avere alcuna via di scampo. Il secondo aspetto è che se le vittime vengono sequestrati in tenera età reagiscono come i bambini abusati o maltrattati: si convincono di meritare quel che subiscono. Quindi, il maltrattamento viene vissuto come una colpa da espiare e non come una atto malvagio da parte dell’adulto. E questo è un dato comune a tutti i casi di maltrattamento. Il bambino pensa: se papà o mamma mi hanno fatto certe cose è perché me le meritavo”.
Ariel Castro è pazzo?
“Secondo me no. Non penso che ci sia una traccia di disturbo psichiatrico in Castro”.
Ma se non è pazzo un personaggio del genere, chi sono i pazzi?
“Mi spiego: un conto è la non normalità. Se mi si chiede se Castro ha problemi psichiatrici, dico assolutamente sì: ha tratti di personalità disturbati di tipo sadico e narcisistico. Ma la domanda è: questo disturbo incide sulla sua capacità di intendere e volere? E qui rispondo no. Questi individui hanno la consapevolezza che ciò che stanno facendo è illegale. Tra l’altro, si tratta sempre di soggetti che riescono bene o male a essere inseriti nella società”.
Se fosse giudicato capace di intendere e di volere Castro rischia la pena di morte. Una pena giusta in un caso come questo?
“Io sono contrario alla pena di morte, ma dico che la durezza della pena di fronte a fatti di questa gravità è un deterrente, proprio perché parliamo di soggetti che non commettono delitti di impeto o che agiscono accecati dalla follia”.