IL FEDERALISTA
Hezbollah, la "causa palestinese", gli ayatollah iraniani e la tragedia del Libano
Il confronto con la guerra del 2006 fa impressione: in 33 giorni furono falciate 1200 vite, ora ne è bastato uno per raggiungere la metà di quel bilancio

di Claudio Mesoniat - Il Federalista.ch

Dopo una giornata che proietta l'ombra di Gaza sul Paese dei Cedri (500 morti in un 24 ore) cerchiamo di capire perché il Libano si sia consegnato volontariamente al tritacarne di Tsahal. C'è una risposta elementare, si chiama Hezbollah, la furia suicida di un partito-milizia guidato dallo sceicco del terrore che dietro la retorica della "solidarietà alla causa palestinese" si è fatto marionetta nella mani dei truci ayatollah iraniani, al servizio dei loro disegni egemonici. Ma neppure i colpi di coda della rivoluzione islamista sull'orlo del fallimento danno pienamente risposta alla domanda sul perché un Paese già prospero e ricco di storia e cultura si sia piegato a una banda di fuorilegge, trascinando un intero popolo verso il baratro. Occorreva la complicità di una classe politica corrotta.
Il bilancio, al termine di questa nuova giornata di bombardamenti israeliani sul Libano, è drammatico. Quasi 500 morti e decine di migliaia di libanesi che fuggono dalle loro case, attanagliati dalla paura.

Il confronto con la guerra del 2006 fa impressione: in 33 giorni furono falciate 1200 vite, ora ne è bastato uno per raggiungere la metà di quel bilancio, se si aggiungono i miliziani di Hezbollah caduti durante gli 11 mesi trascorsi dall’apertura del “fronte di sostegno” ad Hamas.

Dall’altra parte della frontiera, non saranno per ora gli attacchi massicci nel sud del Libano, nella Bekaa e nella periferia sud di Beirut che porteranno a casa gli 80mila sfollati dai villaggi nel nord di Israele.

La strategia di Netanyahu, che sembra per il momento volta a evitare un bombardamento a tappeto di Beirut e un’offensiva terrestre, si adeguerà tuttavia alla reazione di Hassan Nasrallah, che per ora si è limitato a rappresaglie di debole intensità su obiettivi militari israeliani.

Hezbollah potrebbe però attivare l’artiglieria pesante, ossia i missili a lunga gittata e alta precisione in grado di raggiungere le grandi città dello Stato ebraico. Ma le mosse del gruppo libanese sono notoriamente “confrontate” con Teheran, ovvero decise in funzione degli interessi iraniani. E Khamenei sembra in questo momento temere un confronto aperto con Israele.

Ma perché il Libano –la domanda è frequente in questi giorni- si è infilato in un simile ginepraio? Vi proponiamo qualche considerazione in proposito.

In nome della "causa palestinese"
Premessa. La “causa palestinese” è da decenni lo strumento di distrazione di massa brandito dalle autocrazie di tutto il mondo arabo, e più in generale musulmano, per coprire ingiustizie e corruzione che ne contraddistinguono i regimi. Stiamo parlando, per fare qualche nome, di Egitto, Siria, Stati del Golfo e del Magreb, fino al caso supremo dell’Iran. Si potrebbero aggiungere, in Occidente, i numerosi movimenti politici che, a corto di idee, attivano nelle piazze folle di manifestanti muniti di kefiah e slogan inconsapevolmente antisemiti (come, per esempio, il genocidario “Dal fiume al mare”).

In realtà, il vero, intrinseco nemico della causa palestinese, in solido con il sionismo messianico, fanatico e violento che oggi detiene le leve del potere politico in Israele, resta comunque l’islamismo di Hamas, che il genocidio degli ebrei lo porta scritto a chiare lettere nei propri statuti.

E il Libano? Ebbene, anche il Paese dei Cedri è pienamente coinvolto in una forma spuria di padrinato della “causa palestinese”, che in realtà copre un intreccio di interessi eterogenei e di gravissime responsabilità. Di Hezbollah, da una parte, e dell’establishment politico del Paese dall’altra, responsabili non solo del tracollo economico del Libano ma anche della guerra che ora lo sta devastando. Vediamone il perché.

Una guerra dichiarata da un partito...

Di sua iniziativa, senza neppure scomodarsi a interpellare le autorità dello Stato libanese, il “partito di Dio” ha infatti dichiarato guerra a Israele l’8 ottobre dello scorso anno, dopo aver inneggiato all’operazione “Diluvio di al-Aqsa”. Motivazione? “Solidarietà con i palestinesi”, punto.

Ovvero sostegno ad Hamas, che ha catapultato Gaza nel confronto armato impari con uno Stato israeliano il cui Governo in carica, dopo il massacro subìto il 7 ottobre, si sarebbe rivelato capace dei crimini di guerra inauditi che tutti sappiamo.

Quel che occorre sapere di Hezbollah è che si tratta di un partito (12 deputati in un Parlamento di 128 seggi) dotato di un proprio esercito (che nulla ha che fare quello regolare libanese), totalmente finanziato e teleguidato dall’Iran.

Hezbollah è la punta di diamante dell’autoproclamato “Asse della resistenza”, ideato dagli ayatollah in chiave puramente anti israeliana: ne fanno parte anche alcune fazioni armate irachene e gli Houthi dello Yemen, oltre ai Fratelli musulmani di Hamas, eterogenei, in quanto sunniti, al corpo sciita dell’Asse (a dimostrazione peraltro del ruolo strumentale giocato dalla dimensione religiosa).

...nel silenzio della classe politica

C’è ora una domanda, che curiosamente non si pone (quasi) mai nel grande flusso di cronache e commenti che accompagna il conflitto tra Israele e Libano, ormai deflagrato in aperta guerra, anche se le IDF di Gallant e Netanyahu sembrano volersi astenere da un’invasione di terra.

Qual è, in tutto ciò, il ruolo dello Stato libanese (e del suo esercito)? Com’è possibile che un partito, sia pure pesantemente armato, dichiari guerra a un altro Stato senza che le autorità legittime dello Stato che ospita il gruppo bellicoso mettano parola, standosene zitte e immobili? Tanto più che le conseguenze durissime di questo scontro, nel quale il Libano è stato trascinato obtorto collo per “solidarietà alla causa palestinese”, le pagherà la popolazione, civili compresi. La risposta è duplice.

C’è un aspetto di impotenza e di prudenza. Le autorità (depotenziate –come vedremo- da una crisi politica che si prolunga da due anni) si trovano di fronte a una forza partitica, Hezbollah, legittimata dalla sua rappresentatività di una componente essenziale e incancellabile del mosaico culturale-religioso libanese, quella sciita, che come le altre, sunnita e cristiana, è incardinata in un sistema politico (purtroppo) confessionalizzato.

Un Governo (interinale) che, opponendosi alla improvvida dichiarazione di guerra di Nasrallah e compagni (pilotati da Teheran), dovesse azionare la leva dell’esercito regolare (peraltro dignitoso e ben guidato) aprirebbe una fase di guerra civile.

Corruzione e illegalità

Ma il dramma che abbiamo sotto gli occhi ha radici profonde e responsabilità dalle quali i vari Berri, Hariri, Aoun, Jumblatt, Geagea ecc. non possono sottrarsi.
C’è una grave complicità della classe politica libanese, che non da oggi ma da decenni convive con il fenomeno “Hezbollah”, con il quale ha trovato una forma di interdipendenza che ha costituito il terreno fertile per il diffondersi su vasta scala di corruzione e illegalità.

Non a caso il Libano si è classificato, nel 2020, 149° su 177 Paesi secondo l’"indice di trasparenza e corruzione percepita". Ma l’arricchimento illecito ai danni dello Stato da parte dei clan famigliari miliardari e dell’organizzazione terroristica filo iraniana è all’origine della gravissima crisi economico-finanziaria del Paese dei Cedri, pagata dalla popolazione in modo catastrofico a partire dal 2019.

Da parte sua Hezbollah, i cui depositi illegali di nitrato di ammonio hanno provocato l’esplosione del 2020 nel porto di Beirut (200 morti e oltre 1000 feriti), ha intralciato l’inchiesta che ne stava svelando le responsabilità, senza risparmiarsi manifestazioni intimidatorie con migliaia di uomini armati sfilati fin sulla soglia del Palazzo di Giustizia.

E per concludere, l’attuale precaria situazione politica del Libano, che si affaccia sul ciglio della guerra totale con un Governo ad interim che da due anni può soltanto amministrare gli affari correnti, è frutto del blocco parlamentare inscenato dal partito di Dio allo scopo di imporre un candidato di proprio gradimento.

Un silenzio e una condiscendenza, che non è certo quella della popolazione libanese –sciiti compresi-, di fronte a una guerra assurda, imposta ancora e sempre in nome di una “causa palestinese” dietro la quale, in realtà, si nascondono trame geopolitiche estranee ai popoli della regione e compromessi inconfessabili tra classi politiche corrotte (anche a Tel Aviv ne sanno qualcosa) e fanatici paladini di ideologie pseudo religiose.

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