Accuse pesantissime per il primario Emanuele Michieletti. "Per lui, le risorse umane sono beni privati di cui disporre"
PIACENZA – “Tutti noi abbiamo dato per scontati atteggiamenti che solo a Piacenza sono la normalità. Le mani sotto i vestiti, le ripicche sui turni, gli abusi silenziosi. Nessuno parlava, ma tutti sapevano”. È un’ondata di messaggi amari, carichi di rabbia e rimorsi, quella che sta attraversando il reparto di Radiologia dell’ospedale di Piacenza dopo l’arresto del primario Emanuele Michieletti, ora ai domiciliari con accuse pesantissime: violenza sessuale aggravata e atti persecutori.
Un “sistema”, quello descritto nei verbali e nei messaggi interni tra colleghi, che andava avanti da oltre 15 anni, nel silenzio complice di chi ha preferito voltarsi dall’altra parte per non perdere il posto o per evitare ritorsioni. “Il sistema Michieletti è assodato – scrive un medico – e ognuno di noi ha accettato in silenzio piccoli o grandi abusi nel tempo”.
"O con lui o contro di lui"
Il profilo che emerge del primario è quello di un padre-padrone, autoritario e manipolatore, che decideva a chi concedere ferie e a chi no, chi doveva stare nei turni più scomodi e chi poteva permettersi qualche agevolazione. Il tutto in un clima tossico, dove le donne erano trattate – letteralmente – come proprietà. Un altro passaggio della testimonianza di un medico: “Nel sistema Michieletti, le risorse umane sono beni privati di cui disporre. Se sei donna, l’abuso può anche essere fisico”.
E chi provava a denunciare o ribellarsi al sistema, si ritrovava presto isolato. Un’infermiera ha raccontato la sua storia al quotidiano Libertà: “Mi ha fatto degli ammiccamenti, l’ho respinto. E da lì è cambiato tutto. Il clima è diventato intollerabile”.
Solo una denuncia: paura e silenzi complicano le indagini
Una sola donna, ad oggi, ha avuto il coraggio di sporgere denuncia. Un’altra si era convinta per poi fare dietrofront il giorno successivo. Per questi motivi la Procura parla di “clima di forte omertà nel reparto” e spiega come proprio questo muro di silenzio abbia rallentato e complicato le indagini. Ma i numeri parlano chiaro: ben 32 episodi – in appena 45 giorni – sono stati certificati dalle intercettazioni ambientali.
Oggi, la chat di gruppo dei dipendenti dell’ospedale di Piacenza è colma di messaggi di indignazione e rabbia. “C’era chi si girava dall’altra parte, chi se ne andava e chi si faceva andare bene tutto pur di non finire nel mirino”. “Ma chi è rimasto – scrive un operatore – deve trovare il coraggio di rompere questo sistema. Per dignità. E per amor proprio”.