Parla il deputato PPD, già direttore delle carceri del Canton Vaud, e svela particolari inquietanti sul dramma di Payerne: "Un caso di mala giustizia, quel che è successo è pazzesco"
di Andrea Leoni
Alex Pedrazzini che opinione si è fatto della vicenda di Marie e del suo assassino?
"Un'opinione estremamente negativa. In questa vicenda, senza mettere in stato d'accusa la giustizia in senso lato, non si è soltanto inciampati ma si è fatto un volo del diavolo".
Spieghi.
"Da quanto ne so io, chi si era dovuto pronunciare sulla liberazione condizionale di Claude Dubois, era giunto alle conclusione che non lo si poteva rimettere in libertà. Perché il suo comportamento o il suo profilo psicologico evidenziavano che la libertà era un rischio da non correre. Purtroppo un'altra autorità, credo il servizio esecuzioni delle pene del Canton Vaud, che io ho diretto nel secolo scorso, ha fatto un azzardo tanto maldestro quanto tragico. Ovvero, ha deciso che la negazione della libertà non impediva di farlo uscire dal carcere, di farlo stare in appartamento, di farlo lavorare, grazie al controllo del braccialetto elettronico. Ma c'è un altro dettaglio che ingigantisce ancora di più questo flop".
Quale?
"Il patronato, che aveva il compito di sorvegliare Dubois nella sua condizione di alloggio e lavoro esterni ha detto che lui non rispettava le condizioni e bisognava rimetterlo in carcere. L'assassino ha fatto ricorso chiedendo l'effetto sospensivo e il magistrato lo ha concesso. In pratica, per spiegarlo in un linguaggio che capisce mia mamma, il patronato ha detto "non rispetta le regole, è pericoloso, rimettiamolo dentro", l'assassino ha risposto "non è vero", e il giudice non si è ancora espresso nel merito ma ha concesso l'effetto sospensivo e ha detto "deciderò". Che è assurdo! Perché, visto il soggetto, bisognava fare esattamente il contrario : negare l’effetto sospensivo e quindi prima rimetterlo in carcere e poi decidere se il suo ricorso era fondato o meno".
Insomma, un classico caso limite di mala giustizia.
"Io direi di sì. Quel che è successo è paradossale, pazzesco. In fondo Dubois ha potuto uccidere di nuovo solo grazie all'effetto sospensivo di un ricorso. Un'altra cosa che mi lascia sconcertato di questa storia è il fatto che il papà di questo ragazzo, prima del primo delitto, aveva chiesto agli psichiatri di internare suo figlio perché dava segnali di essere un po' strano. Ma non gli diedero retta.
Se penso a questa vicenda, e parlo da giurista, mi dico che tutti possono sbagliare, anche gravemente come in questo caso, e penso che Dubois ora sarà incarcerato a vita. Se parlo come padre di famiglia, una mezza idea su quale sarebbe la giusta pena ce l'ho chiaramente".
La pena di morte?
"Lo ha detto lei…".
Glielo chiedo.
"In situazioni del genere come in altri casi (come quelli statunitensi del violentatore della figlioletta di sei mesi che ha poi soffocato o del 52enne accusato di aver recluso e violentato tre ragazze per un decennio) ne subisco il fascino".
Sarebbe favorevole per i casi limite a reintrodurre la pena di morte?
"Da giurista le rispondo che la Svizzera ha deciso di toglierla sia dal codice penale che dal codice penale militare. E io sul codice militare ero contrario. Se durante una guerra uno vende informazioni al nemico e permette di organizzare crimini contro la patria o di far strage tra i suoi commilitoni, il traditore per me va punito con la morte. Quanto al codice penale, sia la nostra decisione che gli accordi internazionali a cui siamo vincolati, non permettono di immaginare un ritorno della pena di morte. Poi le rispondo anche come padre e come ex presidente della Commissione cantonale aiuto alle vittime. Se penso di incrociare per strada dopo qualche anno la persona che ha violentato e ucciso mia figlia e sta beneficiando di un congedo …è dura. È dura, quasi un pensiero inaccettabile. Come lo è già quello di pensare all'assassino di mia figlia (che già in passato aveva commesso un assassinio analogo : il caso vodese), magari davanti alla fotografia di quando era viva, ed immaginarlo mentre se ne sta in una cella a guardare la televisione, usare il computer e il mercoledì giocare acalcio. Epidermicamente sento bussare la pena di morte. È un elemento di vendetta che non è nobile ma è …. disumanamente umano".
Tornando strettamente alla vicenda di Marie. Pensa che sarà un caso destinato a fare scuola e che impedirà in futuro che accada di nuovo?
"La risposta giusta è sì, non succederà più e farà scuola. Per farmi bello verso i lettori e fare voti potrei dire che non accadrà mai più, ma non è così . La verità è un’altra. Il pericolo che accada di nuovo c'è: fa parte dei cosiddetti rischi del sistema.. Certo oggi grazie al popolo c'è l'internamento a vita che ha, come presupposto, l'idea che uno resti in carcere finché morte non sopraggiunga. Va ricordato che ai tempi in cui è stato condannato Dubois questa opzione non c'era. Ma va pure ricordato che anche con il carcere a vita c'è la possibilità di ritornare liberi e, di conseguenza, la possibilità di recidiva".
Quando è stato a capo delle carceri vodesi le è mai capitato un caso paragonabile a quello di Dubois?
"No, un caso del genere non mi è mai capitato. Però dei flop sul primo congedo sì. Gente a cui accordavi il permesso e poi spariva per sempre. C'è un episodio che mi ha molto segnato e che spiega bene l'imprevedibilità di certe decisioni e dell’essere umano. A un detenuto italiano che aveva tentato due volte l'evasione senza successo, era morta la madre. Mi chiese il congedo per poter assistere al funerale a Reggio Calabria. E io gli risposi: "Non sono mica fesso". Ma lui mi replicò che mi dava la sua parola e che certo non avrebbe tradito un impegno preso sulla morte della madre. Glielo accordai. Doveva rientrare domenica sera alle otto, ma a quell'ora di lui nemmeno l'ombra. Pensai di essere stato davvero un deficiente finché alle quattro del mattino si presentò in carcere: aveva fatto tardi perché aveva smarrito il passaporto a Milano. E qualche settimana dopo tentò di nuovo di evadere…".
Un’ultima domanda. Le autorità vodesi hanno aperto un'inchiesta amministrativa per stabilire le responsabilità sulla decisione che Dubois fosse libero. Conoscendo il Cantone pensa che salterà qualche testa?
"Non credo. Alla fine si dirà semplicemente che il magistrato si è sbagliato e prenderanno qualche accorgimento giuridico per chiarire meglio la competenza dei vari uffici che decidono su questi casi. Ma purtroppo a me resta il timore che quel magistrato, concedendo l'effetto sospensivo, ha applicato correttamente una norma generale, senza accorgersi che non stava trattando il caso di uno che si era visto ritirare la patente ma di un mostro assassino. Detto questo ed esternato l’auspicio che orrori del genere non accadano più dobbiamo essere coscienti che di soluzioni miracolo non esistono e che quindi non esistono misure preventive che ci permettano di dormire per sempre tranquilli".