Il direttore di AITI: "Le nuove generazioni sembrano proprio avere un approccio differente al lavoro rispetto alle generazioni del baby boom"
In America li chiamano “longennials” e molte aziende li preferiscono per la loro esperienza e per il carattere più determinato rispetto ai giovani, a volte arrendevoli e scansafatiche. Il nuovo fenomeno è partito più o meno un anno fa negli Stati Uniti, ma sta prendendo piede anche in Europa. Si chiama re-hiring, e riguarda la tendenza delle aziende ad assumere over 50 rispetto lavoratori più giovani. Le aziende stanno dunque riscoprendo l’importanza dei lavoratori che possono contare su conoscenze approfondite e una dinamicità pari o maggiore a quella dei ventenni. Secondo una statistica pubblicata nei giorni scorsi dalla rivista Intelligent, il 40% dei datori di lavoro statunitensi preferisce puntare sui longennials. Che costano certamente di più, a livello salariale e in termini di costrbuti sociali, ma sembrano dare maggiori garanzie.
La tendenza sembra confermarsi anche in Ticino, stando a Fabrizia Marzano, della Manpower di Lugano, intervistata sul tema dal portale Tio. “È un boom di richieste di over 40-45 che abbiamo riscontrato anche noi dopo il Covid perché prima di allora sia per gli impieghi interinali ma anche per impieghi "permanent" ci venivano richieste sempre persone giovani”. Al netto del fatto che molti over 50 faticano a reinserirsi nel mondo del lavoro, sarà davvero così? I giovani sono svogliati, arrivano tardi al lavoro, non si identificano con le aziende che li assumono? Insomma, assomigliano più al giovane nobile fannullone Ilya Ilyich Oblomov, narrato dallo romanziere russo Ivan Aleksandrovič Gončarov, che all’eroe socialista del lavoro Aleksej Grigór'evič Stachánov, celebrato dall’Unione sovietica.
Abbiamo chiesto un’opinione a Stefano Modenini, direttore dell’Associazione industrie ticinesi.
Di Stefano Modenini *
La generale difficoltà e preoccupazione di molte imprese di non trovare personale specializzato nei prossimi anni, complice anche l’inesorabile declino demografico dell’Occidente, spinge le imprese a trovare soluzioni, fra cui l’aumento della quota di donne che lavorano e la permanenza al lavoro di persone giunte all’età del pensionamento.
Questa situazione è acuita dal fatto che le nuove generazioni sembrano proprio avere un approccio differente al lavoro rispetto alle generazioni del baby boom. Ecco allora che nonostante una formazione completa e magari anche ampia, i giovani preferiscono maggiore tempo libero e la possibilità di abbinare temporalmente i propri interessi e l’attività lavorativa.
Così come i beni vengono prima di tutto utilizzati per un determinato scopo e non posseduti, è allo stesso modo logico almeno per una parte dei giovani non fidelizzarsi più di tanto ad un’azienda e preferire piuttosto la via di fare esperienza in più posti di lavoro. Anche qui in fondo, perché sembra prevalere il fatto che il lavoro è un mezzo per realizzare i propri obiettivi di vita, o almeno parte di essi.
Negli ultimi anni i datori di lavoro svizzeri hanno lamentato una maggiore fragilità degli apprendisti. Le competenze acquisite a scuola non sempre sono solide, mentre la fragilità emerge soprattutto sul piano personale, ad esempio nella difficoltà di prendersi delle responsabilità sul posto di lavoro. Se abbiniamo ciò a quanto detto in precedenza possiamo comprendere in una certa misura perché le aziende tornano a guardare con maggiore interesse alle persone oltre i 40-45 anni, che costano magari di più ma sono affidabili e sono cresciuti in un contesto nel quale il lavoro aveva una primaria importanza. La direzione futura del mondo del lavoro è probabilmente quella tracciata dalle nuove generazioni, ma l’adattamento delle imprese a questa realtà richiederà tempo. Le crisi accadute negli ultimi anni e le loro conseguenze, pensiamo solo ai conflitti bellici in corso e alla pandemia, ci dicono che le imprese sono economicamente in difficoltà e hanno ancora molto bisogno della fidelizzazione, dell’esperienza e della dedizione al lavoro dei loro collaboratori.
Inoltre, non dimentichiamo che il lavoro in Svizzera serve anche a finanziare le nostre assicurazioni sociali. Se diminuisce il numero delle persone che lavorano oppure se queste persone lavorano per meno tempo, bisognerà trovare altre soluzioni per finanziare le pensioni di chi lavora e lavorerà ancora.
* direttore AITI