Le autorità cantonali corrono ai ripari per contenere i costi della salute e dopo gli studi medici una moratoria potrebbe colpire gli spitex privati. Ecco cosa dicono gli esperti
di Beniamino Sani - articolo pubblicato su ilfederalista.ch
Raffaele De Rosa scende in campo senza aspettare settembre, il mese delle brutte notizie per gli assicurati, con i premi che anche quest’anno scaleranno nuovi record. Il ministro cantonale della Sanità brandisce di nuovo la clava delle moratorie, uno dei pochi strumenti -spiega ai giornalisti convocati martedì a Palazzo- a disposizione dei Cantoni per porre un freno all’incremento dei costi della salute.
Sarà dunque moratoria sui nuovi Servizi privati di assistenza e cura a domicilio (SACD) e su infermieri e infermiere indipendenti? Vedremo tra poco con quali risvolti.
Per attenuare gli effetti del problema che più angoscia i cittadini ticinesi, il Direttore del Dipartimento Sanità e Socialità (DSS) ha ribadito che il Cantone ha le mani legate in questo campo, al punto che ogni qual volta spunti un'idea promettente per incidere sulla spesa sanitaria occorre immediatamente valutare se la mossa sia permessa dalla legge superiore.
De Rosa non ha comunque mancato di porre l'accento -per incominciare- su qualche passo avanti compiuto là dove lo Stato cantonale ha potuto da tempo operare per porre un freno ai costi: l'ambito ospedaliero stazionario, ovvero quello delle cure fornite ai pazienti degenti negli istituti. Qui, l’incremento dei costi è in buona misura inferiore alla crescita complessiva del sistema che va sotto il cappello dell’Assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie (AOMS: la medicina di base cui tutti hanno accesso), crescita complessiva che si colloca attorno al 3% annuo. Ma, come vedremo, non è tutto oro quello che luccica.
Quali sono invece i settori nei quali gli spazi di manovra del Cantone sono quasi nulli? Su tutti, quello dei farmaci, per il quale –sottolinea De Rosa- bisognerebbe agire a livello sovranazionale; o ancora quello delle cure ambulatoriali ospedaliere, che non ricadono sotto la competenza dei Cantoni.
Capitolo “specialisti ambulatoriali”: cosa sta succedendo?
Vi sono invece ambiti in cui Bellinzona è dotata di spazi di manovra. Lo scorso novembre è stata infatti introdotta una moratoria, per la precisione una “limitazione del numero di medici nel settore ambulatoriale”, ovvero un tetto fisso per categoria di specialità, su base regionale, delle autorizzazioni agli studi medici privati. Un regime che dovrebbe metter fine all’esplosione di nuovi studi specialistici osservata con la fine della moratoria federale sugli stessi studi, tolta nel 2011.
C’è anche chi -come Bruno Cereghetti, consulente ed ex responsabile dell’Ufficio dell'assicurazione malattia nel DSS- contesta che si possa parlare di esplosione: “Sì, l’aumento c’è stato, ma è stato quello che definirei “effetto diga”: se si costruisce uno sbarramento che poi crolla, l’acqua che cade è quella che naturalmente doveva cadere già prima, salvo che ora lo farà tutta d’un colpo. Come numero di medici siamo nella media nazionale. D’altronde non basta guardare al numero di studi aperti, bisognerebbe approfondire e capire anche le percentuali. In una professione che si sta fortemente femminilizzando, quante donne medico lavorano a tempo pieno, per esempio?”.
Eppure, i dati presentati ieri a Bellinzona, sembrano mostrare chiaramente che in concomitanza con il numero di nuovi studi specialistici è aumentato anche il ricorso a tali studi. Tra il 2012 e il 2017 si è registrato un generale aumento di cittadini che si rivolgono a più di un fornitore di prestazioni nell’ambito sanitario. Addirittura, il numero di coloro che si sono rivolti a 11 o più attori diversi (leggasi medici, dottori specialisti, farmacisti, fisioterapisti, etc.) è salito del 50%.
L’offerta crea la domanda? Tutto da dimostrare
Questo è quanto rilevava un rapporto dell’assicurazione Helsana del 2019. Come lo legge Cereghetti? “Il rapporto è noto e si riferisce a tutta la Svizzera; dati sul Ticino non sono stati pubblicati dall’assicuratore”.
“Il dato in sé -aggiunge Cereghetti- non è contestabile. Occorre però evitare quello che io chiamo il complesso della fotografia. Se ci viene presentata un’immagine, la dobbiamo anche interpretare, andando oltre ciò che ci appare in superficie, non limitandoci a reagire alla sensazione che il fotografo vuole suscitare in noi”.
Lo stesso De Rosa, infatti, ha voluto attribuire la causa del maggior ricorso a specialisti, almeno parzialmente, a mutamenti culturali: le persone si sentono oggi più incerte, preferiscono un esame in più piuttosto che uno in meno. “Un tempo i medici faticavano a convincere i pazienti della necessità di un esame in più”, ha ricordato il consigliere di Stato, “Oggi, invece, è il contrario: è difficile convincere il paziente che quell’esame non è per forza necessario”.
Ma l’elefante nella stanza, suole ripetere Cereghetti, rimane lo stesso: “La popolazione invecchia mediamente sempre di più e invecchiando diventa polimorbida, ha cioè bisogno di prestazioni mediche in numero maggiore e diversificato. A ciò corrisponde anche un parallelo spezzettamento delle branche mediche: le specializzazioni si stanno sempre più… specializzando. Oggi esiste lo specialista della spalla, delle ginocchia, delle mani, delle dita, dell’anca e quant'altro”. Ne risulta una qualità maggiore, ma anche la necessità di fare il periplo degli studi.
C’è un altro dato che gli assicuratori amano citare, quello relativo ai minuti per consultazione: in Ticino sono tra i più alti in Svizzera. Insorge Cereghetti: “Una popolazione di pazienti anziani richiede maggiore attenzione e dunque tempo. Gli abusi, se ci sono, andrebbero verificati caso per caso”.
Sembra dunque vacillare il sillogismo economicistico che porta a dedurre che sia l’offerta (il numero di medici) a generare la domanda.
Cure a domicilio: con questa demografia….
Premessa. La popolazione over 65 in Ticino è cresciuta in 30 anni da 50mila a 83mila persone (il 24% dei residenti, oggi, contro il 19% in Svizzera, con la prospettiva di giungere a un terzo della popolazione ticinese attorno al 2035, secondo l’Ufficio cantonale di statistica).
Un dato e una proiezione cruciali per capire l’altro passo che il Consiglio di Stato ha anticipato di voler compiere allo scopo di limitare l’aumento delle spese sanitarie. Parliamo, come anticipato, di una misura riguardante il settore delle cure a domicilio.
Diamo un’occhiata alla “torta” qui sotto. Si dettagliano le spese che vanno sotto il regime della già citata OAMS in Ticino. Vediamo alla voce Spitex (contrazione germanofona per “cure esterne all’ospedale”), che queste rappresentano una fetta abbastanza ridotta del totale.
Ora, il Governo cantonale -ha fatto sapere De Rosa- intende avvalersi della facoltà di introdurre una moratoria sul numero di SACD privati e di infermieri indipendenti che offrono cure domestiche (e che operano a fianco delle SACD pubbliche. le quali svolgono il servizio su base distrettuale). Il messaggio contenente la richiesta è stato inviato al Gran Consiglio, cui spetterà la decisione.
“La situazione è fuori controllo”, a detta del DSS. Il numero degli attori privati è in crescita esponenziale (triplicato in un decennio). E d’altra parte la spesa media per assicurato è superiore alla media federale (224,80 fr contro 131,50 fr); l’intero settore ha registrato un +153% in costi in 10 anni, rispetto a un +85% del resto del Paese.
Che la demografia centri in questo caso è evidente, per Bruno Cereghetti: più anziani e anziani più vecchi significano per forza fatture più salate. La cosa non stupisce: “Per l’esplosione dei servizi privati inoltre non sottovaluterei l’importanza del servizio reso. Molti utenti nei SACD pubblici si sentono trattati un po’ come oggetti di una catena di montaggio, dove tutto è affrettato”.
“I privati e i singoli infermieri offrono spesso un servizio più personalizzato. I pazienti per esempio possono essere seguiti dalla stessa persona, ciò che facilita la cura in situazioni complesse. L’uomo non è una macchina, infatti, la quale è indifferente al volto del meccanico”.
I privati: la moratoria può essere benvenuta, se..
Per vederci meglio ci rivolgiamo a un attore del settore, Tommaso Gianella che dirige il servizio di cure private BeeCare. Per Gianella, la prima contraddizione è che fu lo Stato, nemmeno troppo tempo fa, a spingere perché si sfruttasse maggiormente l’opzione di curare le persone a casa, per un tempo possibilmente anche lungo: “Nella pianificazione cantonale di pochi anni or sono si invitava a rafforzare le cure a domicilio, per limitare il ricorso allo stazionario”.
Le cure a casa infatti costano meno, e sono anche preferibili per le persone stesse, sottolinea Gianella. “Quindi il Cantone prima decide una strategia e poi decide misure contrarie quando questa si concretizza?”, si chiede Gianella.
Qualcosa di simile, notiamo en passant, è avvenuta con l’ambulatoriale ospedaliero, laddove si è spinta la gente a ricorrervi preferendolo al ricovero: ora ci si allarma perché i suoi costi stanno salendo.
Torniamo alle SACD. Sulla moratoria, comunque, Gianella spende anche qualche parola positiva. “Occorre anche da parte dei privati entrare in una logica di dialogo. L’importante è che la moratoria non vada a scapito dell’utente finale, degli ammalati e dei familiari curanti. Nessuno deve rimanere tagliato fuori, costretto ad accodarsi in attesa, se c’è un bisogno attestato da un medico”.
Il boom l’aveva previsto lo stesso Cantone
Era stato d’altronde lo stesso Cantone a riconoscere che tra il 2020 e il prossimo decennio si sarebbe registrato un raddoppio o quasi delle ore di lavoro da fornire in questo settore.
“La realtà da non dimenticare è che stiamo andando verso un Ticino con 100mila ultra 64enni contro 200mila professionisti attivi, se va bene”, mette a fuoco Gianella, “Peraltro, trattandosi di un settore che rappresenta il 4%, scordiamoci che risparmi in questo ambito saranno visibili sulla fattura presentata all’assicurato e contribuente. Non mi pare che negli anni in cui era attiva la moratoria sugli studi medici (2002-2011), studi che rappresentano la prima voce di spesa sotto l’AOMS, le spese sanitarie siano rimaste ferme” (in quegli anni la spesa sanitaria elvetica è infatti cresciuta suppergiù del 50%).
Bisogna guardarsi in faccia, spiega con un paragone: “Come negli anni ’40 c’era l’urgenza di mettere i soldi su migliaia di fortificazioni, e negli anni ’50 e ’60 si mise mano al portafoglio per costruire autostrade e dighe idroelettriche, ora siamo nella stagione di una nuova urgenza. Occorre investire nella salute. Lo si dica chiaramente a tutti, e ci si metta il cuore in pace”.
Bisogna andare verso la collaborazione tra pubblici e privati
Ma la moratoria non è per forza da rigettare? “Su questo punto è necessaria una premessa -spiega Gianella–, occorre che si capisca che in questi anni il privato, grazie alla libertà concessa dal sistema, ha semplicemente reagito più in fretta (degli omologhi pubblici) alla crescente domanda. È semplicemente un fatto naturale, il privato ha la capacità di reagire al cambiamento. Certo, il pubblico, di fronte alle cifre che esso stesso pubblicava, avrebbe potuto attivarsi…”. Come, per esempio? “A Zurigo hanno aumentato il numero dei SACD pubblici, spezzettandoli su quartieri e circoli più piccoli”.
È vero che in Ticino i pazienti preferiscono il privato anche per motivi qualitativi? “Ciò che avviene spesso è che gli ospedali per la gran parte indirizzano i pazienti verso gli enti pubblici. Ma dopo qualche mese gli utenti esplorano l’opzione privata perché insoddisfatti dal servizio ricevuto”. Ciò sarebbe dovuto in gran parte al fatto che i SACD pubblici si ritrovano troppi pazienti tra le mani.
Quindi è vero, chiediamo a Gianella, che voi dedicate loro più tempo? “Cerchiamo di dedicare più attenzione, questo sì, e ciò significa una qualità maggiore per l’utente. È vero dunque che fatturiamo più ore per utente seguito, ciò non significa però che siamo più costosi, se riusciamo a fatturare a un costo inferiore le nostre ore. Si noti che gli enti pubblici, servendo poco meno della metà del mercato, ricevono i due terzi dei sussidi”.
“In questo senso sarebbe più vantaggioso se si andasse da una logica di scontro apparente a una logica di collaborazione. I privati, i SACD pubblici e lo Stato si possono dare una mano per distribuire meglio le energie presenti sul territorio. Il Cantone, per cominciare, non ha mai pubblicato un ‘manuale qualità’ per il settore. Dovrebbe farlo”, aggiunge Gianella. Un buon segnale è arrivato dai SACD pubblici, dal cui interno è giunta la proposta di un tavolo comune di lavoro .
Potrebbe essere questo il risvolto positivo della moratoria per lo stesso dirigente di SACD privato: “Bloccare le nuove autorizzazione può significare lavorare sulla qualità degli attori già attivi, rendere più solide le realtà presenti. Ci sono, è vero, realtà piccole che non sono abbastanza forti dal punto di vista amministrativo, quanto invece lo sono sul lato infermieristico. Naturalmente il punto di partenza non può essere quello di bloccare i privati perché qualcuno ne starebbe approfittando”. Va infatti ribadito che, senza privato, il pubblico verrebbe travolto dallo tsunami della domanda, conclude Tommaso Gianella.