Breve storia dell'ex magistrato che lancia la sfida per il Municipio di Lugano
di Marco Bazzi
Alla fine sarà in lista a Lugano. Jacques Ducry, 60 anni, sta vivendo, a sinistra, la sua seconda giovinezza politica. Dopo aver lasciato il suo partito storico, il PLR, l’ex magistrato prosegue, da “indipendente”, la sua esperienza socialista, iniziata l’anno scorso con una brillantissima elezione in Gran Consiglio dopo un sorprendente (ma nemmeno tanto, per chi lo conosce) "endorsement a la gauche".
Terza legislatura da deputato per lui, perché in Parlamento c’era già stato dal 2003 al 2011 nelle fila liberali, anzi… radicali, area di cui è stato per anni uno degli esponenti di maggiore spicco.
Il primo accenno al suo interesse per la politica, risale però al 1995 (il fatidico anno dell’elezione in Governo di Marina Masoni e Marco Borradori), quando Ducry, allora procuratore pubblico, si candidò al Consiglio di Stato.
Ora, dopo aver valutato e alla fine rifiutato, in autunno, la candidatura per il Consiglio degli Stati, Ducry si prepara alla sua seconda campagna primaverile sotto il vessillo socialista: in aprile correrà per il Municipio di Lugano.
Ieri sera c’è stata la conferma, con la presentazione della lista unica “rosso-verde”, e manca ormai solo la benedizione dell’assemblea del PS che si terrà a fine gennaio.
Ducry ha subito messo le mani avanti, e ha precisato di non voler assolutamente insidiare la poltrona della municipale Cristina Zanini-Barzaghi. Semmai, ha aggiunto, mi spenderò per la conquista di un secondo seggio socialista in Municipio. Ma è chiaro che la sua forza elettorale lo rende, per i concorrenti (fuori e dentro il Partito), un candidato “ingombrante”. Decideranno le urne.
Libero pensatore (così ama definirsi), convinto europeista, appassionato “francofilo”, se fosse vissuto nel Settecento, Ducry sarebbe probabilmente stato un “enciclopedista”. Come quel Denis Diderot che scrisse “Jacques il fatalista e il suo padrone”.
Al di là della trama del romanzo, che racconta di un singolare viaggio senza meta e di incontri con personaggi stravaganti, c’azzecca il titolo. Con una puntualizzazione d’obbligo: di padroni, Ducry non ne ha e non ne ha mai voluti. Il suo spirito libertario ha sempre prevalso su compromessi e scelte di opportunità.
Probabilmente sottoscriverebbe però il pensiero che Diderot formulò in una lettera all’amico Voltaire: “È molto importante non confondere la cicuta col prezzemolo, ma credere o non credere in Dio non lo è per nulla”.
Storico procuratore pubblico, quando ancora esistevano le due Procure, quella Sopracenerina e quella Sottocenerina, Ducry ha fatto il magistrato per sedici anni. Erano i tempi “eroici” di Dick Marty e Carla Del Ponte, delle inchieste antidroga e antimafia. E in Italia, di Giovanni Falcone, con il quale Jacques ricorda spesso una piacevole cena “segreta” a Robasacco.
Dalla Procura se ne andò sul finire del 2001, alla fine di un’aspra polemica che lo coinvolse e che non stiamo qui oggi a rievocare.
Dopo qualche anno di avvocatura, che non pare avergli dato grandi soddisfazioni, Ducry tornò in magistratura, ma a un altro livello: nel dicembre del 2006 il Tribunale penale federale lo nominò Giudice istruttore federale straordinario a tempo parziale, “competente – si legge nella decisione - per le istruzioni preparatorie in lingua italiana”. Poi finì anche quell’esperienza e Ducry decise che non avrebbe più lavorato. Si dedicò alla cura della sua casetta in Toscana (dove racconta di essere iscritto alla locale sezione del Partito Democratico) e a capire “cosa fare da grande”.
Nel 2013, quando uscì la notizia della sua rinuncia all’iscrizione all’albo degli avvocati, parlando del suo futuro disse a liberatv: "Come siete curiosi! So solo che adesso sono in macchina. Per andare dove? Ci lasceremo sorprendere”. Jacques il fatalista...