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10.12.2019 - 08:180
Aggiornamento: 11.12.2019 - 09:29

La vita secondo Matteo (Pelli): "Ma è la famiglia il mio progetto più importante. E non rimpiango mai il Teo di dieci anni fa"

Seconda parte dell'intervistona natalizia al direttore di TeleTicino, che si confessa a cuore aperto: "L'ultima volta che ho pianto è stato per la morte di mia nonna. Poi non ci sono più riuscito...."

di Andrea Leoni

Dopo la vita professionale, veniamo a quella privata. È in arrivo il terzo figlio.
“Sì e se me lo avessero detto dieci anni fa non ci avrei mai scommesso. Ma poi trovi la persona giusta e ti metti a costruire un progetto di vita che per me, oggi, è di gran lunga il più importante. La mia vera fonte di energia è la famiglia. Mi piace essere un papà presente. È rarissimo che esca la sera, proprio perché voglio dedicarmi a loro. E vivo ogni giorno come se fosse il primo”. 

Com’era il Matteo di dieci anni fa?
“Molto diverso. Facevo il conduttore televisivo e mi andava bene così. Avevo delle relazioni non stabili, come qualsiasi ragazzo dai 25 ai 32 anni e vivevo una vita senza pensare alla costruzione del futuro. Oggi quando arrivo a casa e vedo tutta questa grande famiglia, mi sorprendo e mi riempio di gioia. Non c’è stato un secondo in cui ho rimpianto il Matteo di dieci anni fa. Anche le scelte professionali sono arrivate grazie al piglio di mia moglie”.

Vale a dire?
“La prima volta che siamo usciti insieme Eleonora mi ha chiesto: “Ma tu vuoi fare il conduttore tutta la vita?”. Pur avendo già chiaro nella testa che non lo avrei fatto, quella domanda mi sorprese molto, perché significava vedermi sotto una luce diversa rispetto a quella con cui le persone generalmente mi osservavano. Ed aveva ragione lei. Infatti, insieme, abbiamo fatto anche la scelta del passaggio a Radio3i e poi a Teleticino”.

Dicevamo del terzo figlio. Voluto?
“Sì, tutti è tre sono figli molto voluti. Non c’è stata alcuna improvvisazione”.

Pensi che in futuro potrà crescere ulteriormente la famiglia?
“Devi parlare con il CEO, che si chiama Eleonora. Io sono solo un umile servitore della causa. Vorremmo riuscire a mettere al mondo una squadra che un giorno potrà giocare contro il Lugano. Per ora abbiamo fatto il centrocampo. No, dai scherzo, direi che tre figli sono l’ideale”

 Tu sei sempre sorridente, energico, di buon umore. Ma non ti capita mai di essere triste?
“Posso essere triste ma sono troppo grato alla vita per le fortune che ho avuto e che ho. Per me la tristezza è uno spazio per ritemprarsi, per riflettere. Quindi è fondamentale. Però sono stato abituato sin da piccolo a guardare il bicchiere mezzo pieno. E questa è una delle più grandi fortune che ho, in generale. Mi piace cercare sempre di risolvere le situazioni in maniera positiva. Mi impongo quasi di farlo”.

È un modo di essere?
“Sì. Non è che la tristezza non ci sia, come si diceva. Però non posso dirti che ho avuto dei periodi bui e che ne sono uscito più forte di prima, anche se nelle interviste fa sempre figo dirlo. Ma per me non è stato così”.

Ma tu piangi?
“L’ultima volta che ho pianto è stata quando è morta mia nonna, che era per me una figura centrale. Poi da allora non è più successo. Però mi emoziono guardando un film….quindi l’emozione la conosco. Ma il pianto, un pianto di dolore intendo, è difficile da buttar fuori per me”.

È difficile immaginarti triste, ma anche arrabbiato.
“Non lo si immagina fino a quando non ci si rende conto che è possibile. E allora te lo ricordi”.

Larga parte della tua vita è in pubblico. Lo è in televisione o in radio. Lo è agli eventi. Lo è sui social. Cosa ti resta di davvero privato?
“Il mio vero privato è un mix fra tutto quello che la gente vede. I social network sono stati di grande aiuto per me. Questa base di persone che mi segue mi ha sempre dato la forza e la credibilità di fare anche altre cose, di fare delle scelte. Quando sono arrivato in radio, ad esempio, è stato fondamentale che Facebook in quel periodo andasse molto forte e io avessi tanti follower. Sono grato a queste persone, le rispetto molto, pur sapendo che talvolta sui social si esagera e a volte esagero anch’io. In quel contesto trovare un equilibrio tra pubblico e privato può essere molto complicato”.

Quindi non esiste un tuo privato?
“No, esiste, ma non è diverso da quello che mostro. Non è che io nel privato ho la passione per i film horror, oppure per la musica rockabilly e vado in segreto a dei convegni in Arizona. Mi piace viaggiare, il buon cibo, disegnare, ma tutto questo è noto. Se usi i social in maniera coerente la gente capisce più o meno che tipo di persona sei. Sì, a volte sono più stanco di quello che mostro, o magari faccio un tête-à-tête con mia moglie per i cavoli nostri, ma non ho delle passioni segrete”

Come filtri tutta la massa di gente che ti gira intorno? Colleghi, conoscenze, amicizie, persone che vogliono entrare in contatto con te.
“La mia famiglia, che comprende anche gli amici, è la mia famiglia. Poi c'è il resto e questa è la prima distinzione. È vero che in generale sono disponibile ma non molto accessibile. Rispondo, sono gentile, cerco di capire, ma è complicato tessere una relazione con me perché non ne ho il tempo e quindi da questo punto di vista mi proteggo. Ci sono ma fino a un certo punto. E le vere sicurezze le trovo soltanto nelle persone a cui voglio bene. Nella famiglia, appunto”

Quante persone ti conoscono davvero?
“Un po’. Non sono uno di quelli che dice che gli amici si contano sulle dita di una mano. Io ho già sperimentato di poter contare su più mani. Quello che mi conosce meglio di tutti è il Bigio e l’amico del cuore sarà sempre Ruby Belge. Al netto di mio fratello Paride a cui sono legato anche da una grandissima amicizia. Detto questo non sono neanche la persona che dice che i veri amici sono solo quelli storici. Ho coltivato delle amicizie importanti anche negli ultimi quattro o cinque anni”

Veniamo a Pellidigallina, il progetto imprenditoriale con il quale ti sei messo a vendere uova di alta qualità.
“Le galline sono una bomba! È stata un’intuizione che ho avuto con mia moglie e che sta portando avanti soprattutto lei. Abbiamo circa 300 abbonati e riusciamo a donare circa 10’000 uova all’anno in beneficienza a Don Emanuele e alle varie Api del cuore. Abbiamo quattro ristoranti che le servono e una lista d’attesa infinita di chi vorrebbe acquistare queste Pellidigallina. È un business che è divertentissimo, anche se molto laborioso. È una strada che consiglierei a un giovane che volesse metter su una start up per il suo futuro. Gli direi di pensare ai prodotti di casa, freschi, perché la gente ha una grande sensibilità verso questo argomento”.

Quali prospettive per Pellidigallina?
“Potremmo anche aumentare la produzione, solo che c’è un problema strutturale: se cresci, devi crescere in tutto. Siamo comunque a un buon numero di abbonati. Non vogliamo diventare ricchi con quesa iniziativa. Anche perché, pure da questo punto di vista, è stato un anno di lavoro molto intenso….”

In effetti ti mancava un’altra attività!
Sì, infatti, bravo Matteo….(si schermisce, ndr.) è che a me piace, perché alla fine anche questa è creatività, sono stimoli”.

Perché, non ne hai abbastanza di stimoli? Sei iperattivo?
“Sono un po’ drogato di stimoli, lo ammetto. Poi ho anche momenti di grande calma, dove leggo, dove faccio le mie cose…”.

Non ci credo!
“Però è in vacanza, non qua”.

Non sul suolo patrio.
“No, infatti”

Che effetto ti fa essere benestante, vivere una vita agiata, quando pensi a chi non ce l’ha?
“Essere benestante grazie al mio lavoro mi fa sentire piuttosto orgoglioso, ma non stiamo parlando di milioni. Per me il lusso è potersi concedere quello di cui tu o la tua famiglia ha bisogno, non certo comprare macchinoni o andare alla Maldive con l’aereo privato. Per me l’eccesso non esiste, non mi interessa. La consapevolezza della mia posizione sociale, mi porta ad aiutare dove posso, in maniera tangibile. Vedi Pellidigallina, vedi il nostro amico Don Emanuele, vedi la Fondazione Nuovo Fiore con la famiglia Braglia. Cerco, nel mio piccolo, di essere una persona capace di portare un esempio positivo, stando vicino a delle realtà piuttosto traballanti”.

E le polemiche ricorrenti sul familismo, su quello nato con la camicia, che sentimenti ti provocano?
“Le capisco. Fanno parte delle regole del gioco. Se nasci più fortunato degli altri, o se hai un cognome che può aprirti delle porte, è normale che qualcuno possa pensare che sei arrivato lì per quel motivo. Sono pensieri che abbiamo fatto tutti. Quello che non capisco, però, è quando tu fai un cammino, conquisti dei risultati sul campo, e ciò nonostante si insiste a parlare di nepotismo. Io ne ho sofferto molto quando ero più giovane. Ora me ne frego altamente”.

Come vedi il Ticino?
“Lo vedo un po’ perso su alcune cose. Un po’ alla rincorsa, piuttosto che lungimirante. Si mettono delle pezze, più che costruire. Penso al traffico, a coloro che hanno delle botteghe e hanno sempre più difficoltà finanziarie, penso alle vie sempre più scarne, perché i grandi e i piccoli se ne vanno….”

Nel passato eravamo diversi?
“Avevamo più estro, più brio, più visioni. Più coraggio, soprattutto”

Siamo diventati dei piangina?
“Un po’ sì e questo nonostante siamo in una situazione nettamente migliore rispetto ad altre realtà in Europa. Capisco la gente comune, che teme per il proprio posto di lavoro, per il proprio futuro. Ma dai politici vorrei più coraggio. Piuttosto che fare 100’000 cose, facciamone meno, ma fatte bene. Una politica fatta di soli slogan e non di contenuti, fa un po’ paura ogni tanto”.

Credi nei partiti?
“Non tanto, ma credo molto nelle persone. Io sono uno che sporca la scheda e non faccio nessuna fatica a dirlo”.

Ma se sporchi la scheda un partito lo voti, allora.
“Un partito lo voto, sì. Lo devo alla mia famiglia….(ride)”

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