Foto: Polizia scientifica
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Cronaca
03.10.2017 - 15:430
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Sabato 3 ottobre 1992: 25 anni fa l'evasione dalla Stampa. Cronaca di un'alba di sangue. La fuga, i protagonisti, i complici, le armi, la sparatoria, le polemiche, le foto... E i ricordi del capo della Scientifica Emilio Scossa-Baggi: “Era uno scenario sp

Scossa-Baggi: "Abbiamo dovuto sequestrare tutte le armi agli agenti intervenuti per capire chi avesse sparato, perché questo andava comunque stabilito. Il problema era che, oltre alle armi personali c’erano anche quelle ‘di squadra’, in dotazione ai gruppi speciali. Abbiamo lavorato su quella scena per giorni, facendo una serie di ricostruzioni, anche filmate…"

di Marco Bazzi

“Era uno scenario spettrale. Quasi lunare… C’erano proiettili e fori ovunque. E tanto sangue…”. Emilio Scossa-Baggi, capo della Polizia scientifica, ricorda così le macabre immagini di quella tragica mattina di sangue. Ricordi simboleggiati nella fotografia che pubblichiamo, accanto a quella delle armi trovate addosso agli evasi e nelle auto usate per la fuga, entrambe appartenenti a guardie carcerarie: tre pistole, munizioni, un coltello e due bombe a mano.

L’evasione avvenne all’alba, verso le 6 di mattina. Il capo della scientifica arrivò sul posto circa un’ora e mezza dopo, quando fu chiara la gravità del caso. Uno dei casi più gravi della cronaca nera degli ultimi decenni.

“Ci chiedevamo cosa fare, da dove iniziare… per ricostruire il tutto senza commettere errori – prosegue Scossa-Baggi -. C’erano tanti rilievi da effettuare, anche se la dinamica era abbastanza chiara. Visto che era coinvolta la nostra polizia venne deciso di farci coadiuvare dalla Scientifica di Zurigo, per evitare il sospetto di ricostruzioni ‘di parte’. Abbiamo dovuto sequestrare tutte le armi agli agenti intervenuti per capire chi avesse sparato, perché questo andava comunque stabilito. Il problema era che, oltre alle armi personali c’erano anche quelle ‘di squadra’, in dotazione ai gruppi speciali. Abbiamo lavorato su quella scena per diversi giorni, facendo una serie di ricostruzioni, anche filmate…”.

La cronaca di quell’alba di sangue

Il comandante della Polizia cantonale era Mauro Dell’Ambrogio. Il direttore del Dipartimento istituzioni era Alex Pedrazzini.

Era sabato, 3 ottobre 1992. Otto detenuti tentarono di evadere dal penitenziario della Stampa. Due di loro furono crivellati dai proiettili sparati dagli agenti della Polizia cantonale, che li attendevano a poche centinaia di metri dal carcere, dove la strada del piano della Stampa si restringe. Era, insomma, un’evasione annunciata.

I fuggitivi era armati di tre pistole e due granate. E proprio il sospetto (o forse la certezza) che avessero delle bombe a mano fu indicato come uno dei motivi per cui la Polizia decise di non intervenire all’interno del carcere e per cui venne dato l’ordine di aprire il fuoco…

Quando gli agenti intimarono l’alt, la prima auto con a bordo quattro detenuti e due agenti di custodia presi in ostaggio si fermò e gli occupanti scesero dal veicolo con le mani alzate. La seconda vettura con a bordo altri quattro detenuti e un agente di custodia, che poi si rivelò essere loro complice, tentò invece una improbabile retromarcia.

Una manovra fatale: si scatenò l’inferno, la polizia aprì il fuoco e uccise due degli evasi – l’ex militante dell'organizzazione terroristica Prima Linea Pietro Leandri, che era in carcere per rapina, e il narcotrafficante cileno Anasco Guillermo Villalon. Morì anche il giovane agente di custodia ticinese, M.A.

Nella sparatoria rimasero feriti, sopravvivendo per miracolo, pure gli altri due detenuti che si trovavano a bordo dell’auto, un portoghese e un italiano, che poche settimane dopo tentò nuovamente la fuga dalle carceri pretoriali di Mendrisio.

Alcuni giorni dopo l’evasione venne arrestato un altro secondino, un ‘capo arte’, responsabile di un laboratorio di lavoro della Stampa: era stato lui a introdurre in carcere le armi. L’inchiesta stabilì che l'agente ucciso avrebbe dovuto ottenere come compenso per la sua collaborazione circa trentamila franchi, mentre al suo collega ne sarebbero andati diecimila.

Le polemiche e la commissione d’inchiesta

Di fronte a quella carneficina l’opinione pubblica si divise: chi si schierò a fianco della Polizia, e chi parlò di intervento eccessivo, in chiara violazione del principio della proporzionalità.

Tra i fautori di quest’ultima tesi si mise in prima fila l’allora deputato leghista Flavio Maspoli, che presentò un’interrogazione parlamentare articolata in una quindicina di domande e che attaccò duramente Pedrazzini e Dell’Ambrogio. Ricordiamo un titolo, l’anno successivo l’evasione, sulla prima pagina de l’Altra Notizia, giornale che Maspoli aveva fondato: “Evasione dalla Stampa: omicidio di Stato”.

Per cercare di chiarire l’accaduto e appurare eventuali responsabilità, il Governo istituì una commissione d'inchiesta amministrativa, formata da due ex-magistrati e da un alto funzionario di polizia romando. Mentre l’inchiesta penale fu condotta dal procuratore pubblico Luca Marcellini. Ci fu il processo e ci furono le condanne. Mentre dall’inchiesta amministrativa non emersero elementi di grave rilevanza.


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