L'ex sindaco intervistato dal Federalista: "È legittimo chiedersi che cosa lasci nell'opinione pubblica questo modo di affrontare le campagne elettorali. Alla fine rimangono soltanto le bicchierate, gli affettati e il pane: e poi?"
Intervista a cura della Redazione de Il Federalista
Si chiude la tradizionale maratona ticinese dei 12 mesi elettorali. Ci siamo messi alle spalle anche le Comunali. Consapevoli che i nostri lettori non si aspettino in queste pagine le informazioni sui risultati (ognuno avrà scoperto vincitori e vinti spulciando minuziosamente le fatidiche tabelle), tentiamo qui un bilancio generale. Troppo ambizioso? Impresa titanica? Beh, ma noi ci siamo assicurati la collaborazione di colui che fu della Grande Lugano leader e costruttore, anzi per dirla giusta, il re, unico monarca riconosciuto nella terra della democrazia totale. Ma forse, anche al suo livello base, una democrazia un po' malaticcia. La parola a Giorgio Giudici (e anche alle sue opinioni strettamente politiche che sono, appunto, le sue).
Architetto, noi del Federalista non abbiamo nascosto che questa campagna elettorale ci è parsa quasi una sorta di grande concorso di bellezza, tutta manifesti con fotografie, nomi e nulla più. Aperitivi offerti a parte. Sì è puntato sul marketing e i contenuti sono quasi scomparsi. Cosa ne pensa?
Concordo, diciamo che c'è stato molto protagonismo dell’io, una esaltazione dell'individualismo che non ha lasciato troppo spazio al dibattito sui temi. È legittimo chiedersi che cosa lasci nell'opinione pubblica questo modo di affrontare le campagne elettorali. Alla fine rimangono soltanto le bicchierate, gli affettati e il pane: e poi?
Lei ha detto a Teleticino che nei partiti non c’è più la fierezza di essere portatori di idee costitutive…
Naturalmente, più che i partiti in quanto organizzazioni, sono le persone che li dovrebbero incarnare. Per me è chiaro che si debba passare dalla riscoperta del contenuto delle diverse compagini, ripartire da chi dà voce al passato di valori che questo o quel partito ha sempre coltivato. Di destra o sinistra che fossero, i partiti erano chiaramente connotati, e così ricoprivano un ruolo. Senza questo, finiscono per ridursi a semplice strumento di ascesa personale per arrivare al seggio.
"I partiti devono innanzitutto ritrovare la loro identità"
I partiti storici hanno difficoltà a riproporsi e ripensare il loro scopo nella realtà contemporanea?
Direi. Nel PLR, per esempio, è chiaramente venuta meno la scuola di pensiero liberale, molto viva ancora in un passato recente. Se chiedessimo “ma perché tu sei liberale?” al primo di una lista, quale risposta riceveremmo? Questo vale per tutti i partiti. Anche per i socialisti, per dirne un altro. Si definiscono continuamente “progressisti”. Ma che cosa vuol dire? Non vuol dire niente. Un'espressione vuota che non ha nessun aggancio con la realtà. L’unica logica della sinistra sembra quella di essere contro.
O forse a favore del pensiero dominante… La sinistra, a proposito, sembra uscire abbastanza male dalla tornata elettorale, perdendo rappresentanti anche nei Consigli Comunali, dopo il risultato non brillante negli esecutivi. Invece il vecchio PPD, ora Centro, sembra aver frenato il calo dei consensi, appunto dopo il cambiamento di nome. Un effetto destinato a protrarsi secondo lei?
Secondo me l’operazione di cosmesi non darà risultati alla lunga. Sono stati anche intelligenti a levare la denominazione “popolare democratico”, perché è un titolo un po’ velleitario, oggi. Mi sembra però si vada verso un fenomeno di partiti-cipolla, partiti che cambiano vestito a dipendenza dei periodi. Però, in realtà, quando si va alla radice la domanda resta: ma che cosa mi offre questo partito? Una volta i PPD avevano il contenuto, che era una certa visione della società che dava spazio agli elementi della dottrina sociale cristiana. Alla fine di fronte ai candidati viene da chiedersi: ma tu perché sei del Centro e non sei liberale o non sei socialista? Tanto è uguale, è tutto annacquato. Le identità originali sono perse. Un po’ in risposta, o come conseguenza di ciò, nasce la miriade dei partitini, sovente incentrati su velleità o ambizioni di qualcuno. La politica si divide in rivoli, invece di cercare unità di intenti. Ma alla fine quale risultato si raggiunge? In genere mi pare che si sprechino energie, senza la forza di influire veramente, come rivoli che dopo un po’ si prosciugano. Una dinamica simile sta forse toccando anche la Lega.
In che senso?
Era un movimento, è vero, fortemente incentrato su una persona. Adesso c'è però il protagonismo individuale, ma mi sembra manchino i punti di riferimento comuni. I partiti, invece di dividersi e scindersi dovrebbero comunque cercare di convergere e integrarsi a vicenda alla ricerca di un progetto comune per il Paese, anche se per questo è ovviamente necessario che ognuno “sacrifichi” qualcosa. Ma invece del giusto compromesso, la logica sembra quella della rivendicazione. Una cultura che alla lunga porta alla disaffezione del popolo.
"I giovani vanno al fronte sprovveduti"
Come far rinascere nella gente la passione per la politica e quello che una volta si chiamava “senso civico”? Non è un problema di educazione?
Devo dire che i giovani interessati sono ancora molti e sono presenti ancora in buon numero, per esempio nel Partito Liberale. Con gli stessi giovani bisogna certamente ritornare a studiare e imparare il perché di certe realtà istituzionali, da dove originano, di quale storia sono figlie: capire come e perché sia stato costruito un sistema federale, un sistema di solidarietà, un certo sistema economico e così via. Invece i giovani oggi stanno andando al fronte della politica un po’ sprovveduti. In qualche caso c’è la stoffa del politico, ma sono casi rari. Io avevo anche proposto nel Consiglio di Fondazione dell’Università che sarebbe stato interessante proporre un corso di formazione per i politici, specie per gli eletti alle prime armi.
Negli ultimi anni noi del Federalista ci siamo interessati al caso di Melide. Una lista civica, i cui promotori si sono dati da fare organizzando momenti di formazione per candidati ed eletti (talvolta anche per un pubblico più ampio), con il risultato di non aver problemi a reperire persone interessate a coinvolgersi con la cosa pubblica. Può essere una via da percorrere?
Penso che questa possa essere una strada molto interessante e anche molto positiva. Vuol dire provare ad avvicinare la gente alle istituzioni, direttamente, non a rimorchio dei politici. Oggi c'è infatti anche la supponenza dei partiti di pensare che la popolazione seguirà sempre a rimorchio. Una cosa che ho cercato di evitare per esempio quando facemmo le aggregazioni a Lugano: negli incontri pubblici cercai sempre di dire alla popolazione che i protagonisti dovevano essere loro. Giusto dunque andare di più nel territorio, dialogare, fare dibattiti, far conoscere.
Finita la battaglia tra alleati, ecco su cosa lavorare
Parlando di Lugano, tutto è stato dominato dallo scontro interno alla destra in cui l’ha spuntata il sindaco leghista Foletti (i risultati del CC danno comunque l’UDC in crescita, a fronte di una Lega che marcia sul posto).
Premesso - e mi si perdoni l’accenno autobiografico - che dopo la mia uscita di scena il mio esecutivo è stato presentato come la fonte di tutti i problemi, quando in realtà mi sembra che quelle che si stanno realizzando oggi sono le idee di allora, direi che questa battaglia tra compagini di destra mi è parsa ridursi a un discorso di ricerca di potere. Per fortuna il cittadino ha espresso un voto abbastanza chiaro per evitare il ballottaggio, che avrebbe solo prolungato la discussione nuocendo alla Città. Così possiamo voltare subito pagina, e passare ai lavori. Per l’inizio dei quali non posso che fare i miei migliori auguri a tutti.
Sempre in televisione lei ha accennato a quelli che sarebbero i cantieri su cui Lugano dovrebbe lavorare. Vediamo quali.
Bisogna cominciare col valorizzare quello che abbiamo unito, ovvero i quartieri, patrimoni importanti finora un po’ trascurati. La Città è poi proprietaria di molte aree sulle quali si possono promuovere iniziative di vario genere. Dobbiamo però evitare esperienze come quella di Cornaredo: una ditta importante avrebbe realizzato tutto da sola, mentre la Città ha voluto essere protagonista del progetto. Ma la città non è un'imprenditrice. Deve offrire delle premesse e favorire la crescita, però non deve caricarsi di ruoli che non le competono. Soprattutto quando si tratta di investimenti che durano oltre i quattro anni: le imprese private infatti possono offrire uno sguardo più a lungo termine rispetto all’ente statale, che deve rinnovare di continuo le sue cariche. Non sto parlando di scuole o asili, ma di case per anziani, spazi abitativi, lo stadio, ecc.
Ci sono i temi della concorrenza fiscale e della perequazione tra Comuni, che a detta dei più penalizzano la Città .
Si sapeva da tempo che il problema si sarebbe posto. Lugano deve farsi rispettare. Io penso si debba andare a trattare con gli altri Comuni. Il rischio è, con l’introduzione di una concorrenza fiscale nell’ambito delle persone giuridiche, che Lugano finisca per farsi scippare tutte le aziende e le società che contribuiscono alle sue finanze. Occorre essere proattivi, trattare direttamente con i Comuni. Per esempio ai nostri vicini si potrebbero offrire delle partecipazioni azionarie nell’AIL oppure… che so, concedere un certo numero di ingressi gratuiti allo stadio, visto che ne abbiamo parlato poco fa. Bisogna offrire delle contropartite affinché gli altri Comuni non inizino a fare una concorrenza spietata alla Città.