IL FEDERALISTA
Dalla vittoria di Starmer alla Caporetto dei Tory. Dalla Brexit alle fratture sociali. Tutto sulla Gran Bretagna
Claudio Mésoniat intervista Rudi Palmieri, bellinzonese professore all'università di Liverpool: "Qui lo Stato sociale è essenzialmente assistenziale"

di Claudio Mésoniat - articolo pubblicato su ilfederalista.ch

“Vivendo qui da 9 anni, nel Nord dell’Inghilterra, storica zona industriale, capisco perché Friedrich Engels abbia scritto a Manchester La situazione della classe operaia, che portò al Manifesto del Partito Comunista”.

La battuta aveva fatto capolino mesi fa conversando con un giovane studioso ticinese che alludeva, fatte le debite proporzioni, al divario molto marcato tra classi sociali, alla povertà e al disagio che affliggono il proletariato urbano della megalopoli inglese di cui Liverpool fa parte.

E Liverpool è la seconda tappa dell’iter accademico del bellinzonese Rudi Palmieri, dopo l’acquisizione di un dottorato in argomentazione presso l’USI. Rudi Palmieri insegna Comunicazione strategica presso il Department of Communication and Media dell’Università di Liverpool.

Un punto d’osservazione interessante per capire il contesto e le ragioni della svolta, peraltro annunciata e attesa, impressa alla politica inglese dalle elezioni del 4 luglio. Tanto più che Palmieri è in Inghilterra con moglie e figli in età scolastica, immerso dunque esistenzialmente nel regno di Carlo III… e di sir Keir Starmer.

Professor Palmieri, la prima cosa che balza all’occhio di un osservatore continentale è la tranquillità, senza neppure un briciolo di polemica, che ha contraddistinto l’uscita di scena di Rishi Sunak: “Abbiamo commesso errori, me ne scuso, auguro il meglio al mio successore”. Questa è la legge di un sistema maggioritario secco, dove l’alternanza è vissuta come una regola del gioco; ma forse qui c’è anche una saggezza di fondo nel non assegnare alla politica ruoli catartici o palingenetici. È così?
"Guardi, queste elezioni della Camera dei Comuni, annunciate un mese e mezzo fa, sono andate via lisce come l'olio. Sono state le più scontate che io ricordi. Quasi a dire che si è preso atto come ormai per i conservatori il tempo al potere, dopo 14 anni, fosse finito. Rishi Sunak le ha anticipate, pur non essendo obbligato a farlo, probabilmente perché se avesse ritardato sarebbe andata ancora peggio per i Tories. Sunak, poi, è un personaggio difficile da decifrare, per certi versi è sempre stato un perdente, non è mai riuscito a imporre in maniera chiara la sua visione, neppure quando guidava il ministero delle finanze".

Si dice fosse un rivale agguerrito del suo predecessore Boris Johnson…
"Infatti, ha approfittato della caduta di Johnson, che attendeva da mesi (si era già costruito un sito, che teneva coperto –come è poi venuto a galla- nel quale si presentava come Primo ministro sette o otto mesi prima dell’uscita di scena del rivale e del fulmineo passaggio della Truss). Queste lotte fratricide all'interno dei Conservatori andavano avanti da anni, approfittando anche della pochezza, della debolezza dei Labour. La Brexit stessa è stata interpretata come un tentativo da parte di una certa ala dei Tories, guidata da Cameron, di far fuori definitivamente l'ala anti-europeista. Fu Cameron infatti a lanciare il referendum, pensando di far fuori Boris Johnson…

… che poi invece trionfò guidando le truppe filo Brexit alla vittoria. Ma insomma ci sta dicendo che queste elezioni più che vinte dai laburisti sono state perse dai conservatori?
In un certo senso è così. Anche se poi è vero –come lei diceva prima- che alla fine emerge comunque un senso del bene comune. Ci sono i partiti, è vero, in forte opposizione tra loro e divisi al loro interno, ma alla fine c’è anche un certo patriottismo, sia a destra che a sinistra. Questo in Inghilterra c’è.

Vuol dire un pragmatismo che per finire prevale sulle ideologie che vorrebbero cambiare tutto, cambiare il mondo?
"Cambiare il mondo là fuori, questo sì, ma all’estero appunto, non qui, perché gli inglesi sono ancora convinti di essere i leader mondiali in tutto. Ma quando si tratta di cambiare all'interno del proprio Paese, allora prevale sempre il pragmatismo: “Siamo un grande Paese, siamo i leader, siamo i migliori e bisogna semplicemente cambiare Governo per far girare meglio le cose”. 

Torniamo a quella sua battuta su Engels, che credo resti un buon preambolo per entrare in una realtà sociale così diversa dalla nostra.
"Beh certo, ma lei sa che Friedrich era capitato qui perché gli Engels erano una famiglia di industriali tedeschi che possedeva una filiale a Manchester. Si dice che il giovane fosse un po’ scapestrato e i suoi l’avessero mandato a gestire l’azienda perché mettesse la testa a posto. E lui invece fondò il comunismo (con il sodale Marx) …"

… perché vide con i suoi occhi la condizione disumana in cui era tenuta la classe operaia in Inghilterra. E ci scrisse sopra un libro, prima del Capitale. Ma lei, professore, cosa ha visto qui a Liverpool?
"Io sono cresciuto in Svizzera, un paese fondamentalmente ugualitario, sociale senza essere socialista, potremmo dire. E questo lo si vede riflesso nella società tutta. Anche da noi esistono ricchi e poveri, ma è una differenza che si nota molto meno perché da noi c'è una buona integrazione sociale. Tu vai al liceo a Lugano, a Bellinzona e facilmente trovi il figlio dell'operaio e il figlio del ricco. Quando siamo arrivati a Liverpool fin dall'inizio abbiamo notato un’enorme differenza. Anche la stessa città di Liverpool è divisa in micro quartieri, dei micro mondi che tra loro non comunicano, non interagiscono".

Una sorta di apartheid sociale?
"Senza sentenziare, ma dicendo quel che vedo, succede che uno va a vivere in un quartiere, trova la casa ed è come se comprasse tutto un pacchetto sociale, fatto di scuole, di certi servizi, di un certo tipo di pulizia delle strade, di un certo tipo di trasporti pubblici, di negozi, eccetera. È proprio come un pacchetto sociale. E di lì non ti muovi, non ti sposti più".

Ma le differenze con gli altri “mondi” sono profonde?
"Sì, molto profonde. Al punto che quasi non esiste una classe media. E se in realtà esiste, qui vedi però una vera povertà e la forchetta tra ricchi e poveri è molto più ampia. Tu hai i poveri che stanno veramente male, che se hanno un problema al dente lo tolgono, non lo curano. Quindi vanno in giro senza denti, a Liverpool. E poi trovi quello che... si fa le vacanze da 10.000 franchi a settimana. In Svizzera ci sono i super ricchi, lo sappiamo, però la classe medio-bassa sta bene. In fondo credo che in tutta l'Europa sia un po' così. C'è una ridistribuzione della ricchezza, con uno Stato sociale che permette al ceto medio di essere forte in Europa".

Eppure mi sembra innegabile che uno Stato sociale esista in Inghilterra.
"Esiste, ma qui lo Stato sociale è essenzialmente assistenziale. Tutto il Nord-ovest, fin dai tempi della Thatcher (che chiuse le miniere che non rendevano più spostando nel Sud l'industria che rendeva), ha cominciato a essere coperto da sussidi statali. C’è proprio una divisione Nord-Sud (che è esattamente l'opposto, ad esempio, di quella italiana) dove quelli del Sud sono ricchi e accusano quelli del Nord di approfittarsi dello Stato. Qui i livelli sono veramente assurdi, per cui il povero campa solo con i sussidi statali, a partire dalle case popolari pagate dallo Stato. Per fare un esempio limite, a Liverpool o comunque qui nel Nord-ovest, siamo al punto che molte ragazze giovani, se interrogate su cosa vogliano fare da grandi, non nascondono di avere come progetto quello di rimanere incinte molto presto, perché questo è il pass per avere tutti i sussidi possibili. C'è quasi un business della gravidanza".

Questo non comprova che un welfare c’è, magari sbilanciato, ma efficiente?
"Totalmente sbilanciato verso il basso, così che poi si è completamente emarginati. I poveri, per esempio, accedono a un'istruzione nettamente inferiore, con la conseguenza che anche salire la scala sociale diventa quasi impossibile. Capisce? Qui si nasce già condannati alla miseria, si tira a campare, si vivacchia".

Ma tutto questo è frutto di 14 anni di Governo conservatore?
"No, naturalmente, però è un po’ l'accusa che viene fatta ai conservatori. Io direi che se c'è uno spartiacque, questo è rappresentato dalla crisi finanziaria. Perché prima della crisi finanziaria del 2007-2008, per darvi un indicatore, la sterlina valeva 2 franchi e 30. Poi, prima della Brexit, valeva un franco e 60 e adesso è a 1,15. Diciamo che la Brexit ha portato la sterlina da 1,60 a 1,20. Però già prima, con la crisi finanziaria, la sterlina aveva perso enormemente, perché la crisi finanziaria ha mandato in tilt l'economia della City, la finanza, che era il motore dell'economia inglese. Questo ha dato avvio alla cosiddetta politica dell'austerity. L'Inghilterra ha incominciato a fare grandi tagli alla spesa pubblica, ai servizi e sotto i conservatori questo è avvenuto in maniera abbastanza forte. Oltre tutto la Brexit, ha incominciato a entrare in vigore dopo, dal 2019-2020, quando allo stesso tempo sono arrivate la pandemia e poi, due anni dopo, la guerra e l'inflazione. Quindi è veramente difficile in questo momento attribuire gli effetti alle cause".

La Brexit non è forse avvenuta sotto i conservatori?
"La Brexit l'ha voluta una parte dei conservatori, ma una parte no. C'era una componente importante dei conservatori che era contro la Brexit. Lo stesso Cameron e la stessa Theresa May erano contro la Brexit. Il problema, in realtà, è che a Brexit è stata trasversale. Corbyn, i Labour, non erano per il remain, erano contro l'Unione Europea, simbolo di neo liberismo e capitalismo selvaggio".

Quali comparti economici e sociali stanno risentendo maggiormente dei contrattempi della Brexit?
"Le faccio l'esempio del mio settore, l'università. In pratica diventa sempre più difficile attirare studenti stranieri. Un vero autogol, perché se c'è una cosa che l'Inghilterra ha sempre esportato, è l'educazione. Se ora qualcuno vuol fare un master da me a Liverpool, dopo sei mesi se ne deve andare. Molti vorrebbero laurearsi, lavorare un paio d'anni per compensare i 20mila euro pagati per l’iscrizione. Ecco, questo non è più possibile. E se non arrivano quegli studenti, le università vanno in bancarotta. Perché l'università qui si mantiene grazie agli studenti stranieri. Gli studenti domestici pagano una retta fissa, finanziata dal Governo, che è sempre la stessa da 20 anni, 10.000 sterline. Quindi le entrate che l'università riceve dalle rette è sempre la stessa, però nel frattempo i costi aumentano e quindi l'università va in perdita".

Due parole sul vincitore indiscusso di queste elezioni, Keir Starmer. Se è vero che le questioni che stanno principalmente a cuore agli inglesi in questo momento sono l'inflazione e il sistema nazionale sanitario, quali sono le sue proposte?
"Sinceramente non è chiaro. Starmer, come ho detto, poteva solo vincere Infatti non abbiamo vissuto una campagna elettorale calda in queste settimane, quasi non ce ne siamo accorti, tanto era scontato che vincesse perché il tempo dei conservatori era scaduto. Ma attorno a Starmer c'è grandissima incertezza. In un certo senso è tutto da scoprire nei prossimi giorni, nelle prossime ore. Più concreto, devo dire, è stato sulla necessità di nazionalizzare le ferrovie, i trasporti pubblici, perché questo è un grosso problema. In Inghilterra la rete ferroviaria, con l’eccezione di quella ad alta velocità che collega le grandi città a Londra, non funziona. Hanno privatizzato da anni, affidando il servizio ferroviario ad aziende private, ma ci sono ritardi su ritardi, scioperi per gli stipendi eccetera".

Starmer in questi anni ha vinto la partita interna al partito laburista, superando il retaggio di Corbyn, in particolare l'antisemitismo di cui il Labour era accusato da anni. Questa è da considerare per lui una partita vinta?
"Non del tutto, perché i nostalgici di Corbyn ci sono, e le assicuro che odiano Starmer. Esempio: quasi tutti i miei colleghi docenti sono laburisti, ma tutti odiano Starmer. Non hanno festeggiato la vittoria, hanno festeggiato che i conservatives se ne vanno a casa. E guardano con molto sospetto a Starmer. Addirittura quando lui diventò presidente del partito, penso che alcuni abbiano anche restituito la tessera del partito. E quindi la sfida per lui sarà anche di continuare a prevalere sull'ala di estrema del partito. Starmer è fondamentalmente un centrista".

Lo è anche sulle questioni gender e diritti LGBT?
"Se n’è parlato poco, in sostanza non se ne parla. I temi rimangono nell’agenda del Labour, ma sicuramente non sono un cavallo di battaglia di Starmer. Lui è anzi tra quelli che vogliono limitare i cosiddetti “diritti” delle persone trans, per esempio in ambito sportivo o sulla questione dell'accesso ai bagni. Quindi sicuramente anche su quello si è smarcato rispetto alla sinistra radicale".

Sulla politica estera c’è stato dibattito in campagna elettorale. Che posizioni ha assunto Starmer?
"Starmer si è chiaramente espresso per un cessate-il-fuoco e per una soluzione di compromesso. Ma era stato criticato all’interno del Labour quando aveva sostenuto che Israele avesse il diritto di difendersi. E ha dovuto puntare molto –come si diceva- sul contrasto all'antisemitismo. C’è molta attesa di vedere all’opera David Lammy, già designato come suo ministro degli Esteri, una personalità interessante, molto vicino, nonostante la sua origine caraibica, all’Europa e alla cultura francese".  

Che rapporto ha tenuto Starmer con il mondo dell’immigrazione islamica, spesso corteggiato dai laburisti anche in chiave elettorale?
"A questo proposito ho visto un'analisi molto interessante su come hanno votato gli islamici in queste elezioni: in sostanza i laburisti hanno perso alcuni seggi a favore di candidati pro-Palestina che si sono staccati dai Labour, come per esempio Corbyn".

Ci sarebbe il tema della scuola, di grande interesse ma per accedere alla cui comprensione occorrerebbe una lunga descrizione di contesto. Lo lasciamo per una prossima chiacchierata. Non possiamo però chiudere senza sapere da lei come la gente e i giornali popolari lì abbiano vissuto e descritto la sofferta vittoria della Nazionale inglese di calcio sulla Svizzera…
"Molto rispetto per la Svizzera, che non meritava di uscire. Ammettono che l’Inghilterra non sta giocando bene, troppo passiva. Inutile precisare che a Liverpool, essendo la città piena di Irlandesi repubblicani, non erano pochi coloro che tifavano Svizzera ritenendo l’Inghilterra sfacciatamente fortunata. Ma aldilà delle ammissioni sportive, sotto sotto gli inglesi come sempre ci credono: sono loro che alzeranno la coppa".

 

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