Il caso della famiglia di Federica Pelli Samir e suo marito Hany, a cui recentemente è stato rifiutata una domanda di visto per far venire dei parenti nel nostro Cantone
EL CAIRO/BERNA-L’estate, si sa, è periodo di vacanze. A chi non piace fare le valige e andare via una o due settimane? Magari al mare, al caldo? Tutti gli anni molti ticinesi vanno a Malpensa o a Zurigo e salgono su un aereo in partenza per le spiagge dell’Egitto, a Marsa Alam, Hurghada o a Sharm El Sheik. Quello che però molti ticinesi non sanno, è che fare l’inverso e venire in vacanza in Svizzera, può risultare a volte molto difficile. È proprio il caso della famiglia di Federica Pelli Samir e suo marito Hany, a cui recentemente è stato rifiutata una domanda di visto per far venire dei parenti in Ticino.
“Io sono ticinese e da vent’anni sono sposata con Hany, egiziano con cittadinanza svizzera da quindici anni. Mio marito ha parenti stretti in Egitto e questo settembre sarebbe dovuta arrivare da noi sua sorella Samia con il marito e il figlio, poi ci saremmo spostati anche a Modena, dove vive un altro loro fratello” spiega la signora Pelli Samir, che parla al condizionale. Come mai? “Non verranno, perché si sono visti rifiutare la domanda per il visto turistico”. Ci racconti com’è andata… “Abbiamo inoltrato richiesta per il visto turistico all’Ambasciata svizzera del Cairo, che poi ha convocato la famiglia di Samia per un’intervista, come da prassi. L’appuntamento era fissato per il 14 di agosto, che è esattamente il giorno in cui i militari sono andati in piazza Rabaa el Adaweya per prendere il potere e disperdere i sostenitori di Morsi. La piazza, tra l’altro, si trova esattamente tra l’aeroporto e l’ambasciata, per cui è facilmente immaginabile capire la difficoltà per arrivare all’appuntamento alle 9 di mattino quando tutta la città è “chiusa” e controllata dai militari e dalla polizia con carri armati ed elicotteri, e con spari di cecchini dall’alto di alcuni palazzi. All’intervista inoltre, si è presentato anche mio marito per testimoniare i motivi della visita della sua famiglia in Ticino”. Prosegua. “All’appuntamento, Samia si è presentata con tutti gli incarti necessari, ma le hanno comunque chiesto, a lei e a suo marito Wasfe, di portare dei documenti supplementari, in cui veniva dimostrato che avevano chiesto vacanza dal lavoro”. Erano necessari quei documenti? “L’incarto era completo, questa era una richiesta supplementare, una cosa in più”, continua Federica Pelli Samir.
“Così, Samia e suo marito sono tornati a casa a Qena, che è distante 900 km, mentre mio nipote Beshoy è rimasto al Cairo. Hanno poi mandato i documenti necessari, che essendo scritti in arabo, sono dunque dovuti passare prima da un traduttore “ufficiale” consigliato dall’Ambasciata”. E qui l’ennesimo problema: “Mio nipote si è recato al nuovo appuntamento previsto domenica 18 agosto, ma, per colpa del caos e dei problemi legati al coprifuoco, è arrivato una decina di minuti in ritardo, non potendo più così comunicare con il responsabile del settore visti per il suo caso”, ha proseguito la signora Pelli Samir. Per cui il visto non è stato emesso. “Esatto, ma abbiamo fatto richiesta per una nuova procedura e il prossimo incontro sarebbe stato il 9 di ottobre, esattamente la data in cui la famiglia della sorella di Hany avrebbe dovuto fare ritorno in Egitto. Così ho chiamato io l’Ambasciata e ho parlato con un addetto (che però non lavora per i visti) da cittadina svizzera, ho spiegato loro la situazione di Samia, Wasfe e Beshoy, causata in parte dalle instabili condizioni della città. Mi hanno risposto che loro all’appuntamento sono arrivati comunque puntuali. Con molta insistenza, sono riuscita a ottenere un appuntamento per il 25 agosto”.
Quindi, in questo caso l’Ambasciata è venuta in contro ai richiedenti, “a questo proposito voglio aprire una parentesi, perché riuscire a parlare con un collaboratore è molto difficile, e se non ti comporti da arrogante, come ho dovuto fare io, non riesci a comunicare, ma vieni rigirato alle informazioni del sito web. Sembra una linea telefonica da compagnia aerea low cost”. Proceda con il racconto. “Fatto sta, che la famiglia di Samia si è presentata all’appuntamento di fine agosto, andando ancora da Qena al Cairo con tutti gli incarti. È stato detto loro che avrebbero potuto ritirare i documenti l’8 settembre, quando io avevo riservato il volo per il 7. In ogni caso, sono riuscita a spostare la partenza di qualche giorno e quando l’ho fatto notare all’Ambasciata mi hanno risposto che non era necessario fare riservazioni (quando invece alla prima intervista il collaboratore aveva loro detto che avevano fatto molto bene a riservare il biglietto aereo). In ogni caso, l’arrivo di Samia con il marito e il figlio era previsto proprio per oggi, l’11 settembre”. E poi cosa è successo? “L’8, al posto dei passaporti con il timbro, hanno ricevuto un foglio in cui si affermava il rifiuto del visto turistico”, continua Federica Pelli Samir.
E come hanno giustificato questo rigetto? “Ci hanno dato tre motivazioni. La prima è che non sono stati giustificati scopo e condizioni del soggiorno, quando mio marito che ripeto, è cittadino svizzero, si è presentato all’intervista proprio per testimoniare che sua sorella, il marito e il figlio sarebbero venuti qui in vacanza per vedere finalmente dove viviamo e dove vive il suo altro fratello a Modena. In secondo luogo hanno detto che le informazioni non sono affidabili, quando sia io, sia mio marito abbiamo dato garanzia per loro. Infine hanno detto che non poteva essere garantita l’intenzione dei tre parenti di lasciare il territorio una volta scaduto il visto. Anche in questo caso, abbiamo presentato all’Ambasciata i biglietti di partenza e di ritorno in Egitto (dall’11 settembre al 9 ottobre) e anche qui, era difficile fare di più”.
Oltretutto, se Hany si è presentato personalmente al Cairo, Federica Pelli Samir ha mandato anche una lettera in cui testimonia le intenzioni del viaggio, “dopo che mio nipote è arrivato in ritardo all’appuntamento, ho scritto personalmente all’Ambasciata per spiegare la situazione, assicurando che il viaggio in Svizzera era un ritrovo di famiglia. Semplicemente credo che non abbiano capito le mie parole in italiano. Ho anche chiamato più volte, siccome parlo abbastanza bene francese e tedesco e visto che Hany, che ha vissuto per trent’anni in Egitto, non conosce bene queste lingue nazionali. Inoltre ancora il 13 agosto li avevo avvisati via e-mail in tedesco che avrei inoltrato una lettera in italiano, perciò avevano tutto il tempo di trovare un traduttore che potesse aiutarli a capirne il contenuto. Evidentemente l’italiano non è sufficiente per comunicare con l’Ambasciata svizzera”.
Ora, che i visti sono stati negati, cosa potete fare? “Potrei fare opposizione, scrivere al Dipartimento di Giustizia e Polizia e dopo due mesi riceverei una risposta, ma non credo che lo faremo”.
Sembra difficile intuire i motivi di questo rifiuto. Cosa pensa lei? “Io credo che sia inammissibile quello che è successo. Samia e suo marito sono persone normali, lavorano per il dipartimento scolastico. Per affrontare questo viaggio hanno speso una cifra che per loro, che hanno uno stipendio egiziano, è veramente importante. Mi chiedo: con quale criterio si concede un visto turistico? Solo ai ricchi? Io, da cittadina svizzera, ho garantito per il loro sostentamento e l’Amministrazione federale potrebbe fare in fretta a scoprire se lavoro e pago le tasse. Con il rifiuto del visto, viene messa in dubbio la mia parola. Inoltre, la richiesta viene rifiutata a una famiglia cristiana (copta) con parenti svizzeri, quando invece le nostre frontiere sono un colabrodo e chiunque riesce a transitare”.
Dopo questo sfogo, cosa intende fare? “Quello che voglio è semplicemente ottenere giustizia, niente di più. Samia e famiglia forse verranno, forse no, alla fine non è essenziale, ma la giustizia, quella sì”.